Originale: Truthout
http://znetitaly.altervista.org
1 luglio 2013

Il sonno della ragione genera mostri
di Mike Lofgren
traduzione di Giuseppe Volpe

L’organizzazione Gallup ha diffuso un altro sondaggio d’opinione del genere “cane morde uomo” che ha rilevato che la fiducia degli statunitensi nel Congresso è scesa a un minimo record del 10%.  Questo risultato non è che la conferma di una tendenza che dura da decenni di declino delle percentuali di approvazione del Congresso, ed è motivabile in base al comportamento vergognoso di tale istituzione. Il sequestro del nostro parlamento nazionale da parte di Wall Street negli anni ’90 e il consolidamento del suo controllo a partire dal 2000  è stato il fondo toccato da una cospirazione di entrambi i partiti mirata a cedere il governo popolare alle forze della plutocrazia. Il Congresso si è ridotto a comportamenti diversivi e i media giornalistici gli fanno doverosamente compagnia: le proposte di legge sull’aborto, gli scandali di Bengasi e argomenti simili, elaborati per eccitare gli istinti animali, ricevono la massima attenzione della stampa. Contemporaneamente una proposta di legge che regolerebbe efficacemente gli scambi di derivati all’estero delle istituzioni finanziarie statunitensi – ricordate la “Balena di Londra”? –  è passata alla Camera dei Rappresentanti con un margine di 301 voti contro 124 in mezzo al silenzio quasi totale dei media.

Mentre le tetre percentuali circa l’approvazione di cui gode il Congresso sono state il tema principale di quasi tutti gli articoli sul sondaggio Gallup, ci sono numerose altre scoperte, in tale sondaggio, che creano uno schema. Sindacati? Sono quasi in fondo, al 20%. Media a stampa e televisivi? Ottengono il 23%, e meritatamente, per i motivi spiegati nel paragrafo precedente. Scuole pubbliche? Fanno meglio, ma solo relativamente: 32%.

Che cosa hanno in comune queste istituzioni? Sono tutte entità necessarie per un autogoverno illuminato e per l’auto-miglioramento dei cittadini. Sono tutte percepite come non all’altezza del loro ruolo, talché la maggior parte degli intervistati non ha fiducia in esse. C’è parecchio che le giustifica agli occhi del pubblico, ma non può essere sano per una democrazia che i suoi strumenti di governo rappresentativo, stampa libera, offerta comune d’istruzione e principali mezzi organizzativi attraverso i quali le persone migliorano le proprie vite sono tenuti in così bassa considerazione.

Che cos’altro è impressionante a proposito del sondaggio? L’esercito, prevedibilmente, è ancora una volta al vertice, con il 76% degli intervistati che ha espresso “moltissima” o “molta” fiducia in esso. Si tratta di un’istituzione il cui bilancio (escluse le spese belliche) è quasi raddoppiato nel primo decennio del 2000 e che spende quasi tanto denaro quanto il resto del mondo messo insieme, e tuttavia ha una curiosa incapacità di vincere le guerre, mentre è abile nel mantenerle lucrosamente protratte. Gli scandali in cui è stata coinvolta la Halliburton, le violenze sessuali endemiche e i fallimenti della giustizia, l’improvvisa caduta da uno stato di semidivinità di David Petraeus, tutte queste cose sembrano essere rimbalzate dalla coscienza popolare come sassi scagliati contro uno scudo d’acciaio. E questo è quanto, a proposito della diffidenza dei nostri venerati padri fondatori nei confronti degli eserciti permanenti.

Vale anche la pena di segnalare che l’esercito, la polizia e la religione costituiscono tre delle quattro categorie ai vertici della pubblica stima. E che cos’hanno in comune queste istituzioni? Sono tutte presumibilmente necessarie nella misura in cui le società sentono la necessità della difesa nazionale e dell’ordine pubblico e fintanto che gli individui cercano conforto spirituale, ma sono tutte innegabilmente autoritarie.  L’esercito possiede il proprio sistema legale, il cui principio fondamentale, “punizioni diverse per ranghi diversi”, non è meno potente per il fatto di non essere scritta. Come ha osservato H.L.Mencken nei suoi ricordi di giornalista di Baltimora, i poliziotti tendono a coltivare il presupposto che un sospetto è ipso facto colpevole e che le prove sono necessarie soltanto per influenzare la giuria. Quanto alla religione, l’infallibilità papale e la sola ragione della fede possono suonare come una sana dottrina, ma non portano a conclusioni tratte dai fatti, dalla ragione e dalle prove. In una società che si autogoverna, le pretese di queste istituzioni vanno trattate con giudizioso scetticismo. La derisione del pubblico statunitense delle istituzioni di autogoverno è comprensibile, anche se preoccupante; la sua relativa approvazione (che arriva, nel caso dell’esercito, all’adulazione) delle entità autoritarie è meno perdonabile.

