Testo proveniente dalla pagina del sito Radio Vaticana Intervista a mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco R. E’ un conflitto che ha avuto un’evoluzione, peggiorando sempre di più e complicandosi sempre di più. Io dubito che si possa ancora chiamare guerra civile quello che stiamo vivendo, perché si sono sovrapposti altri conflitti: un conflitto regionale, un certo anche disaccordo internazionale… Speriamo che si faccia strada a livello internazionale e politico e che si trovino i mezzi per far arrestare questa violenza e per far sedere le parti al tavolo delle trattative. Non parlarsi più con bombe o mitragliatrici o cannonate, ma parlarsi con un linguaggio umano! Finora, fra le parti in conflitto, ci si è parlato come delle belve, come dei leoni. Speriamo di poter arrivare a questo incontro programmato di Ginevra, a questa Conferenza di pace in cui questo linguaggio si trasformi in un linguaggio umano e si possano mettere sul tavolo alcuni accordi, cominciando dagli accordi sull’accesso agli aiuti umanitari. D. Che cosa sta accadendo in Siria? R. Si parla di più di nove milioni - quasi la metà della popolazione siriana! - che ha urgente bisogno di aiuti umanitari. Non ci sono parole per descrivere questa immane sofferenza, dai neonati agli anziani… Veramente, ci si chiede se non si sarebbe potuto fermare questo tsunami di sofferenza umana? D. Mons. Zenari, cristiani e musulmani cercano di aiutarsi? R. C’è, anche fosse limitata, una solidarietà a livello locale, qui tra povera gente: tante famiglie, tante persone di qualsiasi fede, tante cristiani, anche se sono poveri. Ci sono tanti esempi di solidarietà: si prestano aiuto fra loro, fino alla solidarietà internazionale. D. Ma cosa significa per un cristiano vivere in Siria, in un momento in cui c’è anche una forte minaccia, proprio nei confronti dei cristiani stessi? R. Abbiamo avuto in questi ultimi mesi dei particolari momenti di sofferenza; ricordiamo Maalula, ricordi amiamo l’altro villaggio cristiano di Sadad, Kara… Queste comunità sono state veramente messe alla prova: devastazioni, profanazioni di chiese… Una prova molto, molto dolorosa! Però, rimane la forza dei cristiani, dei preti, che rimangono sul posto e rimane ancora vivo questo lume, questa testimonianza, questa presenza. Per esempio, una parrocchia molto esposta, da mesi e mesi: sono stati obbligati a togliere la Croce che stava sopra la chiesa e in questo modo hanno avuto garanzia di poter celebrare le loro cerimonie. Allora, pur con la tristezza di dover levare la Croce conservandola però nel proprio cuore si vive con il Signore, con la propria comunità ed con i propri sacerdoti. D. - Un suo personale augurio per questo Natale… R. - In questo tempo natalizio, celebriamo anche la commemorazione dei primi martiri. Mi ha fatto impressione sempre, soprattutto vivendo qui, quello che è riferito da San Matteo nella Liturgia del giorno della Strage degli innocenti. Cita un passo di Geremia in cui dice: “Si oda in Rama un grido, un forte lamento: Rachele piange i suoi figli e non vuole esser consolata de' suoi figliuoli, perché non sono più”. Mi fa impressione questa strage degli innocenti che ha provocato questo conflitto. Recentemente, un Centro di ricerca britannico ha documentato questa strage degli innocenti in questi quasi tre anni circa: ha parlato di 11.420 bambini uccisi! La data arriva fino allo scorso agosto… Veramente, questo grido di dolore di Rachele continua in Miriam, continua in Fatima, Nadia… Mamme siriane che piangono la strage dei loro bambini innocenti. L’augurio che vorrei fare è che non si oda più questo grido di dolore. Se mettiamo sulla bilancia il sangue versato e le lacrime versate, credo che più o meno si equivalgono: tanto sangue versato, tante lacrime versate… Che cessi l’uno e che cessi l’altro!
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