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29 aprile 2013

La democrazia ribelle della società conviviale
di Florent Marcellesi

L’uscita dal capitalismo è un fatto inevitabile: si tratta, per dirla con André Gorz, di capire se sarà un’uscita barbara o meno. Ma le pratiche di convivialità che possono evitare il collasso ecologico superano la democrazia rappresentativa e puntano all'autonomia delle persone … Sperimentare la società conviviale analizzata da Ivan Illich implica cambiamenti profondi, tra cui la messa in discussione della democrazia rappresentativa. L’obiettivo è evitare quello che André Gorz ha chiamato «fascismo verde». Di certo, abbiamo bisogno di un’ecologia politica che unisca azione riformista a breve termine con obiettivi radicali di lungo periodo, una rivoluzione molecolare permanente. Ma l’ecologia politica non idealizza alcuna democrazia locale e partecipativa come elemento trasformatore perché resta prima di tutto una filosofia che favorisce forme di autonomia e di liberazione, qui e ora, delle persone

Il raggiungimento della cosiddetta «società conviviale», nella quale gli strumenti moderni si mettono al serivizio della persona integrata nella collettivtà (Illich, 2006) e in cui prevale la biomimesi e l’auto-contenimento (Riechmann, 2008), implica una serie di cambiamenti profondi —nello stile di vita, nelle relazioni sociali, per giungere al concetto stesso di civilizzazione – e mettere in discussione le basi della democrazia rappresentativa.

Con l’aiuto dell’ultimo testo di Gorz, è possibile affermare che la mancata incorporazione dei concetti di solidarietà intergenerazionale e planetaria, oltre alla non considerazione dell’«imperativo di sopravvivenza», porteranno la società alla costruzione di un «fascismo verde»:

“Senza queste premesse, sarà possibile evitare il collasso solo attraverso la restrizione, il razionamento e la ripartizione autoritaria delle risorse, elementi caratteristici di un’economia di guerra. L’uscita dal capitalismo è un fatto inevitabile; si tratta di capire se sarà un’uscita civilizzata oppure barbara. La questione consiste nel tipo e nel ritmo di questa uscita”. (2008 b)

Per altro verso, la nozione di sostenibilità pone radicalmente in discussione la visione occidentale tradizionale di «interesse generale», ampliando le preoccupazioni politiche a livello temporale (il riferimento è alle generazioni future) e spaziale (ossia l’appartenenza dell’umanità ad uno spazio comune, con un’enfasi sull’interdipendenza ecologica tra i popoli) (Boutaud, 2007).

Oltre la democrazia rappresentativa e legata agli Stati-nazione

Detto ciò, si evidenzia la costante incapacità del sistema politico e democratico attuale di pensare a lungo termine ed includere gli interessi di chi non è rappresentato, privilegiando misure a breve scadenza (Jonas, 1995) e limitandole all’interesse generale dell Stato-nazione.

Questa situazione di partenza spinge l’ecologia politica a realizzare una riflessione sui processi che facilitino il cambiamento e, per tanto, sulla democrazia come strumento per deliberare sul «senso ci quello che facciamo in casa», da un punto di vista economico, sociale e politico. In opposizione a visioni ambientaliste e/o conservatrici, l’ecologia politica — in funzione del  cambio radicale del modello a lungo termine— si caratterizza per una dimensione profondamente trasformatrice e rivoluzionaria. Nonostante ciò e nonostante rifuti le proposte anti-sistema o massimaliste della Grande rivoluzione, non si oppone nè al riformismo quotidiano né alla «politica dei piccoli passi», poichè  considera che esiste un margine di trasformazione insito nel proprio sistema capitalista (Lipietz, 2008). Questo percorso, che unisce azione riformista a breve termine con obiettivi radicali di lungo periodo, funzionale allo sradicamento del sistema, viene definito dagli ecologisti e da alcune correnti socialiste come «riformismo radicale», anche se all’interno del movimento ecologista giovanile è stato ribattezzzato come «rivoluzione lenta» (Chiche, 1996). Secondo Lipietz, tale visione, ereditata da filosofi come Michel Foucault, si riflette nel sogno di «una moltitudine di micro-rotture, una rivoluzione molecolare mai finita» (2000c: 185).

Il governo dei cittadini

Per poter sviluppare una proposta di questo genere, l’ecologia politica sceglie per definizione il cammino dell’«eco-pacifismo» e della democrazia costruita, preferibilmente,  dalla base o in forma partecipativa. Per esempio, dall’ottica della bio-economia, si pone in discussione l’attuale modello democratico rappresentativo, in quanto poco idoneo ad una produzione e un consumo sostenibili. Di fronte ai sistemi centralizzati, elitari e con gerarchie fortemente escludenti, un modello decentralizzato e participativo rappresenta la forma più efficiente di soddisfare le necessità vitali della popolazione (Bermejo, 2007: 64). In tal senso, lo stesso Rapporto Brundtland, che ha plasmato l’attuale definizione di sviluppo sostenibile, sancisce che la miglior forma per costruirlo è rappresentata dalla decentralizzazione del controllo delle risorse e la trasmissione del diritto di voce e voto alle comunità locali (CMMAD, 1988: 90).

