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http://wagingnonviolence.org Dovremmo preoccuparci di cercare di cambiare i cuori dei nostri avversari? La tendenza record di vittorie delle campagne che utilizzano l'azione diretta nonviolenta continua a crescere. Altri attivisti di tutto il mondo in questo momento stanno pianificando la realizzazione di campagne su cui chiunque possa contare. Il Global Nonviolent Action Database include reports di oltre 800 campagne; cui i ricercatori hanno attribuito a ciascuna un voto su scala da 0 a 10 per valutare il grado di successo nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Molte delle campagne hanno un punteggio 10, alcune punti 0 e, la maggior parte, cade nel mezzo. Gli attivisti di oggi sono sempre impegnati a chiedersi: quando la campagna è vincente, quali sono le acause? I meccanismi del cambiamento Quando ho affrontato la questione nella scuola di specializzazione nel 1960, ho notato che i percorsi dei movimenti verso il successo sono diversi. Quindi mi sono concentrato su queste differenze per identificare i meccanismi per raggiungere il successo. Gandhi ha detto che il suo obiettivo era quello di convincere l'avversario che gli attivisti erano corretti. Ho usato le parole di Gandhi e ho chiamato quel meccanismo conversione. Un successo è tale quando le caste inferiori indù si ribellarono perché non venivano ammessi su una strada per il tempio usata da caste indù superiori. I Dalit venivano accusati di sporcare la strada semplicemente usandola. Gandhi li ha incoraggiati ad intervenire direttamente, occupando la strada del tempio, anche quando il monsone ha allagato la strada e sono dovuti rimanere in acqua fino alla vita. Dopo un anno la polizia ha tirato giù la barricata che impediva ai dalit di procedere sulla strada. Ma gli attivisti hanno deciso di andare oltre per una completa conversione, e hanno continuato la loro veglia per altri quattro mesi fino a quando gli indù delle caste superiori si furono convinti che i Dalit avevano ragione. Tuttavia, la conversione sembra molto rara, e lo stesso Gandhi ha rinunciato al percorso di conversione di fronte l'impero britannico. - L'Inghilterra non potrà mai fare alcun progresso reale in modo da soddisfare le aspirazioni dell'India finché non è costretta ad esso, ha detto, Il dominio britannico non è un affare filantropico, ma si tratta altresì di una proposta d’affari terribilmente seria che viene elaborata da un giorno all'altro con una precisione micidiale. Il rivestimento di benevolenza che viene periodicamente sovrapposto ad essa semplicemente prolunga l'agonia. - L’Inghilterra deve essere forzata, ha detto Gandhi, con il meccanismo di coercizione. Quando costringiamo o forziamo un cambiamento contro la volontà degli avversari, che non sono d'accordo con noi sulla questione, ma che devono ascoltarci in ogni caso. Troviamo questo meccanismo in decine di casi nel database in cui le dittature vengono rovesciate in modo nonviolento. Lo Scià di Persia nel 1979, è rimasto un fascista sanguinario come sempre, ma ha preso l'aereo per gli Stati Uniti perché il suo popolo aveva dimostrato che non voleva più essere governato da lui. Fin qui, tutto bene, la conversione e la coercizione sono due meccanismi molto diversi tra loro. Ma altre campagne non hanno usato alcuno di questi meccanismi. Le persone non erano disposte ad aspettare fino a quando l'avversario veniva finalmente convertito al loro punto di vista, né si potrebbe sempre montare una non-cooperazione massiccia da essere in grado di costringere l’avversario ad arrendersi. Ho poi individuato un terzo meccanismo, la persuasione. Gene Sharp, quando ha attinto dal mio lavoro per il suo libro fondamentale The Politics of Nonviolent Action, ha ampliato la descrizione di tale meccanismo in accomodamento: L'avversario si rende conto che cedere alle richieste degli attivisti è la cosa migliore da fare, secondo le circostanze, anche se non è effettivamente costretto a farlo. Più tardi, nel suo lavoro, Gene ha aggiunto la disintegrazione, come individuare i regimi o gli avversari che in realtà si dissolvono sotto l'impatto della campagna. Questo ci ha portato a quattro vie per il successo: la conversione, la coercizione, la accomodamento e la disintegrazione. Il meccanismo più disponibile per la maggior parte di noi Ero particolarmente curioso circa l'aspetto dell’accomodamento che ho chiamato la persuasione, perché così tante campagne