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26 settembre 2013
Egitto: il punto della situazione
di Luca Pavone
Di Egitto si sente parlare poco ormai, tutti gli occhi sono puntati sulla Siria, ma cosa sta succedendo nel paese e quali sono gli ultimi sviluppi?
Sembra di essere tornati indietro nel tempo, precisamente nel 2011: il paese si ritrova ancora una volta senza Parlamento, senza Senato, senza un presidente eletto e con una costituzione da riscrivere. Tutto da rifare, di nuovo. Oggi come allora, è l’esercito ad uscire astutamente vincitore, dopo essersi nuovamente imposto come l’unica vera solida ed intaccabile istituzione in Egitto, l’unica in grado di salvare il paese, prima dal caos esploso con il collasso del regime di Mubarak ed ora dal disastroso operato di Morsi e dei suoi “Fratelli “.
Le strade del Cairo sono tappezzate di foto del generale El Sisi, dipinto da molti come il nuovo Gamal Abdel Naser. Gli egiziani non hanno dimenticato le violente repressioni messe in atto dal Consiglio Supremo delle Forze Armate quando prese il potere nel paese dopo la rivoluzione del 2011 , ma nonostante questo sono scesi in milioni per “implorare” i militari di intervenire, col rischio di ricadere nella trappola di un regime militare, sebbene l’esercito continui a ribadire che non presenterà alcun candidato alla presidenza (altro grande punto interrogativo, dal momento che non è emersa finora una figura forte e carismatica ad eccezione del “leone” Abdelfattah El Sisi).
Dall’altra parte, l’islam politico è in crisi: i leader della Fratellanza sono in carcere e il movimento torna ancora una volta nella piena clandestinità dopo la sentenza di un tribunale che ne ha imposto il congelamento di tutte le attività. Il gruppo deve fare i conti inoltre con un grosso calo popolarità a causa degli episodi di violenza che hanno visto coinvolte frange del movimento. I salafiti hanno preso le distanze dai Fratelli Musulmani sin da prima del 30 giugno, nel tentativo di salvarsi dal probabile e imminente tsunami, ma pagano il prezzo della loro continua ambiguità agli occhi dell’opinione pubblica.
Le due anime del paese non dialogano, non c’è alcuna volontà di sedersi ad un tavolo, forse avverrà in futuro, forse dopo altra violenza, ma per ora ognuno resta nella propria trincea.
Sul fronte della sicurezza, la situazione è migliorata e alcuni paesi europei come Belgio e Paesi Bassi hanno rimosso il divieto per i propri connazionali di recarsi nel paese, e anche la Russia sembra orientata ad attendere la fine del mese per fare lo stesso. Il coprifuoco è stato ridotto, e le attività commerciali ricominciano a respirare.
Al di fuori dell’arena politica, i problemi giornalieri sono rimasti quelli di sempre: i prezzi dei generi alimentari aumentano, la vita è sempre più cara, il problema del traffico selvaggio e dei rifiuti è ancora lì, la corruzione, la disoccupazione e la piaga delle molestie alle donne (per quest’ultimo basta farsi un giro a downtown e assistere di persona) anche.
E’ sempre più chiaro, qualora ce ne fosse bisogno di ribadirlo, che riempire Piazza Tahrir e far cadere un presidente non basta per fare una rivoluzione.