http://www.unita.it La Pussy Riot dal carcere aveva denunciato: ci trattano come schiave In una lettera la Tolokonnikova aveva raccontato le minacce di morte e gli abusi: «Lavoriamo 17 ore al giorno e ne dormiamo 4, con un giorno di riposo ogni sei settimane». La storia risale al 23 settembre scorso, ma vale la pena ricordarla. Quel giorno la Pussy Riot Nadezhda Tolokonnikova inizia un nuovo sciopero della fame. Poi fa di più: scrive una lunga lettera al marito denunciando le gravi violazioni della prigione russa in cui si trova. Da quel giorno per lei ha inizio un nuovo calvario: nella colonia penale 14 della Mordovia si aprono le porte della cella di isolamento, con la motivazione della sicurezza personale. «La mia sezione di lavoro sul cucito, scrive Tolokonnikova, sgobba per 16-17 ore al giorno. Dalle 7.30 fino a mezzanotte. Nella migliore delle ipotesi dormiamo 4 ore a notte. Abbiamo un giorno libero ogni mese e mezzo e lavoriamo quasi tutte le domeniche. I prigionieri sono costretti a chiedere di lavorare anche nei week end per propria scelta … Le richieste, spiega, sono scritte per ordine dell'amministrazione e sotto la pressione di alcune prigioniere che aiutano a farle rispettare». E quando la Tolokonnikova ha protestato, chiedendo di ridurre le ore di lavoro quotidiano a 8, sono arrivate le minacce. Il tenente colonnello Kupryanov, responsabile del carcere, ha dapprima accordato le richieste, a patto di mantenere la stessa quantità di produzione, poi con tono intimidatorio ha aggiunto: «Se le tue compagne scoprono che sono state punite a causa tua, smetterai di sentirti male, perché da morta non ti puoi sentire male». Con la sua missiva, arrivata in mano alla stampa, la Tolokonnikova ha scatenato una durissima reazione delle autorità carcerarie, ma non solo. L'attenzione di Mosca sulla vicenda è alta, tanto che Putin è intervenuto personalmente più di una volta, non lasciando margini di trattativa politica sulla pena da riservare al gruppo. E ora i familiari della donna temono che dietro il trasferimento verso un carcere della Siberia ci sia lo zampino del Cremlino. Il 21 ottobre scorso, infatti, la donna è stata portata in un altro penitenziario, di cui nessuno sa niente e di Nadezhda Tolokonnikova si sono perse le tracce. Ma c'è anche preoccupazione per le sue condizioni di salute, dovute allo sciopero della fame. Il marito Pyotr Verzilov è partito per la Siberia, nel tentativo di farsi dire dove è detenuta in questo momento. Ma le autorità russe tacciono, nonostante varie Ong, tra cui Amnesty International, chiedano spiegazioni a Mosca. «Da Lunedi 23 settembre sono in sciopero della fame, spiegava la Pussy Riot nella lettera. Si tratta di un metodo estremo, ma sono assolutamente certa che sia l'unico modo per uscire da questa situazione … Andrò avanti fino a quando l'amministrazione non mi ascolterà». Parole rimbalzate immediatamente sui media di tutto il mondo. Ecco perché la Tolokonnikova, ormai simbolo dell'opposizione al governo autoritario di Mosca, è una prigioniera scomoda. Verzilov ha rivelato che la 24enne Nadja è in corso di trasferimento in una colonia penale, la numero 50, nella remota regione di Krasnoyarsk, nella cittadina di Nizhny Ingash, a circa 300 km dal capoluogo, a quattro ore di fuso orario da Mosca, lungo la famosa ferrovia transiberiana. «Mi hanno detto che sta bene e che è ancora in viaggio, diretta a uno dei penitenziari dove continuerà a scontare la propria pena», ha detto Vladimir Lukin, commissario russo per i diritti umani. La donna è accompagnata da un medico ed è in condizioni di salute soddisfacenti. A quanto si apprende ha ricominciato anche a mangiare. È sempre Lukin a spiegare che secondo la legge russa la detenuta non può avere alcun contatto con parenti e avvocati, che non possono sapere nemmeno dove si trovi, fino a quando non giunga a destinazione. Ad ogni modo la Pussy Riot si trova in isolamento, giustificato dalle autorità penitenziarie con le solite "ragioni di sicurezza". La donna viaggia, infatti, in uno scompartimento separato ed è tenuta in una cella separata tra una tappa e l'altra, spiega ancora Lukin. Ma la vera ragione dell'isolamento, pensa il marito, è la lettera di denuncia degli abusi nel penitenziario della Mordova denunciati da Tolokonnikova il 23 settembre scorso.
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