vincenti hanno percorso questa via, eppure mi sembrava abbastanza difficile. E' disponibile per il movimento operaio, anche se il lavoro è attualmente sempre più debole in molti paesi, e per attivisti di vario genere. Questo è il percorso attraverso il quale l'avversario ha ancora i mezzi per mantenere la politica oppressiva e ancora ci crede - l’austerità o i combustibili fossili sarebbero esempi attuali di tale situazione - solo fino a cambiare una volta che non c'è più la volontà di mantenere il meccanismo della pena, ne di continuare l'ingiustizia. Le donne coraggiose che hanno utilizzato l'azione diretta per chiedere il suffragio universale negli Stati Uniti, ci mostrano una versione di come funziona. Le donne del 1900 non volevano costringere gli uomini a dare loro il voto. Né potevano convertire gli uomini al femminismo, un secolo dopo, la maggior parte degli uomini in questo paese hanno cambiato idea. La strategia femminile illumina la via che potrebbe essere più disponibile per i problemi di alte poste in gioco, nelle cosiddette democrazie liberali. Quando gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale, un certo numero di organizzazioni di difesa fece una cosa prevedibile e ritirò la loro pressione fino a dopo la guerra. Le donne militanti guidate da Alice Paul fece l'opposto. intensificando le loro tattiche e picchettando la Casa Bianca, dove non si erano mai organizzati picchetti di pressione sul presidente Woodrow Wilson. Le donne lo marchiarono con il titolo dell’odiato imperatore tedesco, scrivendo sui loro cartelli del picchetto, Kaiser Wilson. La loro audacia fece si che vennero fisicamente aggredite dai passanti e gettate in carcere, dove intensificarono ulteriormente prolungati scioperi della fame. Un certo numero di donne, una volta liberate, tornarono di nuovo sulla linea del picchetto, una di loro venne arrestata dozzine di volte! La parte più grande e più prudente del movimento per il voto alle donne era sgomenta per la polarizzazione causata da questa azione diretta nonviolenta, ed è vero che in un primo momento molte porte rimasero chiuse per la causa del suffragio in una nazione in guerra. Ho intervistato Alice Paolo molti anni dopo e ho trovato in lei l’astuta stratega che sapeva che la polarizzazione avrebbe chiuso le porte nel breve periodo, ma che poi le aavrebbe aperte nel periodo a lungo termine - sta tutto nella tempistica. Quello che ha fatto è stato inviare le donne vittime di brutali aggressioni in carcere, fuori per un giro di conferenze, per raccontare la storia della loro sofferenza. Il pubblico continuava a non gradire il picchettaggio ma divenne empatico con queste donne che soffrivano per le loro convinzioni. I detentori del potere cominciarono a sentire il calore delle proteste. Volstead, il rappresentante del Minnesota, disse: - Anche se io non approvo il picchettaggio, disapprovo più fortemente i metodi da teppisti perseguiti nel sopprimere la pratica. - Infine, il fatto di soffrire è diventato più forte della resistenza al voto alle donne, e uno del Congresso fu segnalato per aver detto: - Mentre io sono stato sempre contrario al suffragio universale, sono stato così colpito dal trattamento delle donne in carcere che io ho deciso di votare per l'emendamento federale. - Una massa critica degli avversari, tra cui il presidente Wilson, era convinta che, anche se le donne sbagliavano, non erano poi così pericolose da giustificare lunghi e brutali pene detentive. Come la persuasione usa la violenza dell'avversario per vincere?
Per capire come funziona questo abbiamo bisogno di ricordare qualcosa sulla violenza sistematica. Nei conflitti sociali le persone con il compito di reprimere violentemente offorno immagini disumanizzanti per sostenere il loro lavoro. Gli antichi soldati greci facevano la guerra contro i barbari. I bianchi pensavano che gli schiavi africani fossero animali. I nazisti chiamavano gli ebrei parassiti e i soldati americani chiamavano i vietnamiti musi gialli. I detenuti di Guantanamo sono terroristi, il peggio del peggio. Quando ricerco nel dettaglio, alcune campagne di persuasione di successo, trovo che gli attivisti usano tattiche che minano brillantemente le immagini che i responsabili di tali azioni usano per sostenere la loro violenza. Le tattiche dei movimenti variano, a seconda del contesto specifico. Il film di Danny Glover, Freedom Song, mostra graficamente quanto il livello di dettaglio e di sfumature