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11 settembre 2013

Fao: quanti danni dagli sprechi alimentari, in fumo 750 miliardi l’anno

Secondo il rapporto della Fao “Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources” sugli sprechi alimentari «La perdita della strabiliante quantità di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo l’anno non solo causa gravi perdite economiche, ma anche grava in modo insostenibile sulle risorse naturali dalle quali gli esseri umani dipendono per nutrirsi»,

Il rapporto, finanziato dal governo tedesco insieme ad un manuale Fao su cosa fare contro gli sprechi, è il primo studio che analizza l’impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale, esaminando specificamente le conseguenze che hanno su clima, risorse idriche, utilizzo del territorio e per la biodiversità.

Il rapporto evidenzia che: «Ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno, quasi il 30% della superficie agricola mondiale, ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra. Oltre a questo impatto ambientale, le conseguenze economiche dirette di questi sprechi (esclusi pesci e frutti di mare), si aggirano secondo il rapporto intorno ai 750 miliardi di dollari l’anno».

Il rapporto individua la Zone critiche:

Cereali:  in Asia lo spreco di cereali è un problema di notevoli dimensioni, con grandi ripercussioni sulle emissioni di Co2, sulle risorse idriche e sull’uso del suolo.  «Nella coltivazione del riso questo è particolarmente evidente, in considerazione dell’elevata emissione di metano che la sua produzione comporta e del grande livello di perdite».

Carne: mentre il volume degli sprechi di carne in tutte le regioni del mondo è relativamente basso, il settore della carne produce un notevole impatto sull’ambiente, in termini di occupazione del suolo e di emissioni di carbonio, in particolare nei Paesi ad alto reddito e in America Latina, che insieme sono responsabili dell’80 per cento di tutti gli sprechi di carne.  Escludendo l’America Latina, le regioni ad alto reddito sono responsabili di circa il 67% di tutto lo spreco di carne.

Spreco di frutta: in Asia, America Latina ed Europa contribuisce in modo significativo al consumo di risorse idriche, soprattutto a causa dell’alto livello di perdite.

Spreco di verdure: il grande volume di verdure che finisce nei rifiuti in Asia, Europa, Sud e Sud-Est asiatico si traduce in una grande impronta di carbonio per questo settore.

Lo studio Fao rivela che «Il 54% degli sprechi alimentari si verificano “a monte”, in fase di produzione, raccolto e immagazzinaggio. Il 46% avviene invece “a valle”, nelle fasi di trasformazione, distribuzione e consumo. In linea generale, nei paesi in via di sviluppo le perdite di cibo avvengono maggiormente nella fase produttiva, mentre gli sprechi alimentari a livello di dettagliante o di consumatore tendono ad essere più elevati nelle regioni a medio e alto reddito, dove rappresentano il 31/39% del totale, rispetto alle regioni a basso reddito (4/16%)». Il rapporto fa notare che «Più avanti lungo la catena alimentare un prodotto va perduto, maggiori sono le conseguenze ambientali, dal momento che i costi ambientali sostenuti durante la lavorazione, il trasporto, lo stoccaggio ed il consumo devono essere aggiunti ai costi di produzione iniziali».

Dal rapporto viene fuori che «Alla base dell’alto livello di perdite alimentari nelle società opulente c’è il comportamento dei consumatori insieme alla mancanza di comunicazione lungo la catena di approvvigionamento. I consumatori non riescono a pianificare i propri acquisti, comprano più cibo di quel che serve, o reagiscono in modo eccessivo all’etichetta “da consumarsi entro”, mentre eccessivi standard di qualità ed estetici portano i rivenditori a respingere grandi quantità di cibo perfettamente commestibili.

Nei paesi in via di sviluppo, le perdite avvengono principalmente nella fase post-raccolto e di magazzinaggio a causa delle limitate risorse finanziarie e strutturali nelle tecniche di raccolto, di stoccaggio e nelle infrastrutture di trasporto, insieme a condizioni climatiche favorevoli al deterioramento degli alimenti».

Secondo il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, «Queste tendenze mettono un’inutile e insostenibile pressione sulle risorse naturali più importanti, e devono essere invertite. Tutti, agricoltori e pescatori, lavoratori nel settore alimentare e rivenditori, governi locali e nazionali, e ogni singolo consumatore, devono apportare modifiche a ogni anello della catena alimentare per evitare che vi sia spreco di cibo e invece riutilizzare o riciclare laddove è possibile. Oltre all’imperativo ambientale, ve n’è anche uno di natura etica: non possiamo permettere che un terzo di tutto il cibo che viene prodotto nel mondo vada perduto, quando vi sono 870 milioni di persone che soffrono la fame».

Come si è detto, la Fao ha pubblicato anche “Toolkit: Reducing the Food Wastage Footprint”, un manuale di 100 pagine su come ridurre le perdite e gli sprechi di cibo in ogni fase della catena alimentare, che presenta diversi progetti che mostrano come governi nazionali e locali, agricoltori, aziende e singoli consumatori possono adottare misure per affrontare il problema.

Per affrontare il problema, il manuale della Fao presenta tre livelli in cui è necessario intervenire: La riduzione degli sprechi dovrebbe diventare una priorità. Limitando le perdite produttive delle aziende agricole dovute a cattive pratiche e bilanciando meglio la produzione con la domanda consentirebbe di non utilizzare le risorse naturali per la produzione di cibo non necessario; In caso di eccedenze alimentari, il riutilizzo all’interno della catena alimentare umana – la ricerca di mercati secondari o la donazione del cibo eccedente ai membri più vulnerabili della società – rappresenta l’opzione migliore. Se il cibo non è idoneo al consumo umano, la seconda alternativa è quella di destinare il cibo non utilizzato all’alimentazione del bestiame, preservando risorse che sarebbero altrimenti utilizzate per produrre mangimi commerciali; Laddove il riutilizzo non fosse possibile, si dovrebbe pensare a riciclare e recuperare l’eccedenza di cibo: riciclaggio dei sottoprodotti, decomposizione anaerobica, elaborazione dei composti e l’incenerimento, con recupero di energia rispetto all’eliminazione nelle discariche. (Il cibo non consumato che finisce per marcire nelle discariche è per altro un grande produttore di metano, gas serra particolarmente dannoso).

Achim Steiner, direttore esecutivo del Programma per l’ambiente dell’Onu (Unep)  ha sottolineato che «L’Unep e la Fao hanno identificato lo spreco di cibo come una grande opportunità verso una green economy low carbon, che fa un uso efficiente delle risorse. Il rapporto presentato oggi dalla Fao sottolinea i molteplici vantaggi che possono essere realizzati, in molti casi attraverso semplici misure da parte delle famiglie, dei dettaglianti, dei ristoranti, delle scuole e delle imprese, che possono contribuire alla sostenibilità ambientale, a migliorare l’economia e la sicurezza alimentare, ed alla realizzazione della sfida “Fame Zero” lanciata dal segretario generale delle Nazioni Unite».

Unep e Fao sono tra i fondatori della campagna “Think Eat Save” lanciata all’inizio dell’anno, che punta a ridurre l’impronta ambientale ed a dare assistenza e coordinare a livello mondiale a chi si impegna a ridurre gli sprechi alimentari.

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