Questo articolo e' stato pubblicato il 23 luglio 2013 dal quotidiano Il Manifesto

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martedì 23 luglio 2013 10:53

«Music for peace», un'odissea senza fine
di Giuseppe Acconcia

Per il convoglio della ong italiana bloccato per settimane e' cominciato l'ultimo tratto di strada, il più difficile nel teatro degli scontri nel Sinai tra esercito e islamisti radicali.

Alessandria d'Egitto, 23 luglio 2013, Nena News - Music for Peace ha lasciato Alessandria. Ma l'odissea della carovana diretta verso Gaza sembra non avere fine. Erano arrivati in Egitto il 22 giugno scorso a pochi giorni dalle previste manifestazioni per chiedere le dimissioni del presidente islamista Mohammed Morsi. Ma sono ripartiti solo all'alba della scorsa domenica. «Abbiamo rinunciato a portare con noi il furgoncino Mercedes che ha creato tanti problemi alla dogana - ci spiega per telefono Sandra Vernocchi, responsabile del gruppo - Ora siamo bloccati al Ponte della pace nella città di Ismaylia. Per passare il Canale di Suez dovremmo affrontare una coda di tre giorni. Ma forse riusciremo a velocizzare le procedure e ad attraversare il Sinai questa notte (lunedì, ndr)».

Abbiamo incontrato, prima che intraprendessero questo lungo e complesso viaggio, nel centro di Alessandria, i cinque italiani dell'ong genovese, insieme a Mustafa El Ghindi, capitano dell'Ocean Express, responsabile del traffico merci con il porto di Messina, che li ha assistiti per ottenere i necessari permessi. Viaggiano con sei veicoli, inclusa una Mercedes e un'ambulanza, trasportando 120 tonnellate di aiuti verso la Striscia di Gaza. La ong porta con sé un valore pari a 200mila euro in medicinali, un generatore elettrogeno da 300 Kw/h, apparecchiature radiografiche, sedie a rotelle e stampelle. Il gruppo lavora in partnership con quattro ospedali e 10 associazioni dislocate a Gaza.

«Avevamo tutti i permessi in regola», ci spiega Stefano Rebora, responsabile del gruppo che, per la quinta volta dall'operazione Piombo fuso, cerca di raggiungere Gaza. «Il ministero degli Esteri italiano aveva concordato con il Mukabarat (Servizi segreti egiziani) il permesso per il nostro convoglio. Ad Alessandria ci sarebbe dovuto essere soltanto un controllo del carico e dei mezzi» - prosegue Rebora.

Ma qualcosa è andato storto, il furgone ha attratto l'attenzione della polizia egiziana che ha allertato i servizi per un mezzo non compatibile con gli «aiuti umanitari». «L'ipotesi più plausibile è che la polizia - prosegue Rebora - non sia stata in grado di fornire la scorta minima: un poliziotto per ogni convoglio. Per questo hanno addotto dei motivi burocratici e hanno chiesto di rivolgerci alle autorità diplomatiche». E così i malcapitati volontari si sono trovati catapultati nel pieno degli scontri per il colpo di stato militare e nelle violenze ad Alessandria d'Egitto. «Siamo scesi in strada in occasione dell'anniversario dell'elezione di Morsi il 30 giugno scorso. C'erano tre milioni di persone, un'atmosfera indescrivibile. Vedevamo elicotteri da combattimento sorvolare sulle nostre teste all'altezza del terzo piano degli edifici. Qualche giorno prima abbiamo assistito agli scontri più accesi e a incendi alle sedi della Fratellanza», ci racconta Rebora.

In quei giorni così tesi, la rappresentanza diplomatica italiana in Egitto consigliava al convoglio di rientrare in Italia per le deteriorate condizioni di sicurezza nel Sinai. Ma Music for Peace ha deciso di non rinunciare e ha ottenuto il sostegno del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, e di Genova Marco Doria che hanno lanciato un appello, sollecitando l'intervento del ministero degli Esteri.

Ma le vicissitudini non sono finite qui. Per poter ripartire, l'ong ha dovuto presentare alla dogana egiziana una lettera di garanzia. «In base alle fatture abbiamo dovuto pagare 7500 ghinee (800 euro), presentare la lettera di un'agenzia che garantisse per il valore stimato del convoglio pari a 40mila dollari e abbandonare il furgone», ammette Rebora. L'abbandono del mezzo ormai non preoccupa più di tanto gli attivisti che hanno voglia solo di arrivare a destinazione. Ma la sorte del veicolo sembra segnata. Lasciato nel porto di Alessandria potrebbe essere facilmente reimmatricolato in Egitto e messo all'asta. «Una volta a Gaza faremo di tutto per recuperarlo tramite la Mezza luna palestinese», assicura ancora Stefano, che ci racconta del suo passato da dj (da cui viene il nome della ong), prima di dedicarsi alla difesa della causa palestinese.

Per il momento però c'è poco da scherzare, e questo si legge nei volti dei volontari del gruppo. «Sono stati giorni snervanti, ci siamo sentiti abbandonati dalle istituzioni», denuncia Alvaro Gando, un volontario. «Siamo devastati, ci dicevano di rimanere chiusi in albergo», sono le parole di Valentina Gallo, ufficio stampa della ong. «È stato come lottare contro un muro di corruzione, un'esperienza che massacra psicologicamente», aggiunge invece Claudia D'Intino. Nepotismo e corruzione segnano l'Egitto da decenni e sono i meccanismi dello «stato ombra» che mantengono in vita piccole mafie locali e uomini del regime di Mubarak, nonostante le rivolte in corso.

Ma tra qualche giorno tutto potrebbe concludersi per il meglio. È la quinta volta che Music for Peace tenta di raggiungere Gaza, la terza dopo l'operazione Piombo fuso. Nell'ultima occasione sono stati bloccati 31 giorni tra Rafah e al-Arish nel Sinai, nel 2010. In quel caso hanno proseguito la missione anche grazie all'aiuto di Vittorio Arrigoni. «Abbiamo 22 missioni alle spalle, sappiamo come affrontare situazioni critiche. Ma vogliamo attirare l'attenzione su quanto sia difficile far arrivare aiuti a Gaza in questo momento», denuncia Sandra.

Ora a Music for Peace resta da percorrere la strada più difficile, attraverso il Sinai, teatro di scontri durissimi negli ultimi giorni tra esercito e islamisti radicali. Il valico di Rafah per ora resta aperto per quattro ore di giorno, ma con la destituzione di Morsi, le restrizioni al confine con Gaza sono state inasprite ed è stato già imposto il divieto di pesca nelle acque del Mediterraneo per i pescatori palestinesi. Ai volontari non resta che portare a termine una missione che in Italia ha già dato enormi frutti, coinvolgendo nei progetti della ong scuole elementari, medie e superiori tra Milano, Torino, Parma e Pisa: oltre 20mila studenti. L'impegno ha permesso a Rebora e ai volontari che abbiamo ascoltato di ristrutturare la loro sede con materiali di riciclo e diventare un punto di riferimento per le associazioni di volontariato dirette verso Gaza. Nena News



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