Originale: Foreign Policy In Focus
http://znetitaly.altervista.org
6 dicembre 2013

Un tributo a Nelson Mandela dalla sponda orientale della baia di San Francisco, luogo di nascita del movimento anti-apartheid degli Stati Uniti
di Conn Hallinan
Traduzione di Maria Chiara Starace

Vi lascio soltanto un incarico. Dato che vivete, credete nella vita. Gli esseri umani vivranno sempre e progrediranno verso una vita più grande, più ampia, più completa. L’unica possibile morte è perdere la fede in questa verità, semplicemente perché la fine viene lentamente, perchè il tempo è lungo.

- W.E.B. DuBois, storico, attivista, fondatore  del Movimento Niagara, e autore del libro The Souls of Black Folk [Le anime delle persone di colore].

Queste parole sono attaccate sulla mia scrivania con il nastro adesivo, vicino alla bruciante citazione di James Baldwin,  in The Fire Next Time [tradotto in italiano con il titolo: La prossima volta il fuoco, n.d.t]: “Una civiltà non è distrutta dalle persone malvagie; non è necessario che siano malvagie, ma soltanto che siano senza spina dorsale.” Nelson Mandela, la grande voce della libertà africana, la cui storia è stata la personificazione del coraggio, credeva soprattutto nella vita. E  come Dubois e Baldwin, capiva la perseveranza.

Quando ho sentito la notizia che a Mandela cominciava a mancare il respiro -i suoi polmoni sono stati aggrediti dalla tubercolosi che ha preso durante i 27 anni di detenzione in Sud Africa – due ricordi mi sono venuti alla mente.

Nell’estate del 1961, ero in piedi in mezzo a una grande folla a Piazza Trafalgar a Londra, per ascoltare una serie di oratori che denunciavano l’apartheid, un termine che non avevo mai incontrato prima. In parte la mia ignoranza era dovuta al fatto che ero un fresco diplomato  diciottenne di scuola superiore di 18 anni, dove mi ero specializzato  soprattutto nel calcio e nel bere birra, ma anche perché ero americano e la parola semplicemente non era sullo schermo del mio  radar politico. Pochi tra noi sapevano del massacro di Sharpeville dell’anno precedente, quando la polizia del Sudafrica aveva ucciso 69 dimostranti pacifici, ma per me  “apartheid” era ancora una parola di un vocabolario esotico.

Quando sono tornato a casa a San Francisco per iniziare l’università, alcuni di noi hanno tentato di fare qualche progresso sull’argomento. L’ONU aveva indetto un boicottaggio internazionale nel 1962, ma è stato quasi completamente ignorato in Occidente. Perfino il governo laburista della Gran Bretagna che si presumeva fosse contrario all’apartheid, ha rifiutato di partecipare al boicottaggio. E difficile fare in modo che gli americano guardino oltre le loro sponde, a meno che non tornino in patria  tantissimi  sacchi con  cadaveri di soldati.

In ogni caso molti di noi sono stati trascinati nel movimento per i diritti civili, nel movimento per la libertà di espressione, e poi nella lotta per mettere fine alla guerra nel Sudest asiatico. Il movimento contro l’apartheid è passato in secondo piano.

Non è che gli americani fossero inconsapevoli dell’apartheid – anche se dubito che molte persone, anche nei movimenti dei diritti civili, avrebbero potuto dare la definizione della parola in lingua Afrikaans: “la condizione di chi è separato” – era che nessuno sapeva proprio che cosa fare al riguardo. Fino a quando il movimento contro l’apartheid è uscito fuori con l’idea di disinvestire nelle compagnie che facevano affari con il regime di Pretoria, sembrava una cosa irraggiungibile.

Però nel 1970 quella situazione è cominciata a cambiare e, senza screditare nessuna altra zona del paese,  la Baia Est di San Francisco è stata “Il luogo di nascita del movimento statunitense contro l’apartheid.”

E’ stata però una lunga, lenta fatica.

Nel 1972 il Rappresentante democratico della California al Congresso, Ron Dellums,  ha introdotto la Legge   contro l’apartheid  che  è morta quando è arrivata a Washington. L’anno successivo, il sindaco di Berkley, Lonnie Hancock ha tentato di far disinvestire alla città da compagnie che investivano in Sudafrica, ma il tentativo è fallito. Ci sono voluti sei anni di sforzi ripetuti per fare in modo che Berkley disinvestisse. Quando finalmente lo ha fatto, è diventata una delle prime comunità della nazione a farlo.

