The Daily Star Un Egitto per tutti Dalla deposizione del Presidente Morsi sono morti più di 1000 egiziani. Il Paese è in uno stato di emergenza, nel vano tentativo di controllare una situazione ormai esplosiva. E se il governo non soddisfa le promesse fatte nel breve termine, la crisi potrà solo peggiorare. L’attacco di lunedì contro alcuni poliziotti nel Sinai, con i suoi 25 morti, è il più mortale di quest’anno ed è avvenuto solo un giorno dopo la notizia della morte di 36 islamisti in carcere. Le chiese vengono date alle fiamme e le varie comunità sono più che mai destabilizzate. Entrambe le parti parlano della necessità di placare la tensione, ma la realtà purtroppo è ben diversa. Ogni giorno dalla Libia arrivano sempre più armi mentre il clima insofferente del Paese attrae estremisti islamici da ogni dove, come si nota nel Sinai. La diffusa repressione dei Fratelli Musulmani non fa che peggiorare la situazione, spingendo il partito e i suoi sostenitori a nascondersi e al tempo stesso minacciando rappresaglie di lungo termine. Molti egiziani, forse non a torto, temono una irachizzazione del Paese, con attentati terroristici sempre più frequenti. Ma in un Paese di 85 milioni di persone non si può permettere che ciò accada. Le conseguenze per l’intera regione, figurarsi per l’Egitto stesso, sarebbero troppo lunghe e drastiche. E dopo due anni trascorsi per le strade, con l’industria e il turismo ad un punto morto, molti egiziani soffrono comprensibilmente la stanchezza della rivoluzione. Cibo e lavoro: ecco cosa chiedono, nulla di più. Domenica il capo dell’esercito Sisi ha promesso che in Egitto ci sarà abbastanza spazio per tutti, riferendosi ai vari orientamenti politici. Ma se davvero c’è la possibilità di dissipare questa nube tossica che sta avvelenando il Paese, questa presunta inclusività deve trovare riscontro nei fatti. Tutti gli egiziani devono poter partecipare al processo politico e aspirare a far parte dei meccanismi di governo. A nessuno deve essere permesso di annullare l’opposizione, come se bastasse premere un pulsante. Dopo decenni di autocrazia oppressiva, l’Egitto vivrà senza dubbio molti giorni di duro confronto negli anni a venire. Ma che sia un confronto sul piano politico, non sangue versato per le strade e nelle moschee.
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