possono raggiungere queste tattiche. Il film è basato sull’entrata, nel 1961, della Student Nonviolent Coordinating Committee nel Mississippi dominato dal Ku Klux Klan. Quando la vita degli attivisti era sulla linea, l'attenzione al dettaglio poteva fare la differenza tra un pestaggio e l'uccisione. Ecco un esempio di immaginario razzista: - gli uomini neri portano rasoi e coltelli - e i manifestanti sono marmaglia con niente di meglio da fare. - Prima degli scontri gli studenti neri vestiti con camicie e cravatte, portarono i loro libri di scuola, e lasciarono i loro coltelli in casa . L’Sncc degli inizi, e altri minavano sistematicamente l'inquadratura necessaria ai razzisti per liberare la loro repressione. Quello che i bianchi, le suffragette della classe media e gli studenti neri avevano in comune era un talento nel focalizzare l'attenzione degli avversari su qualcosa che non potevano aver visto in precedenza. Le donne precedentemente trattate in modo infantile, per drammatizzare la propria forza e determinazione, trafissero il paternalismo sessista. Gli studenti neri precedentemente disumanizzati, per drammatizzare la propria intelligenza, coraggio e dignità, indebolirono il disprezzo razzista. L’organizzatore dell’Sncc Charlie Jones, una volta mi ha raccontato della donna bianca che,entrata in una caffetteria, divenne isterica quando vide alcuni studenti neri, seduti dove pensava solo i bianchi potessero sedersi. Lanciò un torrente di insulti allo studente più grande, poi lo spinse violentemente fuori dallo sgabello su cui era seduto. Egli cadde a terra, si fermò un momento per riprendersi, poi con calma si alzò in tutta la sua altezza mentre continuava a guardarla, e le fece cenno con la mano tesa che era libera di andare. Lei scoppiò in lacrime e fu condotta nel negozio di un amico. Una settimana dopo, la donna si era unita al lavoro ausiliario, una delle donne bianche a sostegno del sit-in, un gruppo di alleati, che rese difficile per la struttura di potere razzista continuare a reprimere gli studenti di colore. Storie simili si possono trarre da molte lotte in molte culture. La chiave è che la sofferenza degli attivisti è volontaria. Sofferenza involontaria come quella vissuta dalle vittime del genocidio raramente ha questo effetto. L'immagine disumanizzata di un gruppo che mostra i persecutori continuare la loro violenza è contradittoria, in tutte le culture che conosco, e viene drammatizzata con il coraggio. Il rifiuto degli attivisti di correre e nascondersi, ma invece di intensificare la loro protesta, è un significante universale di coraggio e procura un contagioso rispetto di sé. La metafora di Gene Sharp di un politico jiu-jitsu è giusta, dal momento che gli artisti marziali, come gli attivisti non violenti, sono desiderosi di usare la forza apparente dell'avversario contro di lui. A volte questo significa cambiare la sua mente o il cuore, mentre altre volte non è così. In entrambi i casi, gli attivisti possono vincere. http://wagingnonviolence.org Should we bother trying to change our opponents’ hearts? The track record of wins for campaigns that use nonviolent direct action continues to grow. More activists around the world at this very moment are planning and carrying out campaigns than anyone can count. The Global Nonviolent Action Database includes accounts of over 800 campaigns; researchers rate each on a scale of 0 to 10 to estimate its degree of success in achieving its goals. Many of the campaigns score 10, some score 0 and most fall in between. Today’s activists are bound to wonder: when campaigns win, how do they do it? Mechanisms of change When I tackled this question in graduate school in the 1960s, I noticed that movements’ pathways to success are different. So I focused on these differences to identify mechanisms for achieving success. Gandhi sometimes said that his aim was to convince the opponent that the campaigners were correct. I used Gandhi’s word and called that mechanism conversion. One success happened when lower caste Hindus rebelled because they weren’t allowed on a temple road used by upper caste Hindus. The dalits were said to make the road unclean simply by using it. Gandhi encouraged them to take direct action, and they occupied the temple road even when the monsoon flooded the road and they had to stand in water up to their waists. After a year the police took down the barricade preventing the dalits from proceeding on the road. But