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18 Set 2013

Dopo Oslo – cosa verrà in seguito?
di Michel Warschawski
Alternative Information Center

Nel mio precedente articolo, ho ribadito ciò che quasi tutti sanno, gli accordi di Oslo sono morti. La domanda ora è: cosa verrà dopo?

Per un crescente numero di attivisti, la risposta è “uno Stato comune”, come in Sud Africa. Tuttavia questa non può essere una risposta. Oslo fu una strategia, mentre “uno Stato” è un obiettivo. Pertanto la questione deve essere così formulata: di quale strategia alternativa si necessita per la liberazione della Palestina dopo il fiasco di Oslo? Supponiamo che la situazione sia irreversibile e che nessuno Stato palestinese possa formarsi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza; cosa implicherebbe questo, in termini di strategia? Il contesto di Oslo ha suggerito una soluzione per il breve periodo (più o meno un decennio) basata sulle esistenti relazioni di forza internazionali, tra l’altro con una leadership palestinese che godeva di un alto grado di legittimità e di un forte movimento pacifista israeliano. Dopo 20 anni, molte di queste condizioni non esistono più. In altre parole, sembra ci si trovi di fronte ad un contesto globale di gran lunga peggiore, che si riflette nella politica, apertamente negazionista, della leadership israeliana. Appare abbastanza ovvio che, nell’attuale contesto dei rapporti di forza, i palestinesi non saranno in grado si raggiungere l’obiettivo imposto da Oslo (un compromesso territoriale con lo Stato di Israele per la creazione di uno Stato palestinese sul 22% della Palestina), allora non sarà possibile raggiungere "uno Stato", che implichi la distruzione del regime sionista e una grande sconfitta per l'imperialismo degli Stati Uniti. In realtà, NESSUNA soluzione è tuttora iscritta sull’agenda, e ciò di cui si ha bisogno è una nuova strategia a lungo termine che combini la resistenza al processo di colonizzazione in corso e la creazione di nuovi legami di forza con lo Stato sionista. Parlare di lungo termine ovviamente significa affrontare l’evoluzione della rivoluzione araba e l’inevitabile declino dell’egemonia statunitense nella regione. Tale sviluppo a lungo periodo cambierà sicuramente la posizione di Israele (e forse la sua vera esistenza), così come il destino del movimento di liberazione della Palestina. Ma chi avrà il coraggio di prevedere come? Inoltre, se il futuro implicasse una maggiore crisi dello Stato di Israele ci si aspetterebbe che, in modo automatico e come male minore, Israele accetterà il compromesso territoriale e la creazione di uno Stato palestinese in una parte della Palestina. In questo senso, è troppo presto dichiarare come defunta la possibilità di un Stato palestinese indipendente. Le sole dinamiche degli sforzi e delle complessive relazioni di forza forniranno la risposta.  

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