Il Manifesto
La crisi egiziana soffoca la Striscia di Gaza I palestinesi temono la chiusura totale dei tunnel tra Gaza e l'Egitto e fanno scorta di generi di prima necessità. Colpiti anche i pescatori, gia' vittime del blocco israeliano Gaza, 27 luglio 2013, Nena News - E' il destino della Striscia di Gaza. Vivere nell'emergenza, nella precarietà. Non a causa di disastri naturali ma di decisioni politiche prese dagli israeliani e dagli egiziani, aggravate dal disinteresse internazionale verso la condizione di 1,6 milioni di palestinesi. La crisi egiziana e la guerra tra esercito e islamisti radicali che si combatte nel vicino Sinai, stanno avendo un rapido e drammatico impatto sulla vita dei civili palestinesi. Ne sanno qualcosa anche i volontari italiani di "Music for Peace" rimasti bloccati per un mese ad Alessandria d'Egitto con il loro convoglio di aiuti umanitari destinato alla Striscia. Una volta ricevuto il via libera, sono poi rimasti per giorni fermi a El Arish a poche decine di km dal valico di Rafah che ormai apre ad intermittenza. Oggi, in tarda mattinata, il convoglio di "Music for Peace" dovrebbe finalmente arrivare al terminal di confine e fare ingresso a Gaza dove scaricherà diverse tonnellate di merci in aiuti umanitari di ogni tipo, dalle medicine a quaderni e penne per i bambini. «La gente è scoraggiata - ci racconta la fotoreporter e attivista italiana Rosa Schiano che vive e lavora a Gaza - tanti mi dicono che la situazione sta peggiorando dopo giorno dopo. Molte famiglie fanno scorta di medicinali». Alcuni palestinesi, aggiunge Schiano, temendo la chiusura totale dei tunnel sotterranei tra Gaza e l'Egitto, hanno cominciato a procurarsi generi di prima necessità per fare fronte all'emergenza. «Nel palazzo dove vivo - conclude la fotoreporter - hanno messo a punto un piano in vista della mancanza totale di carburante egiziano, che passa per i tunnel. Quello israeliano infatti costa troppo e i palestinesi non possono permetterselo». Il rischio, come sempre, è che i poveri, ossia la maggioranza della popolazione di Gaza, che non ha generatori autonomi e soldi per comprare il carburante al mercato nero, restino al buio, confortati solo dalla fioca luce delle candele. Senza sottovalutare l'impatto che la carenza di benzina e di gasolio ha sui servizi pubblici, a cominciare dagli ospedali che dovranno affidarsi, come spesso accade, all'assistenza delle agenzie dell'Onu per continuare a funzionare. Lontano da Gaza molti ritengono che il colpo di stato militare in Egitto e la conseguente deposizione del presidente islamista Mohammed Morsi abbia soltanto comportato una brusca interruzione del rapporto politico speciale che negli ultimi due anni il movimento islamico Hamas aveva allacciato con il Cairo. Le conseguenze più gravi invece le paga la popolazione. Il ministro dell'economia del governo di Hamas, Alaa Rafati, l'altro giorno ha riferito che Gaza ha perduto almeno 230 milioni di dollari a causa della chiusura e della distruzione di molti tunnel attuata dall'Esercito egiziano nel quadro della vasta operazione militare in corso nel Sinai contro i i jihadisti. Questi ultimi, affermano i comandi militari del Cairo, godrebbero di appoggi nella Striscia e utilizzerebbero i tunnel sotterranei per sfuggire alla cattura. Da Gaza smentiscono con forza questa accusa, lanciata già un anno fa dopo un attacco jihadista contro una caserma della polizia, ma le Forze Armate egiziane non cessano la distruzione delle gallerie sotterranee, il polmone che tiene in vita la Striscia. Non solo. La chiusura di molte delle 2000-3000 gallerie sottorranee attraverso le quali passano merci di ogni tipo - persino animali vivi come mucche e pecore - ha causato anche la perdita del lavoro per 20mila persone impegnate nel traffico clandestino ("regolato" però Hamas) e come muratori in progetti infrastrutturali finanziati da Qatar e Turchia. Dai tunnel infatti non passano più i materiali da costruzione oltre alle merci e al carburante. L'Egitto, anche con l'islamista Morsi al potere, non ha mai annullato l'accordo del 2005 con Usa, Israele, Unione europea e Autorità nazionale palestinese che prevede che Rafah sia esclusivamente un transito per le persone, mentre le merci devono passare attraverso Kerem Shalom (per "motivi di sicurezza"). Ciò lascia a Israele un grande potere di controllo su ciò che entra ed esce da Gaza, costringendo i palestinesi a procurarsi gran parte delle merci di cui hanno bisogno attraverso i tunnel (che l'aviazione dello Stato ebraico talvolta bombarda «per impedire il traffico di armi»). Tuttavia con Morsi al potere le guardie di frontiera egiziane avevano chiuso un occhio, spesso entrambi, di fronte ai traffici clandestini. Dalle nuove autorità del Cairo ora arriva segnali di rigidità dei confronti degli abitanti di Gaza, tutti automaticamente associati ad Hamas e, quindi, ai Fratelli Musulmani. Anche il mare ora viene sorvegliato con attenzione e ai pescatori palestinesi, già colpiti dalle forti restrizioni imposte con la forza, dalla Marina militare israeliana, dal 18 luglio è vietato pescare nelle acque territoriali egiziane. Fino a qualche settimana fa invece i pescherecci di Gaza potevano gettarvi le reti senza problemi. Sulla Striscia ora incombe anche la guerra siriana. Hamas ha ottenuto molto dall'abbandono di Damasco - il Qatar e le altre monarchie del Golfo hanno favorito un ampio riconoscimento arabo e islamico della sua autorità su Gaza - ora però comincia a sentire i riflessi dello spostamento delle donazioni da Gaza alla Siria dove infuria la guerra civile. Senza dimenticare che la scelta di campo fatta da Hamas a favore dei sunniti siriani in conflitto con l'alawita (sciita) Bashar Assad, ha visto l'Iran ridurre sensibilmente le donazioni al movimento islamico palestinese. Il ministro delle finanze di Hamas, Ziad Zaza, minimizza l'impatto delle decisioni di Tehran, ma secondo alcune fonti l'aiuto annuale iraniano sarebbe sceso da 370 a 120 milioni di dollari. Nena News
|