L'Huffington Post
05/12/2013

Nelson Mandela è morto: Il suo vero nome è Rolihlahla, attaccabrighe.
Dalla prigione alle presidenza della Repubblica
di Lorenzo Bianchi

La sua citazione preferita erano queste parole scritte dal poeta inglese William Ernest Henley: “Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita. Io sono padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima”.

Nelson Mandela la leggeva ogni giorno nella cella di Robben Island, così piccola che per percorrerla bastavano tre passi, per 26 anni la sua casa. Era nato il 18 luglio del 1918. Apparteneva alla famiglia reale dei Thembu, di etnia xhosa, la seconda popolazione di colore dopo i nove milioni di zulu, in una fertile valle del Capo Orientale, un villaggio di candide capanne. La madre lo partorì sulla riva di un fiume.

Il suo vero nome è Rolihlahla, “attaccabrighe”. Nelson glielo affibbiò un insegnante del collegio coloniale britannico di Healdtown, forse pensando all’ammiraglio. Ha studiato all’Università di Fort Hare. Nel 1940 lo hanno cacciato perché aveva guidato una manifestazione assieme a Oliver Tambo. Torna al suo villaggio, ma quando scopre che il capotribù gli ha già assegnato una moglie (con dote pagata) fugge a Johannesburg. A 22 anni, munito di fischietto e di manganello, si ritrova guardiano delle miniere della Corona e assiste allo sfruttamento dei neri. Nel 1944 assieme a Oliver Tambo e a Walter Sisulu fonda la Lega giovanile dell’ African National Congress.

Completa i suoi studi di legge e apre con Tambo uno studio legale dedicato agli accusati di colore che non hanno soldi per pagarsi la difesa. Il primo processo arriva nel 1956, quattro anni di carcere, assoluzione finale, viene liberato e sposa Winnie. Nel 1960, mentre è detenuto, la polizia uccide 69 persone (8 sono donne e 10 bambini) a Sharpeville. Gli agenti sparano su circa 5000 dimostranti che protestano contro l’Urban areas act, la legge che ammette nei quartieri dei bianchi solo i neri che ci lavorano.

Nel 1961 Nelson, pur essendo un sincero ammiratore di Gandhi, diventa il capo dell’ala militare dell’Anc, la Umkhonto we izwe, la “lancia della nazione”. In questa nuova veste coordina una campagna di attacchi contro l’ esercito e pianifica la guerriglia. Il 30 marzo il governo proclama la legge marziale. Diciottomila sudafricani finiscono in cella. Nell’agosto del 1962 le porte della prigione si aprono di nuovo per Nelson Mandela. Inizialmente lo accusano solo di viaggi illegali all’estero. Nel luglio del 1963 si aggiungono il sabotaggio e la cospirazione contro il proprio Paese. Reati da ergastolo.

Che arriva puntuale il 2 giugno del 1964.

Mandela finisce a Robben Island, al largo di Città del Capo, rinchiuso nella sezione B, una minuscola finestra con le sbarre, una porta di legno massiccio coperta da una pesante piastra di metallo, una lettera alla famiglia e una visita ogni sei mesi, grandi mazze per spaccare ghiaia o il bianco abbacinante di una cava di calcare, divieto assoluto di fischiettare. I neri, meglio i “ragazzini neri”, subiscono una umiliazione specifica. Debbono indossare pantaloncini corti a differenza dei detenuti indiani. Per mesi Nelson protesta. Qualcuno gli butta un vecchio paio di calzoni lunghi color cachi. Lui non li degna di uno sguardo. Li indossa solo quando vengono distribuiti anche ai suoi compagni di prigionia.

Siamo a metà degli anni ottanta. Mandela avvia il dialogo con il potere bianco, mentre divampa la rivolta nei ghetti. “Saremmo precipitati – spiegherà poi – nelle tenebre dell’oppressione, della violenza e della guerra civile. Noi avevamo la ragione dalla nostra parte, ma non ancora la forza”.Il 2 febbraio 1990 il presidente Frederik Willem De Klerk pronuncia il primo discorso di apertura.

Nove giorni dopo Nelson Mandela esce da Robben Island e l’Anc sospende la lotta armata, dopo trenta anni. Il perdono diventa l’ arma migliore dell’ex ergastolano.

Nel 1993 vince con De Klerk il Nobel per la pace. Nasce la commissione per la verità e per la riconciliazione. L’anno dopo Rolihlahla “attaccabrighe” viene eletto presidente. Pranza con il magistrato che ha chiesto per lui la forca e con le vedove degli uomini politici che sostenevano l’apartheid. A conclusione del processo che lo ha spedito a Robben Island aveva detto: “Ho nutrito l’ideale di una società libera e democratica, nella quale tutte le persone possano vivere assieme e in armonia”. Ha accettato la presidenza con la irrinunciabile condizione di restarci per un solo mandato, 5 anni.

Nel 1998 si è sposato per la terza volta con Graca Machel, moglie del liberatore del Mozambico Samora. Si è opposto fieramente alla nazionalizzazione della terra.Ora ha 30 nipoti e 6 pronipoti. Il Sudafrica di oggi non è andato nella direzione che sperava. Nelle elezioni del 2009 si è palesato solo all’ultimo comizio dell’attuale presidente Jakob Zuma, allo stadio Ellis Park di Soweto. Di recente il Centro per la sua memoria ha diffuso con un tweet un link a un suo sorprendente discorso. “Certo – aveva detto il padre del Sudafrica nazione “arcobaleno” - c’è qualcosa di intrinsecamente cattivo in tutti noi, carne e sangue come siamo e con l’impellente desiderio di perpetuare noi stessi”.

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