Anche se può essere esagerato vedere gli inizi di una psicologia autoritaria di massa soltanto basandosi su un unico sondaggio d’opinione, ci sono delle prove a sostegno. Che si tratti dell’iniziale elevato sostegno popolare all’invasione dell’Iraq, della crescente approvazione del pubblico della sorveglianza governativa o del forte sostegno – quasi unico nelle democrazie avanzate – alle incarcerazioni draconiane e alla pena di morte, la tentazione autoritaria giace appena sotto la superficie del vanto compensatorio degli statunitensi per la libertà, di solito ridotto a dimostrazioni kitsch con un serpentesco agitar di bandiere e declamazioni di versi di Lee Greenwood.

E’ una psicologia a un tempo assolutista e schizofrenica. E’ per questo che l’assicurazione sanitaria e le restrizioni a portare armi cariche in pubblico sono tirannie intollerabili, mentre una sorveglianza senza limiti, il carcere a vita per aver coltivato marijuana, o gli assassinii senza processo legale sono encomiabili. Paradossalmente la personalità autoritaria incorpora contemporaneamente ribellione anarchica e sottomissione vile. Come ha detto Richard Hofstadter, è un rapporto malato con l’autorità, “caratterizzato dall’incapacità di trovare modi di rapportarsi con gli altri diversi da quelli del dominio o della sottomissione più completi.”

Anche se gli Stati Uniti hanno radici democratiche più profonde di quelle di molti altri paesi, tali radici non vanno esenti dall’atrofia, o dall’avvelenamento deliberato. La svolta politica e sociale dopo gli shock  gemelli dell’11 settembre e del crollo finanziario dovrebbe essere di ammonimento, così come dovrebbe esserlo la storia di altre società. La repubblica tedesca di Weimar e la Terza Repubblica francese, nonostante tutte le differenze tra loro e rispetto agli Stati Uniti, soffrirono entrambe della polarizzazione terminale, di interminabili guerre culturali e del sospetto opprimente di aver alle spalle i propri giorni migliori. Le istituzioni parlamentari in stallo erano in discredito e nemici – stranieri e connazionali – erano immaginati dovunque. Solo l’esercito, sembrava, era un’istituzione “nazionale” che teneva alto l’onore del paese. Nel caso della Germania l’esercito ottenne tutto ciò che chiedeva durante la Prima Guerra Mondiale, compresa una virtuale dittatura sul paese, tuttavia combinò un disastro in guerra e poi se ne lavò le mani, passando il caos ai politici proclamando contemporaneamente di essere stato “pugnalato alla schiena.”  Il popolo tedesco, strozzato dalla crisi economica e sociale e soccombendo alla tentazione autoritaria, incolpò non l’esercito bensì i politici che dovettero far pulizia delle conseguenze delle decisioni dell’esercito.

La Terza Repubblica francese rimase distrutta per una dozzina d’anni dall’Affare Dreyfus. Quando le prove che Dreyfus era stato accusato ingiustamente e che poteva essere stato incastrato dall’esercito, metà della Francia restò appassionatamente attaccata alla convinzione che doveva essere colpevole; non si poteva osare di mettere in discussione l’onore dell’esercito francese e se un innocente doveva essere mandato all’Isola del Diavolo, così fosse. Il veleno diffuso dall’Affare Dreyfus infettò per decenni; molti ufficiali, assieme ai loro simpatizzanti nella classe affaristica e nei circoli cattolici, divennero ostili alla repubblica e alle sue istituzioni democratiche. E’ un errore affermare che il regime di Vichy che seguì la repubblica sia stato unicamente imposto dalla sconfitta dell’esercito; i semi dell’autoritarismo e della fuga dalla ragione erano stato piantati ben prima.

Il potere seducente dell’autoritarismo è particolarmente forte in tempi di tensioni economiche e sociali. Apparentemente in una crisi diviene dominante il cervello rettile; per ogni governo che dopo la Grande Depressione ha istituito un New Deal o qualcosa di simile, mezza dozzina di altri è caduta nel fascismo, nel governo militare o in qualche altra forma di “unità nazionale”.  

Negli Stati Uniti la situazione non è così estrema come nei due esempi storici appena accennati. Ma quanti statunitensi, quarant’anni dopo, ancora credono che l’esercito avrebbe potuto vincere la guerra del Vietnam se i politici lo avessero lasciato fare? O che William L. Calley era un eroe statunitense anziché un assassino? Il virus dell’autoritarismo è una fuga dalla ragione, un riflesso del passo dell’oca e una ricerca di spiegazioni semplicistiche, spesso cospiratorie, per eventi complessi. Non meraviglia che una mentalità simile stimi istituzioni che siano basate sulla gerarchia e su varie forme di coercizione, indipendentemente dal successo o dal fallimento di tali istituzioni. Che tale mentalità derida le istituzioni di autogoverno e l’illuminismo e non riesca a vedere la propria responsabilità per i gravi difetti di tali istituzioni è ugualmente significativo e deve essere tenuto sotto osservazione.


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/the-authoritarian-seduction-by-mike-lofgren

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