http://www.palestinarossa.it Su perdite di tempo, burnout e nausea Con l’articolo apparso il 30 settembre 2013 su Haaretz dal titolo “Il colonialismo della soluzione a uno stato della sinistra”, Yitzhak Laor ha attaccato la prospettiva di un solo stato democratico come una capitolazione di fronte ai piani del governo israeliano e dei coloni. L’obiettivo principale della sua critica è il professor Ian Lustick il quale aveva pubblicato un articolo sul New York Times dal titolo “L’illusione dei due stati”, nel quale annunciava l’indecorosa morte della soluzione a due stati definendolo un concetto simbolico e impossibile, utilizzato solo nelle occasioni in cui la questione nazionale palestinese mette in pericolo la politica regionale e l’ordine sociale. Il professore Ian Lustick non necessita di certo il mio supporto o la mia difesa per quanto riguarda la questione palestinese. Yitzhak Laor ha ragione quando sottolinea che il libro di Lustick “The Arabs in the Jewish State”è il miglior libro su questo argomento pubblicato in ebraico. Nel suo libro Lustick propone una disamina dei metodi sofisticati con cui Israele esercita il controllo sulla società araba, la quale, nei confini del ’48, è oggi l’ombra di ciò che era, e l’analisi degli apparati che ne permettono l’esclusione attraverso l’emarginazione ne impediscono lo sviluppo attraverso la preservazione di un sistema patriarcale e il suo ruolo attivo nello stato. In breve Lustick ha aperto la strada a successive ricerche e si rifà a studi precedentemente fatti. Il suo abbandono del piano segregazionista conosciuto come la soluzione a due stati indica la sua profonda saggezza e capacità di comprensione dell’argomento e prova la sua acuta percezione della realtà palestinese. Il venir meno della falsa credenza nel concetto di “due stati per sue popoli” rappresenta ormai una realtà irreversibile e non è più possibile convincere le masse a crederci ancora, il ché spiega il panico degli opinionisti israeliani di tutto lo spettro politico sionista. Per anni l’idea di “due stati per due popoli” ha perfettamente occultato l’occupazione e ha lentamente trasformato la leadership dell’OLP in un perpetratore secondario dell’apartheid. Finalmente questa formula illusoria sta crollando e nelle fila dei detrattori di Ian Lustick si unisce anche Maya Rosenfeld (Haaretz 18.10.2013) la quale ritiene che la ragione del suo fallimento sia stata “l’ingiusta mediazione del conflitto da parte degli americani.” È un peccato che si riferisca ai membri dell’Autorità Palestinese come a dei leader politici, quando non sono altro che corrotti prestatori d’opera dell’occupazione israeliana. Ancora più triste è il fatto che la Rosenfeld apparentemente creda, come gran parte della sinistra israeliana del resto, che gli americani si sarebbero potuti sottrarre alla mediazione. L’errore in tale approccio scaturisce dalla ostinata cecità del controllo imperialista sul medio oriente arabo e dall’ignorare la vera natura dello stato di Israele come prodotto, pioniere e fondamenta di questo sistema con gli Stati Uniti che rappresentano l’organo centrale di questo corpo mostruoso. Il vero obiettivo dei “due stati” è, ed è sempre stato, il voler ottenere il riconoscimento da parte dei palestinesi dello “stato ebraico”, costruito su concetti di separazione e brevemente riassunto nella frase: “loro sono là e noi siamo qua” e “loro sono là, senza l’Alta Corte di Giustizia e senza B’Tselem.” L’obiettivo è anche sempre stato il preservare lo stato sionista, fondato su un razzismo primitivo e favorito da valori etnici e religiosi reazionari. È su queste basi che i blocchi, gli assedi, i checkpoint, le bypass road, il muro di separazione e la privazione dei palestinesi dei loro diritti e l’espropriazione della loro terra sono andati aumentando gradualmente come proseguimento del processo di Oslo. L’esclusione e gli espropri ai danni dei palestinesi nei territori occupati nel 1967 si propagano anche nel ’48, dove la disparità etno-religiosa si acuisce e diventa sempre più palese. Un nuovo tipo di colonie, le Mitzpes, si diffondono nel cuore della popolazione araba e sono diffuse come delle mine su delle terre confiscate. Ovunque la loro esistenza consolida le restrizioni alla crescita palestinese. In Israele, all’interno della linea verde, sono state costruite delle bypass road e sono stati eretti dei muri di separazione. Come anche nei territori del 1967, questa politica separatista si è trasformata in un fenomeno il cui unico obiettivo è la privazione dei diritti civili agli arabi palestinesi cittadini israeliani. Lo slogan dei “due stati” ultimamente è servito come mantra per la nascita e il consolidamento del regime d’apartheid. A differenza di quanto sostiene Yitzhak Laor, che definisce il concetto dello stato unico condiviso come un’innovazione nata dall’unione della visione di due stati e il deterioramento della posizione dei