Vaticaninsider Il vescovo-gesuita caldeo Antoine Audo spiega perché non potrà partecipare al Meeting di Rimini. E racconta le paure, i fatalismi e i sorprendenti segni di speranza che convivono nella città sfigurata dalla guerra «Dovevo andare al Meeting di Rimini, ma non è tempo di fare viaggi». Antoine Audo, gesuita e vescovo caldeo di Aleppo, preferisce stare accanto al suo popolo sofferente e non crede sia il momento di correre rischi inutili per partecipare a conferenze sulla condizione dei cristiani in Siria. Mentre spiega a Vatican Insider i motivi del suo forfait, Audo descrive la condizione attuale della città martire che era tra le più fiorenti del mondo arabo, e ora ha interi quartieri ridotti in macerie.
Da quando è iniziata la guerra, Lei è uscito e rientrato parecchie volte dalla Siria. E ora? Ora è molto più pericoloso uscire da Aleppo. Devo essere prudente. E in ogni caso non è il momento di lasciare la mia gente. La tensione aumenta, e la presenza dei vescovi qui adesso è più importante per le nostre comunità, anche a livello psicologico. Si sente minacciato? Tutti ripetono a me e agli altri vescovi di muoversi con discrezione, di non indossare le vesti episcopali quando usciamo per non essere rapiti anche noi come è successo al vescovo siro-ortodosso Yohanna Ibrahim e a quello greco- ortodosso Boulos al-Yazigi. Che ne è stato di loro? Girano tante voci. Le ultime, attribuite dai giornali a un politico degli Usa, collegavano il rapimento a un “complotto” con implicazioni ecclesiastiche per costringere il Patriarcato siro ortodosso a lasciare Damasco e a trasferirsi in Turchia. Ma non sono cose serie. Sono solo speculazioni interessate. È circolata la notizia della sparizione di padre Dall’Oglio? Ne parlano tutti. Tutti si chiedono quale fosse lo scopo del suo rientro in Siria. Il conflitto, il caos e la lotta tra le varie fazioni rende tutto ambiguo e problematico da spiegare. Anche a Aleppo la situazione è confusa? Qui cresce da mesi l’incertezza e la paura. Tutti si fanno in continuazione la stessa domanda: che ne sarà di noi? E l’inquietudine è particolarmente sentita nei quartieri cristiani. Secondo me, Aleppo continua a vivere la situazione peggiore, almeno dal punto di vista psicologico. Per quale motivo? Gli abitanti delle altre zone, compresa Damasco, hanno delle vie di fuga, se i loro quartieri vengono travolti dal conflitto. Da Damasco, da Homs, da Lattakia e dalla costa possono fuggire verso il Libano, la valle dei cristiani e Beirut. Aleppo invece è chiusa nella morsa delle forze in guerra. La Turchia lascia passare le armi e i gruppi che entrano per combattere il regime di Assad, e il primo obiettivo rimane Aleppo. Mentre dicono che nel nord-est si consolida sempre di più il controllo dei curdi. Dalle immagini satellitari diffuse da Amnesty si vedono quartieri di Aleppo ridotti in macerie. Almeno in mezzo milione hanno dovuto lasciare le loro case. Ci sono zone completamente abbandonate. L’80 per cento della popolazione non lavora da mesi e mesi. Tanti non hanno più soldi nemmeno per mangiare. Si respira dovunque una povertà disperata, in una città che una volta era fiorente e dinamica. Quale stato d’animo registra tra i suoi fedeli? In molti cresce il fatalismo: qualsiasi cosa accadrà - dicono - sarà volontà di Dio. Sono i discorsi che si fanno per tirare avanti. Altri provano a reagire, e la reazione più immediata e realista è la fuga, che è già iniziata da tempo. Chi ha ancora soldi e mezzi fugge verso il Libano, i Paesi del Golfo, o l’Europa. I poveri rimangono tutti qui. O la fuga, o la rassegnazione. Non c’e nient’altro? I giovani, loro sono incredibili. Oggi quelli dei gruppi Scout hanno rimesso a posto le sale e gli impianti sportivi che gestiscono per ricominciare le loro attività. Vogliono uscire fuori dalla paura e dal senso di rovina che sembra inghiottire tutto.
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