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Il Natale dei cristiani perseguitati tra barricate, guardie di sicurezza e paura. «Ma la venuta di Gesù ci dà forza» Iraq, Pakistan, Nigeria, Siria, Indonesia e tanti altri paesi: così i cristiani sotto attacco si preparano alle celebrazioni del 25 dicembre Il Natale non è solo gioia e speranza. In molti paesi Natale significa barricate, guardie di sicurezza e paura. Perché nei paesi dove i cristiani sono perseguitati, soprattutto in Africa e Medio Oriente, il 25 dicembre è un giorno pericoloso e ogni chiesa e celebrazione eucaristica un obiettivo per bande di terroristi islamici che hanno come scopo quello di seminare il panico tra i cristiani e, attraverso di loro, colpire l’Occidente. NIGERIA. Negli ultimi tre anni, i miliziani di Boko Haram hanno sempre attaccato i cristiani a Natale. Gravissimi gli attentati del 2011, quando i terroristi islamici hanno bombardato tre chiese. Ecco perché in questi giorni la Nigeria si sta preparando: «Tutte le forze speciali saranno dispiegate per garantire la sicurezza spiega il portavoce della polizia Frank Mba Abbiamo intensificato le pattuglie. Faremo particolare attenzione agli spazi pubblici e alle chiese». Boko Haram, che significa “L’educazione occidentale è peccato”, ha come obiettivo quello di cacciare tutti i cristiani ”infedeli” dal nord del paese e di instaurare uno Stato islamico con la sharia. PAKISTAN. Quello del 2013 sarà un Natale ancora più difficile degli altri anni per i cristiani pakistani. Dopo l’attentato del 22 settembre davanti alla chiesa di Tutti i santi di Peshawar, che ha causato la morte di 96 persone, e la rivendicazione da parte dei talebani, che hanno promesso di colpire ancora, i cristiani saranno costretti a fare più attenzione. Il governo si è già attivato per prevenire altri massacri e ha dato queste indicazioni ai cristiani: «Alzate barricate fuori dalle chiese e mantenete l’entrata sempre libera. Inoltre, non fate uscire al termine della Messa tutte le persone insieme ma fate evacuare i fedeli un po’ alla volta». Joesph Coutts, arcivescovo di Karachi, ha già però affermato a tempi.it che «la sicurezza non basta perché le chiese sono centinaia». IRAQ. Lo stillicidio di cristiani in Iraq è continuo e dura tutto l’anno. Ma nessuno ha dimenticato l’attentato del 2010 alla cattedrale siro-cattolica di Baghdad, dove un commando legato ad Al Qaeda ha sterminato 48 fedeli e due giovani preti, distruggendo la chiesa. Nel 2012 la cattedrale è stata ristrutturata e riaperta al culto ma resta la paura e non è un caso se nel 2003 c’erano 1,5 milioni di cristiani in Iraq e oggi solo 200 mila, 300 mila al massimo. Per non rischiare attentati, la Chiesa ha cancellato le messe di mezzanotte del 24 e 31 dicembre. «Non c’è pace e sicurezza, ecco perché abbiamo fatto questa scelta», spiega il vescovo ausiliare del patriarcato di Babilonia Shlemon Warduni. INDONESIA. Le autorità hanno allertato già 87 mila agenti di polizia per proteggere la minoranza cristiana dalle minacce terroristiche durante il Natale in Indonesia. In ogni chiesa dovrebbe essere formato un servizio d’ordine per impedire attentati e anche alcuni musulmani si potrebbero unire ai cristiani. La situazione, nonostante i tentativi di mettere al sicuro i luoghi di culto, è tesa: il presidente Yudhoyono ha pubblicamente annunciato che si temono attacchi e i recenti segnali di intolleranza contro le chiese (demolite o chiuse da bande di estremisti) e contro i cristiani (gli ulema a Banda Aceh hanno vietato gli «auguri di Natale») non contribuiscono a creare un clima sereno. CENTRAFRICA. I cristiani del Centrafrica non hanno mai avuto motivo negli anni scorsi di temere le celebrazioni di Natale ma quest’anno, dopo il colpo di Stato del 24 marzo e le violenze sanguinarie dei ribelli islamisti Seleka, hanno paura. Decine di migliaia di fedeli si sono rifugiati nelle concessioni delle Cattedrali in diverse città del paese e ora passeranno lì il Natale, temendo di tornare alle loro case nonostante l’intervento per pacificare lo Stato dell’esercito francese. SIRIA. Erano abituati diversamente, i cristiani siriani. Il regime di Assad, infatti, ha sempre rispettato le diverse confessioni e garantito una vera libertà religiosa. Dopo quasi tre anni di guerra, però, è tutto cambiato. I terroristi islamici legati ad Al Qaeda danno la caccia ai cristiani, perché «infedeli», le cattedrali ortodossa e siriaca di Aleppo saranno prive dei vescovi, Yazigi e Mar Gregorios, rapiti il 22 marzo scorso. A Maloula non c’è quasi più nessuno e anche le suore del monastero di Santa Tecla sono state rapite dagli islamisti. Le parole dell’arcivescovo maronita di Damasco Samir Nassar descrivono bene che cosa sarà il Natale quest’anno in Siria: «In Siria a Gesù Bambino non mancano i compagni: migliaia di bambini che hanno perso le loro case vivono sotto tende povere come la stalla di Betlemme. Gesù non è solo nella sua miseria. L’infanzia siriana, abbandonata e segnata dalle scene di violenza, sogna di essere al posto di Gesù, che ha sempre con sé i suoi genitori che lo circondano e lo accarezzano. Alcuni invidiano il Bimbo divino che ha trovato una stalla per nascere e ripararsi, mentre tra questi bambini disgraziati c’è chi è nato sotto le bombe o lungo il cammino della fuga». LA PREGHIERA DEI PERSEGUITATI. Anche i cristiani di Iran, Cina, Egitto, Terra Santa, e l’elenco è sicuramente incompleto, vivono nel dolore la ricorrenza del 25 dicembre ma le parole rivolte dal patriarca dei caldei Sako agli iracheni vale per tutti i cristiani perseguitati: «Nel mezzo delle avversità e delle situazioni più dure e cupe, che viviamo e sperimentiamo in via quotidiana in Iraq, Siria, Libano e nel Medio oriente, la festa del Natale giunge per ridestare in noi la fiamma della speranza. Il Natale è fonte di forza e fiducia per ricostruire ciò che è andato distrutto negli anni di carestia; per ripristinare ciò che si è deformato; per riunire quanti sono stati separati, per riportare indietro quanti sono emigrati. (…) Possa il Natale portarci in dono la pace e la stabilità. E una benedizione divina per noi e i nostri cari, che duri per tutto l’anno».
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