suoi sostenitori, la verità è esattamente l’opposta. Il piano di partizione, adottato dalle Nazioni Unite nel 1947 è stato concepito per eliminare dall’agenda politica l’idea di uno stato democratico, un’idea che sta alla base dell’autodeterminazione di ogni stato che abbia iniziato a liberarsi dal giogo del colonialismo. La divisione, figlia degli accordi di Yalta, che vennero concordati tra le forze imperialiste e la burocrazia stalinista e il cui scopo era mantenere l’ordine sociale mondiale immutato, fu intesa come uno strumento per eliminare la nazione palestinese. Il progetto per uno stato democratico e laico era totalmente ovvio per il movimento nazionale palestinese ed era l’unica alternativa alla dissoluzione della Palestina. Il seguente articolo, dal titolo “Contro la partizione” fu redatto nel settembre del 1947 e pubblicato dal giornale clandestino Kol Hamamad in Palestina: “I calcoli che stanno dietro alla nascita della proposta della partizione della Palestina sono gli stessi che sono stati fatti in India. Cosa sono questi calcoli? Ai giorni nostri l’imperialismo impone le proprie regole in due modi: attraverso la brutale e triviale oppressione, come in Indonesia, Indocina e in Grecia, oppure fomentando i conflitti nazionalisti. Il secondo metodo è più sicuro, economico e permette all’imperialismo di nascondersi dietro al sipario… “l’indipendenza” dello stato ebraico si riduce a una scelta tra la morte di fame oppure il divenire dipendente all’imperialismo .. uno stato ebraico nel cuore dell’oriente arabo è destinato ad essere uno strumento incredibile in mano al potere imperialista. L’imperialismo lo utilizzerà per rafforzare la propria posizione e allo stesso tempo per fomentare tra gli stati arabi la “minaccia ebraica” e cioè il timore di una espansione inarrestabile del piccolo stato ebraico. E un bel giorno gli “amici” abbandoneranno lo stato ebraico .. in breve, la proposta dell’UNSCOP (la commissione speciale per la Palestina delle Nazioni Unite) non è una soluzione per gli ebrei, né per gli arabi. È una soluzione solo per gli stati imperialisti.” Ogni parola di questo articolo è fondamentale. Non c’è da sorprendersi se l’OLP, le cui attività sono iniziate nel 1966, si assunse la responsabilità di delineare i parametri per uno stato laico e democratico come naturale percorso per la liberazione e l’autodeterminazione palestinese. Anche all’interno dello stato di Israele, diversi enti politici adottarono questo programma. Per esempio: Brit Hapoalim (l’alleanza dei lavoratori) (avanguardia), nel 1970, Abnaa el Balad nel 1983, e i marxisti di Matzpen nel 1986, tra gli altri. Dal 1998 con la nascita del Comitato per uno stato democratico e laico, quest’idea non è scomparsa dalla coscienza pubblica anche se il numero dei sostenitori è diminuito. Oggi un nuovo e più ampio movimento è stato creato, che segue la bandiera di uno stato democratico in tutta la Palestina storica. Il progetto è l’unico che possa risolvere la questione nazionale palestinese, il ritorno dei rifugiati nelle loro case e liberare gli ebrei dai pericolosi ghetti clericali creati dal sionismo. Il verdetto di Yitzhak Laor nella frase conclusiva del suo articolo su Haaretz è sorprendente. Scrive: “Lo status quo è per Israele un perdere piacevolmente del tempo con i negoziati fino alla cancellazione del nazionalismo palestinese” (enfasi mia n.r.) La questione è che il movimento sionista è stato occupato per più di 66 anni dal tentativo di annichilire il nazionalismo palestinese in vari modi. Nei fatti però, nulla ha contribuito maggiormente a ciò che l’abbandono da parte della leadership dell’OLP del progetto per uno stato democratico e laico, rendendosi un fantoccio nell’ombra di ciò che non solo ha schiacciato il nazionalismo palestinese ma anche il popolo palestinese. L’idea di continuare a supportare questo fantoccio anche oggi è semplicemente nauseante. Serve solo ad offrire una rinnovata illusione alle masse, le quali hanno capito l’inganno molto tempo fa. Ciò che in tutto questo è cresciuto e ha prosperato è stato il regime dell’apartheid ebraica. Chiunque voglia appoggiare veramente il nazionalismo palestinese, e cioè l’autodeterminazione palestinese, deve unirsi all’appello per uno stato democratico e pretendere il rientro di tutti i rifugiati palestinesi nelle loro terre. Un movimento unito e coerente dovrebbe avere come obiettivo essenziale l’idea di una repubblica laica e democratica che comprenda tutta la Palestina storica. Il movimento deve battersi per portare avanti la lotta, uniti, in nome di ciò che Lustick propone, cioè l’eguaglianza delle persone e la concessione dei diritti politici a tutti i residenti nel territorio e ai rifugiati. Questo comporterebbe ovviamente la fine del regime ebraico di apartheid e di tutti i privilegi di cui godono solo alcuni a scapito degli altri.
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