the campaigners decided to go for conversion, and they continued their vigil for four more months until the upper caste Hindus were convinced that the dalits were right. As I searched through other cases, however, conversion seemed very rare, and Gandhi himself eventually dropped the conversion pathway when facing the British Empire. “England will never make any real advance so as to satisfy India’s aspirations till she is forced to it,” he said. “British rule is no philanthropic job, it is a terribly earnest business proposition worked out from day to day with deadly precision. The coating of benevolence that is periodically given to it merely prolongs the agony.” England must be “forced,” Gandhi said the mechanism of coercion. When we coerce we force a change against the will of the opponent, who still disagrees with us about the issue but must give in anyway. We find this mechanism in the dozens of cases in the database where dictatorships are overthrown nonviolently. The shah of Iran in 1979 remained as fascistic and bloody-minded as ever, but he got on the plane to the United States because his people had shown they would no longer be governed by him. So far, so good conversion and coercion, two mechanisms very different from each other. But additional campaigns I was running into didn’t use either of these mechanisms. The people weren’t willing to wait until the opponent finally converted to their point of view, nor could they always mount such massive noncooperation as to be able to coerce. I then identified a third mechanism, persuasion. Gene Sharp, when he drew from my work for his foundational book The Politics of Nonviolent Action, expanded the description of that mechanism into accommodation: The opponent realizes that yielding to the demands of the campaigners is the best thing to do under the circumstances, even though not actually forced to do so. In his later work Gene added disintegration, to identify regimes or opponents that actually dissolve under the impact of the campaign. That brought us to four pathways to success: conversion, coercion, accommodation and disintegration. The mechanism more available to most of us I was especially curious about the aspect of accommodation that I called persuasion, because so many winning campaigns have achieved this, and yet it seemed to me fairly tricky. It’s available to the labor movement, although labor is presently growing weaker in many countries, and to activists of many kinds. This is the pathway by which the opponent still has the means to maintain the oppressive policy and still believes in it austerity or fossil fuels would be current examples of that situation only to later shift once there is no longer the willingness to keep the machinery of punishment going that’s needed to continue the injustice. The courageous women who used direct action to demand suffrage in the United States show us one version of how this works. The women of the early 1900s were not going to coerce the men to give them the vote. Nor could they convert the men to feminism; a century later most men in this country still aren’t there. The women’s strategy illuminates the pathway that might be most available for high-stakes issues in so-called liberal democracies. When the United States joined World War I, a number of advocacy organizations did the expected thing and dialed back their pressure until after the war. The militant women led by Alice Paul did the opposite. They escalated their tactics and picketed the White House, which had never before been picketed, to pressure President Woodrow Wilson. The women branded him with the title of the hated German emperor by writing on their picket signs, “Kaiser Wilson.” Their boldness got them physically attacked by passersby and thrown into jail, where they escalated still further by prolonged hunger strikes. A number of the women, when released, went right back to the picket line; one woman was arrested dozens of times! The larger and more cautious part of the women’s suffrage movement was appalled at the polarization caused by this nonviolent direct action, and it’s true that at first many doors closed to the cause of suffrage in a nation at war. I interviewed Alice Paul many years later and found in her the shrewd strategist who knows that polarization can close doors in the short run and open them for the longer run it’s all in the timing. What she did next was send women recovering from brutal