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apr 5th, 2013

Il bluff di Kim: giustificare al popolo affamato gli armamenti e passare come il salvatore della pace
di Enrico Oliari

Benché la tensione sia ormai alle stelle, diversi analisti continuano a ritenere che le minacce di Pyongyang di attacco nucleare rivolte agli Stati Uniti ed alle sue basi in Corea del Sud, a Guam ed in Giappone, abbiano un valore puramente di carattere propagandistico ad uso interno. Infatti il regime guidato da Kim jong-un ha prima di tutto il problema politico di dover giustificare davanti al proprio popolo, costretto ad un tenore di vita molto ridotto, le ingenti spese militari e di ricerca nel campo degli armamenti nucleari e persino i tentativi, spesso malriusciti, di lanciare satelliti nello spazio.
La Corea del Nord è uno dei paesi più impenetrabili del mondo, conta poco meno di 25 milioni di abitanti e se nei primi decenni di instaurazione del regime del Partito dei Lavoratori, di stampo marxista-leninista, ebbe una certa crescita, da anni ormai soffre di carenze alimentari, al punto che solo pochi giorni fa Desiree Jongsma, coordinatore Onu in Corea del Nord, ha dichiarato che due  terzi dei 24 milioni di persone che vivono in Corea del Nord soffrono di insicurezza alimentare cronica, anche se le puntuali importazioni hanno finora consentito quest’anno di evitare una crisi.
Secondo un’inchiesta nazionale sulla nutrizione realizzata dall’Onu nel 2012, quasi il 28 per cento dei bambini al di sotto dei cinque anni soffre di malnutrizione cronica e il quattro per cento è gravemente denutrito. Anemia e denutrizione sono tra le principali cause della mortalità materna e infantile, ha indicato lo studio. Per quanto riguarda i diritti umani, diverse testimonianze di prigionieri evasi hanno indicato la presenza di campi di concentramento e di rieducazione nei quali sarebbero internati milioni di cittadini.
Le esercitazioni navali congiunte al di sotto del 38mo parallelo fra gli Stati Uniti e la Corea del Sud, che si tengono ogni anno, hanno quindi dato occasione al regime di Pyongyang di far vedere i muscoli immettendo nel paese una forte dose di allarmismo e rendendo così giustificabile la corsa agli armamenti e la ricerca nel campo nucleare.
Nei giorni scorsi i satelliti statunitensi ed il sistema di intelligence hanno potuto dimostrare che, nonostante le ripetute minacce, non vi sono stati spostamenti di truppe in Corea del Nord e la cosa è stata detta in modo plateale al punto che oggi Pyongyang, per non sfigurare eccessivamente davanti all’opinione pubblica internazionale, ha deciso di sposare sulla costa orientale due missili a media gittata, caricati su veicoli dotati di rampe di lancio; si tratterebbe di missili a medio raggio Musudan, capace di coprire 4.000 chilometri e quindi di raggiungere anche la base Usa di Guam.
Una settimana fa gli Stati Uniti hanno reso noto di non sottovalutare le minacce di Kim jong-un e, forse anche per dare sicurezza all’alleato Seul, hanno inviato in Corea del Sud due bombardieri B-2 Stealth, ufficialmente “per una missione di addestramento di lunga durata” e, pochi giorni dopo, diversi jet F-22 ed alcune navi da guerra, di solito di stanza in Giappone, a Kadena, quale “ultima dimostrazione da parte americana delle avanzate capacità militari come mezzo per scoraggiare le provocazioni dalla Corea del Nord”, come ha riportato il Wall Street Journal.
I media statali della Corea del Nord hanno quindi annunciato di essere ufficialmente in stato di guerra con Seul, per cui tutte le questioni tra i due Paesi vengono trattate secondo il “protocollo di guerra”; è stata anche annunciata dell’interruzione dell’unica linea di comunicazione fra le due Coree, il “Telefono rosso”, ed è stato chiuso l’impianto industriale di Kaseong, in territorio nordcoreano, che impiegava 50mila lavoratori del Nord e 900 del Sud, anche se il ministro dell’Unificazione di Seul, Ryoo Kihl-jae, ha fatto sapere che “le (attuali) condizioni non sono gravi a tal punto. Pertanto (il governo) non sta considerando il ritiro” dei propri lavoratori dall’impianto intercoreano.
L’elemento dirimente della situazione è tuttavia l’atteggiamento della Cina, unico e storico alleato di Pyongyang, la quale è costretta, in quella che la momento è una pura guerra di minacce, a tutelare i propri interessi che sono prima di tutto a Occidente. Specialmente la nuova classe dirigente cinese ha infatti intenzione di conservare buoni rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione europea, realtà con le quali sono in essere importanti scambi commerciali e finanziari.
Il quotidiano sudcoreano JoongAng Ilbo, citando “numerose fonti”, fa scritto che la Cina avrebbe rifiutato ripetutamente, nei giorni scorsi, di inviare un suo rappresentate in Corea del Nord nonostante le insistenti richieste di Pyongyang, rispondendo, come si usava in altri tempi, che “se vogliono parlare devono inviare loro qualcuno”.
Non solo: Pechino sta rafforzando il proprio apparato difensivo lungo il confine con la Corea del Nord ed il segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, si è sentito al telefono con il ministro della Difesa cinese, il generale Chang Wanquan, il quale ha manifestato l’intenzione della Cina di preservare la pace nell’area.
Il segretario alla Difesa ha detto all’omologo cinese di prendere “le minacce della Corea del Nord seriamente: Pyongyang costituisce un pericolo reale e chiaro” per gli Stati Uniti e gli alleati. Hagel ha poi riferito che la Cina punta a evitare una “situazione di guerra”.
Dal momento che la Cina, dovendo scegliere, è pronta a girare le spalle alla Corea del Nord, Kim jong-un si troverebbe così solo, di fronte al gigante Nato, per cui ancor di più le minacce di Pyongyang appaiono come poco credibili e semmai utili per far accreditare, attraverso la propaganda interna, il leader della Corea del Nord come il salvatore della pace.

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