La svolta nella lotta contro l’apartheid è arrivata nel 1984, quando gli studenti e la facoltà del Campus dell’Università della California della sede di Berkley, hanno chiesto che la più grande università  del mondo disinvestisse i suoi miliardi di dollari di investimenti nelle compagnie che facevano affari con il Sudafrica. A quell’epoca ero un inviato che gli ha augurato ogni bene, ma che non aveva grandi speranze di successo. Continuavo a pensare a un verso di una poesia del rivoluzionario irlandese Padraic Pearse su coloro che erano partiti per  “provare la  loro forza e morire, essi e pochi altri, per protestare in modo cruento per una cosa magnifica. Si parlerà di loro tra la loro gente. Le generazioni li ricorderanno e li chiameranno beati.”

Come mi sono sbagliato. I ricordi del passato talvolta possono non farci vedere il potenziale per il futuro.

Gli studenti hanno costruito delle baracche nel campus, hanno assediato il consiglio dei reggenti, e hanno preso il controllo della storica Sproul Plaza per sei settimane. L’università ha reagito in maniera tipica: gas lacrimogeni, arresti, espulsioni, e ostruzionismo, che era come spendere un incendio con la benzina. I gruppi per i diritti civili e i sindacalisti si sono uniti alle dimostrazioni, insieme alla gente di tutta la Zona della Baia. L’università presto si è trovata in guerra con tutta la sponda est della Baia.

La pressione era proprio troppa, perfino per il potente e ricco consiglio dei reggenti. Nel 1986 le compagnie hanno ritirato 3 miliardi di dollari dalla compagnie che facevano affari con il Sudafrica,       facendo apparire piccole le modeste decisioni per il disinvestimento da parte di università come quella di Harvard. Dellums ha introdotto di nuovo la legislazione sul disinvestimento, e nel 1986 il Congresso degli Stati Uniti la ha approvata. E’ stata la campana a morte per l’apartheid.

Mandela è rimasto in prigione fino al 1990, quando era diventato chiaro al parlamento sudafricano che non poteva più resistere alla pressione internazionale per rilasciarlo e per porre fine al sistema che ha incatenato un popolo per oltre 40 anni. Mentre l’apartheid è terminata ufficialmente nel 1990, è stata definitivamente seppellita soltanto quando Mandela è diventato presidente.

E questo porta al secondo ricordo.

Il  1° luglio 1990 Mandela è venuto al Coliseum di Oaklamd e ha detto a 58.000 persone: “E’ chiaro oltre ogni ragionevole dubbio che la fine della proibizione alla nostra organizzazione [Il Congresso Nazionale Africano] è arrivata in seguito alla pressione esercitata da voi da soli sul regime dell’apartheid.” Ha ringraziato la folla e ha salutato con il pugno teso in aria. No, gli studenti, la facoltà, le organizzazioni per i diritti civili, i residenti e i sindacalisti di Berkley non hanno abbattuto l’apartheid da soli, ma perché hanno perseverato e hanno avuto la spina dorsale, hanno aiutato a dare il via a una valanga.

Delle volte è difficile ricordare queste lezioni, perché DuBois aveva ragione: le fini arrivano lentamente e la storia è lunga. Alla fine,  però sono quelli che riempiono le piazze, che si incatenano alle porte, che non danno importanza ai gas lacrimogeni e ai manganelli – che perseverano anche davanti alla prigione, all’esilio, perfino alla morte – a cui spettano gli allori della storia.

Ci mancherà questo caro uomo che amava la libertà e l’umanità così tanto che, indipendentemente da quello che gli veniva fatto, non si è piegato. Si è posto degli obiettivi importanti. Lo onoriamo superandoli.


Potete leggere cosa scrive il commentatore di Foreign Policy In Focus, Conn Hallinan, su: dispatchesfromtheedge.wordpress.com


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/a-tribute-to-nelson-mandela-from-san-franciscos-east-bay-birthplace-of-th-u-s-anti-apartheid-movement-by-conn-hallinan

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