prison treatment out on speaking tours to tell the story of their suffering. The public continued to dislike the picketing but became empathic with these women who were suffering for their beliefs. Power-holders started to feel the heat. U.S. Representative Volstead of Minnesota said, “While I do not approve of picketing, I disapprove more strongly of the hoodlum methods pursued in suppressing the practice.” Finally, the fact of suffering became stronger than resistance to women voting, and one congressman is reported to have said, “While I have always been opposed to suffrage, I have been so aroused over the treatment of the women [in prison] that I have decided to vote for the federal amendment.” A critical mass of the opponents, including President Wilson, was persuaded that, even though the women were wrong, they were not really so bad as to justify long and brutal prison sentences. How does persuasion use the opponent’s violence to win? To understand how this works we need to remember something about systematic violence. In social conflicts the people tasked with violent repression are given dehumanized images to help them do their work. Ancient Greek soldiers waged war against “the barbarians.” White people were taught that African slaves were “animals.” The Nazis called Jews “vermin” and U.S. soldiers called Vietnamese “gooks.” Detainees in Guantanamo are “terrorists” “the worst of the worst.” When I research some successful persuasion campaigns in detail, I find that the campaigners use tactics that brilliantly undermine the images that perpetrators use to support their violence. Movement tactics vary, depending on the specific context and set of images. The Danny Glover film Freedom Song shows graphically how detailed and nuanced these tactics can be; the film is based on the 1961 entry of the Student Nonviolent Coordinating Committee into Ku Klux Klan-dominated Mississippi. When activists’ lives are on the line, attention to detail can make the difference between a beating and killing. Here’s a sample of racist imagery: “Black men carry razors and knives” and “demonstrators are riff-raff with nothing better to do.” Before confrontations the black students dressed in shirts and ties, carried their schoolbooks, and left their knives at home. The early SNCC and others were systematically undermining the framing that racists needed fully to unleash their repression. What the white, middle-class suffragists and the black students had in common was a knack for focusing their opponents’ attention on something the opponents could not have seen earlier. The previously infantilized women, by dramatizing their own strength and determination, pierced sexist paternalism. The previously dehumanized black students, by dramatizing their own intelligence, courage and dignity, weakened racist contempt. SNCC organizer Charlie Jones once told me about the white woman entering a southern lunch counter who went hysterical when she saw black students sitting where she thought only white people should be. She launched a torrent of abuse at the biggest student, then violently pushed him off his lunch counter stool. He fell to the floor, paused a moment to gather himself, calmly rose to his full height while holding her with his gaze, and motioned with outstretched hand that she was free to go. She broke into tears and was led from the store by a friend. A week later the woman had joined a white women’s auxiliary working in support of the sit-ins, a group of allies that made it difficult for the racist power structure to keep repressing the students. Similar stories can be drawn from many struggles in many cultures. The key is that the campaigners’ suffering is voluntary. Involuntary suffering such as that experienced by victims of genocide rarely has this effect. The dehumanized image of a group that perpetrators need to continue their violence is contradicted, in all cultures I know of, by dramatized courage. The campaigners’ refusal to run and hide, but instead to step up to “take it,” is a universal signifier of courage and carries a contagious self-respect. Gene Sharp’s metaphor of “political jiu-jitsu” is fitting, since martial artists, like nonviolent campaigners, are eager to use the opponent’s apparent strength against him. Sometimes this means changing his mind or heart, while other times it doesn’t. Either way, campaigners can win.
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