In ambito sociale, l’accettazione di cambi radicali nei modi di vita e la predominanza dell’interesse generale locale e planetario, presente e futuro, presuppone una società molto coesa e impeganta nella gestione delle politiche pubbliche. Garantire la stabilità e la permanenza delle grandi decisioni si converte, pertanto, nella chiave di volta per una transizione di successo ad una società (veramente) duratura. Per tanto, per poter ottenere un consenso forte a lungo termine, il proceso democratico, nell’ecologismo, deve basarsi sull’interrelazione e participazione attiva dei cittadini e delle comunità locali nelle decisioni pubbliche, tanto quotidiane quanto pluriannuali. In tal senso, Murray Bookchin e l’ecologia sociale avanzano la necessità di un compromesso sociale sulle tematiche ambientali, attraverso nuove forme di democrazia diretta, esattamente come l’interdipendenza e la cooperazione mantengono in forma efficiente gli ecososistemi e le relazioni  tra le speci (1999).

Prima di tutto l’autonomia

Ovviamente, l’ecologia politica non idealizza la democrazia locale e partecipativa come elemento trasformatore o panacea per l’ambiente e la società nel suo complesso. Se i processi partecipativi non sono vincolati ad altre iniziative, come la sensibilizzazione e l’educazione, o non vanno a integrare una visione globale — di una governance transnazionale e mondiale—, non c’è`motivio di sprare in un miglioramento automatico del sistema vigente.

Detto ciò, di fronte a visioni minoritarie nell’ambito dell’ecologia politica che affermano che, da un punto di vista puramente ecocentrico, la democrazia può rappresentare un elemento superfluo o, nel peggiore dei casi, un complemento opzionale, l’ecologia politica si propone come una filosofia e un ripensamento dell’azione che pretende di aumentare al massimo l’autonomia del’essere umano e non umano:

«La conessione tra ecologia e democrazia esaurisce la sua debolezza […], l’autoritarismo resta escluso dal principio verde (e non per ragioni puramente strumentali), allo stesso modo in cui resta escluso secondo il principio liberale: viola in forma fondamentale i diritti degli umani a decidere il proprio destino». (Eckersley, en Dobson, 1997: 49)

Dovrebbe pertanto esistere una conessione ecologia politica-democrazia: la democrazia — preferibilmente partecipativa— rappresenta per l’ecologia politica una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per un progetto emancipatore, basato sul rispetto degli eco-sistemi come sulla giustizia sociale ed ambientale, oltra alla liberazione dell’essere umano.

Quattro sfide

In questo contesto, l’ecologia politica si confronta, almeno, con le seguenti sfide, che dovrà affrontare per realizzare il suo progetto (Marcellesi, 2011b, disponibile nel blog):

         La democrazia dell’auto-limitazione: stabilire limiti al nostro consumo  e distribuire le parti della natura che corrispondano a ognuno secondo principi di giustizia ambientale, e soprattutto in forma ordinata e assimilata da tutti e tutte, rappresenta un compito di gran portata per la res publica. Presuppone la definizione di processi e strumenti democratici che premettano di decidere in forma collettiva l’uso di risorse limitate e le necessità, oltre ai mezzi per soddisfarle.

         La democrazia dei senza voce: si tratta di elaborare nuovi sistemi e meccanismi democratici che rendano possibile la reppresentatività di alcune categorie principali: gli esseri umani che vivono nelle terre lontane come  quelle dei paesi del Sud, quelli che non sono ancora nati come le generazioni future, oltre al resto degli esseri vivi e non vivi.

         La democrazia glocale: dalla loro creazione, i movimienti ecologisti hanno difeso l’idea per cui per «pensare globale»  bisogna «attuare locale» e «attuare globale». Si stabilisce così una danza dialettica tra due dinamiche, a partire dal locale e dal globale; la missione è quella di articolare la complessità di entrambe le dimensioni, a partire dalle istittuzioni come dai movimenti sociali[1].

         La democrazia dell’urgenza ecologica: la democrazia suppone procedimienti complessi e prolungati nel tempo per poter partecipare, decidere e articolare una molteplicità di agenti con moltpelici interessi e differenti livelli: locali, regionali e mondiali. Al tempo stesso, esiste un ultimatum ecologico e, pertanto, un «countdown» per assumere decisioni fondamentali, pena la fine brutale di qualsiasi ideale democratico. Questa contraddizione, tra tempo necessario e tempo disponibile per risolvere la crisi ecologica costituisce il centro d’attenzione per poter realizzare una transizione socio-ecologica positiva.

 


*Florent Marcellesi, coordinatore di Ecopolítica e membro della Rivista Ecología Politica, è un ricercatore ed ecologista francese, residente in Spagna, autore di numerose pubblicazioni. Comune-info è il sito italiano al quale invia periodicamente i suoi articoli. L’articolo di questa pagina è stato pubblicato anche su Cuides ed è stato tradotto per Comune-info da Roberto Casaccia (di Retos al Sur/Reorient). Altri interventi di Marcellesi sono QUI.

Note

[1] La Great Initiative Transition propone di fatto una dinamica tripla: «Dal basso: le responsabilità dovranno ridirigersi verso i livelli locali, secondo i principi della sussidiarietà e della partecipazione. Dall’alto: le crescenti necessità di governabilità globale sposteranno una parte sempre maggiore di processi di decisioni nel contesto internazionale. Dai lati: il business e la società civile si convertiranno in soci più attivi della governabilità». (Raskin et al. (2002): La Gran Transición: la promesa y la atracción del futuro, Instituto Ambiental de Estocolmo, p54).

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