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22 maggio 2013

L’Iraq rischia una nuova guerra

Il 21 maggio sono morte 40 persone in una serie di attentati contro aree a maggioranza sciita in Iraq. Il giorno precedente le vittime erano state almeno 70. Si calcola che nelle ultime due settimane siano morte almeno 300 persone in tutto il paese. Il conflitto tra le comunità sciita e sunnita, alimentato dalla crisi siriana, rischia di portare il paese a livelli di violenza che non si vedevano dal 2008.

In risposta agli attentati degli ultimi giorni, il 22 maggio il presidente iracheno Nuri Al Maliki ha sostituito i vertici delle forze di sicurezza irachene e licenziato 14 alti funzionari.

“A dieci anni dall’invasione statunitense del paese, sciiti, sunniti e curdi non sono riusciti ancora a trovare una soluzione politica stabile e condivisa per amministrare il paese. La violenza è fuori controllo”, scrive Reuters.

Il rischio di una nuova guerra. “È stata una primavera violenta in Iraq, secondo le Nazioni Unite sono morte 712 persone solo ad aprile, che è stato il mese più cruento dal 2008. Anche se nessuno rivendica gli attentati e le bombe, la preoccupazione è che la guerra civile in Siria abbia riacceso il conflitto tra sciiti e sunniti anche in Libano e in Iraq”, commenta Time. Ma le bombe in Iraq hanno soprattutto un valore politico e denunciano l’incapacità del governo sciita di trovare un accordo con la comunità sunnita. A tutto ciò si aggiungono le tensioni tra le autorità di Baghdad e la regione autonoma del Kurdistan iracheno, nel nord del paese.

Secondo il quotidiano panarabo Al Hayat le proteste contro il governo di Al Maliki potrebbero finire in due modi: “O con la formazione di nuove province autonome o con una guerra”.

Le ambiguità di Al Maliki sulla Siria. Per Foreign Policy uno dei problemi del paese è il realismo politico del primo ministro Nuri Al Maliki che in politica estera ha posizioni ambigue, soprattutto verso il regime di Bashar Al Assad. “Dopo la fine dell’occupazione statunitense, l’Iraq ha cercato di ritagliarsi un ruolo strategico nella regione, bilanciando politica estera e questioni interne. Il suo rapporto con la Siria e con l’Iran non è slegato alle questioni di politica interna”. Al Maliki teme che se in Siria dovessero vincere le forze dell’opposizione il conflitto potrebbe spostarsi anche fuori dei confini siriani e coinvolgere anche il suo paese. “Armare i ribelli siriani è come dichiarare guerra all’Iraq, perché in qualche modo quelle armi arriverebbero in Iraq”, ha dichiarato il ministro dei trasporti iracheno a febbraio del 2013.


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