Originale: Countepunch
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14 dicembre 2013

Le pedine mortali dell’Arabia Saudita
di Patrick Cockburn
Traduzione di Maria Chiara Starace

I donatori in Arabia Saudita hanno notoriamente avuto il ruolo di creare e mantenere i gruppi jihadisti sunniti negli scorsi 30 anni. Ma, con tutta la presumibile determinazione degli Stati Uniti e di suoi alleati, fin dal 9 settembre per combattere “la guerra al terrore”, hanno dimostrato straordinaria moderazione quando si è trattato di fare pressione sull’Arabia Saudita e sulle monarchie del Golfo per chiudere i rubinetti dei finanziamenti che tengono in attività gli jihadisti.

Paragonate le due dichiarazioni degli Stati Uniti che sottolineano il significato di queste donazioni e che basano le loro conclusioni sulla migliore intelligence che ha a disposizione il governo degli Stati Uniti. La prima è quella del Rapporto della commissione per l’11 settembre che ha trovato che Bin Laden non finanziava al-Qa’ida perché dal 1994 aveva poco denaro suo personale, ma contava sui suoi legami con ricchi individui sauditi, stabiliti negli anni ’80 durante la guerra afgana. Citando, tra le altre fonti, un rapporto analitico della CIA in data 14 novembre 2002, la commissione ha concluso che “al-Qa’ida sembra facesse affidamento su un gruppo scelto di collaboratori finanziari che hanno raccolto denaro da una molteplicità di donatori e organizzando raccolte di fondi in primo luogo nei paesi del Golfo e particolarmente in Arabia Saudita”.

Passano 7 anni da quando è stato scritto il rapporto della CIA durante i quali gli Stati Uniti invadono l’Iraq combattendo, tra l’altro, contro la  “filiale” di al-Qa’ida, di recente istituzione, e cominciano a intraprendere una guerra sanguinosa in Afghanistan contro i Talebani di nuovo in armi. Si usano i missili lanciati dai droni su obiettivi presumibilmente legati ad al-Qa’ida che sono situati dovunque, dal Waziristan (nel Pakistan sud-occidentale) ai villaggi sulle colline dello Yemen. Ma in questo periodo Washington non riesce a fare altro che rimproverare cortesemente l’Arabia Saudita per la promozione della militanza sunnita, fanatica e settaria, al di fuori dei suoi confini.

La prova di questo è un affascinante telegramma sul “finanziamento ai terrorismo” inviato dal Segretario di Stato Hillary Clinton alle ambasciate statunitensi, in data 30 dicembre 2009, e diffuso da WikiLeaks l’anno successivo. Diceva con fermezza che “I donatori dell’Arabia Saudita costituiscono la fonte più importante di finanziamento per i gruppi terroristici sunniti in tutto il mondo.” Otto anni dopo l’11 settembre, quando 11 dei 19 dirottatori erano sauditi, la Signora Clinton ripete nello stesso messaggio che “l’Arabia Saudita rimane un sostegno finanziario essenziale per al-Qa’ida, talebani, il gruppo LeT [Lashkar-e-Taiba Pakistan], e altri gruppi terroristici”. L’Arabia Saudita era molto importante per sostenere  questi gruppi, ma non era del tutto sola dato che “al-Qa’ida e altri gruppi continuano a sfruttare il Kuwait sia come fonte di finanziamenti che come punto chiave di transito”.

Perché gli Stati Uniti e i loro alleati europei trattano l’Arabia Saudita con tale moderazione quando quel regno era così fondamentale per al-Qa’ida e anche per altre organizzazioni settarie sunnite jihadiste? Una spiegazione ovvia è che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e altri non volevano offendere uno stretto alleato, e che la famiglia reale saudita aveva usato giudiziosamente il suo denaro per comprarsi l’ingresso nella classe dominante internazionale. Sono stati fatti tentativi non convincenti per collegare l’Iran e l’Iraq ad al-Qa’ida quando i veri colpevoli erano bene in vista.

C’è però un’altra ragione convincente per cui le potenze occidentali sono state così lente a denunciare l’Arabia Saudita e governanti Sunniti del Golfo per aver diffuso la il fanatismo e l’odio religioso. I membri di al-Qa’ida o i gruppi influenzati da al-Qa’ida hanno avuto sempre due opinioni diverse su chi sia il loro principale oppositore. Per Osama Bin Ladenil nemico principale erano gli Americani, ma per la grande maggioranza dei jihadisti Sunniti, comprese le “filiali”  di al-Qa’ida  in Iraq e in Siria, l’obiettivo sono gli Sciiti. Sono loro che sono morti a migliaia in Iraq, Siria e Pakistan e perfino in paesi dove ce ne sono pochi da uccidere, come in Egitto.

I giornali pachistani non prestano più molta attenzione alle centinaia di Sciiti massacrati da Quetta e fino a Lahore. In Iraq, la maggior parte delle 7.000 o più persone uccise quest’anno, sono civili sciiti colpiti dalle bombe di al-Qa’ida in Iraq, facenti parte di un’organizzazione ombrello che si chiama Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), che comprende anche la Siria. Nella Libia a schiacciante maggioranza sunnita, i militanti della città orientale di Derna, hanno ucciso un professore iracheno che aveva ammesso in video di essere uno Sciita prima di essere ucciso da chi lo aveva fatto prigioniero.

