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6 Dic 2013

Il genio politico di Nelson Mandela
di Alessandro Carrera

Ci vorranno decenni per apprezzare fino in fondo l'esercizio del suo carisma, così potente da non inimicarsi nessuno, nonostante i suoi amici fossero tra loro nemici

Se soltanto gli Stati Uniti avessero avuto un Mandela, al momento giusto e negli anni giusti, o se avessero lasciato il tempo a Martin Luther King jr di diventarlo, oggi forse non avremmo l’incredibile risorgere di sentimenti sudisti nel sud degli Stati Uniti, né la cocciuta resistenza di un revisionismo aberrante, tendente ad affermare che la schiavitù non era poi quel problema che sembrava, che presto sarebbe finita per conto suo in perfetta armonia, e che la Guerra di Secessione fu solo un trucco di Lincoln per distruggere l’economia del sud. Per quanto sembri incredibile, questi si sentono ancora negli stati al di sotto della cosiddetta linea Mason-Dixon che separa il nord dal sud. La riconciliazione nazionale, quella per cui Mandela ha lottato una volta divenuto presidente, negli Stati Uniti sembra essere messa in discussione ora che hanno il loro primo presidente nero.

Non va dimenticato che furono anche le manifestazioni anti-apartheid negli Stati Uniti, all’inizio degli anni Novanta, a galvanizzare l’opinione pubblica mondiale e a decretare la fine morale dell’apartheid, ancora prima di quella storica. Senza l’apporto dei militanti americani, Mandela avrebbe fatto più fatica a porre fine al brutale sistema di discriminazione che vigeva nel suo paese. Ma le proteste americane avvennero senza nessun appoggio dall’alto, senza la partecipazione attiva di chi allora era alla Casa Bianca. Ronald Reagan non aveva dubbi sulla “chiarezza morale” (in America il termine moral clarity ha una connotazione pressoché religiosa) da esercitare nei confronti del comunismo, ma di dubbi ne aveva fin troppi quando si trattava di esercitarla contro il regime sudafricano dell’apartheid.

Per anni, molti leader che sostennero apertamente la lotta di Mandela lo fecero per ragioni apertamente anti-occidentali: Fidel Castro, Gheddafi; questi erano gli amici di Mandela quando uscì dai suoi ventisette anni di prigione. E lui non li rinnegò, anzi andò a stringergli la mano, facendo temere all’occidente che il nuovo Sudafrica avrebbe potuto incamminarsi verso la stessa strada, e che il risultato sarebbe stata un’atroce guerra civile.

Qui intervenne il genio politico di Nelson Mandela, che ci vorranno forse decenni per apprezzare in tutta la sua portata, nonché nelle sue moltissime e attualissime implicazioni. Riuscì a non inimicarsi nessuno. Certo, non tutti gli furono amici, ma non sorse nessuno che avesse una statura o un carisma tale da contestare la sua leadership. La vita di Nelson Mandela, o Madiba, che era il suo nome di appartenenza, è stata costellata da sconfitte, errori, ripensamenti, un passo avanti e molti indietro, delusioni, difficoltà spaventose. Ma se si è conclusa in un trionfo, ciò è dovuto alla sua capacità di comprendere e incarnare il principio più difficile della politica. Il vero leader non è responsabile solo dei valori della sua “parte”, fosse anche la più giusta del mondo, ma anche dei valori del proprio avversario, e perfino di quelli che non si possono condividere in alcun modo.

La responsabilità politica non è relativismo e non significa condivisione. Qui tocchiamo l’etica del Politico. E la politica è un’arte greca. Nata in una cultura politeista, non può e nemmeno deve scrollarsi di dosso, pena la sua fine, il fatto di dover rendere conto a molti dèi, e non a uno solo. Ogni parte adora il suo Dio, e nessuna intende convertirsi alle ragioni dell’altro Dio. Ma dove la conversione e l’abiura sono impossibili, il politeismo può venire in soccorso.

Il capolavoro di Nelson Mandela fu il processo di riconciliazione nazionale, la constatazione che il Sudafrica era essenzialmente un paese “politeista”, vale a dire multiculturale, fatto di molte lingue e molte razze, incluse le lingue e le razze dei bianchi oppressori (Mandela imparò perfino l’Afrikaan, la lingua dei colonizzatori, per poter entrare in sintonia con loro). Il processo non fu indolore. Nella commozione determinata dalla sua scomparsa le tensioni tra Mandela e De Klerk non vengono ricordate, ma ci furono, e il contrario sarebbe stato impossibile. La sua ex moglie, Winnie, lo accusò di volersi ingraziare i bianchi più che difendere i neri. Ma il risultato fu che un paese di ventisette lingue e chissà quante tribù ed etnie conobbe momenti durissimi, ma non piombò in una guerra interna che l’avrebbe isolato dal mondo e forse distrutto.

La pace si fa con i nemici, non con gli amici. Ma per far pace con il nemico bisogna sapere chi ė. O, con le parole di Sun Tzu, l’antico autore dell’Arte della guerra, “Se conosci il nemico e conosci te stesso, non dovrai temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso e non il tuo nemico, per ogni vittoria conquistata soffrirai una sconfitta. Se non conosci né il tuo nemico né te stesso, soccomberai in ogni battaglia”.

“Ho vissuto per gli ideali di Mandela e ho cercato di farli vivere” ha detto Obama non appena appresa la notizia, ricordando che la sua prima azione politica da adolescente fu la partecipazione a una manifestazione contro l’apartheid. “Il mondo ha perso un uomo influente, coraggioso e buono, dotato di una fiera dignità. Il suo tragitto da prigioniero a presidente ė l’essenza di tutto quello a cui un uomo può aspirare. Non sono un santo, diceva, ameno che un santo non sia un peccatore che non smette di cercare di migliorarsi. Mandela era un uomo guidato dalle sue speranze e non dalle sue paure. Non vedremo altri uomini come lui. Ha preso la storia tra le mani e l’ha piegata ai suoi fini. Ora appartiene alle epoche.”

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