Supponete che una centesima parte di questo offensiva spietata, fosse stato diretta contro obiettivi occidentali, invece che contro Musulmani sciiti, gli americani e i britannici sarebbero stati così accomodanti con i sauditi, i kuwaitiani, e con i cittadini degli Emirati Arabi? E’ questo che dà un senso di falsità alle vanterie  espresse dalle burocrazie allargate  della sicurezza di Washington e di Londra, riguardo al loro successo nel combattere il terrore, giustificando ampi bilanci per loro stesse e limitate libertà civili per chiunque altro. Tutti i droni del mondo lanciati nei villaggi abitati da persone di etnia pashtun, o nei loro equivalenti in Yemen o in Somalia, non faranno molta differenza se gli jihadisti sunniti in Iraq e in Siria dovessero mai decidere – come aveva fatto Osama bin Laden prima di loro – che i loro nemici principali non si trovano tra gli Sciiti, ma negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.

Invece dei tentativi maldestri e dilettanteschi degli attentatori con le bombe nelle scarpe e nelle mutande, i servizi di sicurezza dovrebbero affrontare i movimenti jihadisti in Iraq, in Siria e in Libia

dove  si addestrano centinaia di migliaia di costruttori di bombe, e di attentatori suicidi. Soltanto quest’anno, gradualmente, dei video provenenti dalla Siria, di non-sunniti decapitati soltanto per motivi di differenza di sette hanno iniziato a scuotere l’indifferenza che fondamentalmente hanno le potenze occidentali verso il jihadismo sunnita fino a quando non è diretto contro loro stesse.

L’Arabia Saudita come governo è stata per lungo tempo in una posizione secondaria rispetto al Qatar nel finanziare i ribelli in Siria, ed è soltanto da questa estate che hanno assunto il controllo della faccenda. Desiderano emarginare le “filiali”di al-Qa’ida, come l’Isil e il Fronte al-Nusra, e allo stesso tempo comprano e armano un numero sufficiente di bande di combattenti per rovesciare il presidente Bashar al-Assad.

I direttori delle politiche saudite in Siria – il ministro degli esteri Principe Saud al-Faisal, il capo dell’intelligence saudita principe Bandar bin Sultab e il Vice ministro della Difesa, Principe Salman bin Sultan, stanno progettando di spendere miliari per costruire un esercito di circa 40.000-50.000 soldati.  I signori della guerra locali si stanno unendo per condividere la generosità saudita rispetto alla quale il loro entusiasmo è maggiore della loro disponibilità di lottare.

L’iniziativa saudita è in parte alimentata dalla rabbia che c’è a Riyadh a causa  della decisione   del presidente Obama di non fare guerra alla Siria dopo che Assad ha usato le armi chimiche il 210 agosto. Solamente un attacco aereo totale da parte degli Stati Uniti, simile a quello della NATO in Libia nel 2011 servirebbe a rovesciare Assad, e quindi gli Stati Uniti hanno fondamentalmente deciso che per ora lui resterà al suo posto. La rabbia dei sauditi è stata ulteriormente esacerbata dai negoziati condotti con successo dagli Stati Uniti per un accordo a interim con l’Iran riguardo al suo programma nucleare.

Uscendo dal buio in Siria, i sauditi probabilmente stanno facendo un errore. Il loro denaro servirà soltanto a fargli guadagnare quello. L’unità artificiale dei gruppi ribelli, che tendono le mani per avere il denaro saudita, non durerà a lungo. Saranno screditati agli occhi dei jihadisti più fanatici e anche dei siriani in generale, come pedine dei servizi segreti sauditi e non solo di questi.
Un’opposizione divisa sarà anche più frammentata. La Giordania potrà provvedere ai sauditi e a un mucchio di servizi segreti stranieri, ma non vorrà essere il punto di convergenza di un esercito anti-Assad.

Il piano saudita sembra condannato fin dall’inizio, anche se potrebbe causare ancora un sacco di morti siriani prima che fallisca. Yazid Sayegh, del Centro Carnegie per il Medio Oriente, mette in risalto in maniera succinta i rischi che implica questa impresa: “L’Arabia Saudita potrebbe trovarsi di nuovo a replicare la sua esperienza in Afghanistan, dove ha formato gruppi mujaheddin diversi, che mancavano di struttura politica unificante. Le forze sono state lasciate nella impossibilità di governare Kabul, dopo averla presa, preparando al strada a una presa di potere dei talebani. La conseguenza è stata al-Qa’ida e il contraccolpo è successivamente arrivato in Arabia Saudita.


PATRICK COCKBURN è l’autore di Muqtada: Muqtada Al-Sadr, the Shia Revival, and the Struggle for Iraq.[Muqtada: Muqtada Al-Sadr, il risveglio sciita e la lotta per l'Iraq]. (Muqtada è un politico e religioso iracheno, n.d.t.). Cockburn ha appena vinto l'Editorial Intelligence Comment Award 2013 come Commentatore  di politica estera dell'anno. 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/ the-deadly-pawns-of-saudi-arabia-by-patrick-cocburn

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