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http://wagingnonviolence.org La fine dell’anonimato per Jeremy Hammond Aveva un senso che ci fossero più persone alla lettura della condanna di Jeremy Hammond, di altre occasioni negli ultimi 20 mesi, ma non mi aspettavo gli studenti di West Point. Tre file di cadetti in uniforme grigia che sedevano sull'attenti. Doveva essere una sentenza memorabile, il ruolo di Hammond nell’hackeraggio della società privata di intelligence Stratfor, aveva attirato una notevole attenzione, questa è stata la prima apparizione in tribunale di Hammond, dopo che Edward Snowden divulgò i programmi di sorveglianza di massa della NSA. Le notizie degli ultimi sei mesi erano inevitabilmente nell'aria. È sembrato opportuno avere un lato del tribunale seduto dietro l'accusa, affiollato di persone con identico vestito che si preparano a servire il potere dello Stato, mente dietro la difesa, una gamma diversificata di attivisti, giornalisti, e amici e la famiglia di Hammond. Questo studio di contrasti suggeriva una sovracompensazione dello stato per la sua ipocrisia. La dimostrazione di forza imposta nella condanna di Hammond indica quanto, lo stato di sorveglianza, sia turbato da hacker attivisti come Hammond, e perché i principi in cui crede sono più importanti che mai. Hammond è stato condannato a un massimo di 10 anni di carcere per l' hack Stratfor, un massimo nato da un patteggiamento fatto questa primavera. I termini dell’inchiesta triennale sono stati notevolmente duri. Durante quel periodo, tutte le attività online di Hammond sono state monitorate. Non gli era permesso di nascondere la sua identità online in alcun modo, era costretto ad installare, e pagare, software di monitoraggio sul suo computer, e non gli era permesso di cifrare nessuno dei suoi dati online o offline. Nel complesso dell'intelligenza industriale, l'anonimato è solo un privilegio per i potenti. Aziende come Stratfor possono monitorare gli attivisti senza alcun obbligo di rivelarlo. Lo Stato, inoltre, può agire con l'anonimato, oscurando i documenti FOIA, fino a quando non assomigliano a dipinti di Malevich. La sorveglianza è guidataa da questa dinamica di potere asimmetrico. Agli occhi della Corte, Jeremy Hammond non merita più l'anonimato a causa dei suoi sforzi per smascherare Stratfor e le sue dinamiche. Mentre lo contestava, Hammond è diventato anche uno strumento inconsapevole al servizio del potere statale. Nella sua dichiarazione al tribunale, Hammond ha spiegato il ruolo che l'FBI aveva giocato in LulzSec hack dopo che Hector Monsegur (Sabu) era diventato un informatore dell'FBI. "Avevamo bisogno di diversi server al fine di trasferire i messaggi di posta elettronica di Stratfor, ha detto … Sabu, che è stato coinvolto con nell'operazione ad ogni passo, ci ha offerto un server, che è stato fornito e monitorato dall'FBI. Nelle settimane seguenti, le e-mail sono state trasferite, le carte di credito utilizzate per fare donazioni, e i sistemi di Stratfor sono stati deturpati e distrutti." Il giudice ha chiesto di avere informazioni su obiettivi specifici censurati, un attacco diretto di dichiarazioni incensurate di Hammond, confermato come legittimo dal ricercatore della sicurezza Jacob Applebaum, suggerisce che in tutte le attività di Sabu come informatore, Hammond e altri hacker sono stati utilizzati in una torsione perversa dalla partnership pubblico-privato, così comune nel complesso di intelligence industriale, dove gli hacker infiltrati nei server dei governi di altri paesi, mentre agenti statunitensi raccolgono ciò che hanno trovato ad uso e consumo della propria intelligenza. L’apparente complicità dell'FBI con l'hackeraggio è indicativa della struttura di potere sotto di essa, quella descritta da Hammond come un’entità che "non rispetta il proprio sistema di controlli ed equilibri, per non parlare dei diritti dei suoi cittadini e della comunità internazionale". Hammond rimane impressionato dal drammatico contrasto di quel sistema di potere, descritto più volte nelle 265 lettere di supporto scritte per il suo caso come attivista impegnato e compassionevole. L'accusa e Preska hanno respinto queste caratterizzazioni di Hammond. Tornando entrambi su di una parola, usata da Hammond nelle chatlogs: "caos". "Voglio causare il caos finanziario, massimo caos" ha scritto Hammond, e la Corte ripete questa parola più e più volte. Quella sola parola caratterizza il crimine dando tutto un nuovo significato al termine "citazione spaventosa", una facile ed evidente dismissione della politica di Hammond. Egli ha cercato di minare il sistema che dà alla Corte la sua stessa potenza, il potere che è fin troppo comodo abusare, come si vede nel rifiuto di Preska a ricusare se stessa, nonostante un evidente conflitto di interessi. Eppure, Preska è quella con la forza bruta capace di auto tutelarsi. (Tuttavia, non era immediatamente in grado di neutralizzare un momento bizzarro di testimonianza della vittima l’aula a traino da @VinceintheBay. Atto visto da alcuni sostenitori di Hammond come del tutto inadeguato e da altri come tanto necessaria lulz) Continuo a pensare agli studenti di Point West che erano lì per imparare come funziona la legge o, almeno, per chi la legge funziona. Attraverso la totalità del procedimento, non ho visto nemmeno uno di loro prendere appunti. Forse hanno molto buona ritenzione della memoria. Mi piacerebbe chiedere loro ciò che hanno visto accadere in quell'aula di tribunale, anche se ho il sospetto che sarei ulteriormente demoralizzato dalla loro interpretazione. Tuttavia la sentenza è un tradimento dei principi che hanno portato Hammond a questo punto. Lui ha sempre contestualizzato le sue azioni e la sua reclusione in una lotta più grande, contro il sistema carcerario, contro il razzismo, contro l'egemonia delle imprese e per un mondo migliore. Se c'è qualcosa da fare a seguito di questo caso, è di prendere a cuore le ultime parole di Hammond della sua dichiarazione in aula: "Restate forti e continuate a lottare e , se è possibile, rimanete anonimi. http://wagingnonviolence.org The end of anonymity for Jeremy Hammond It made sense that there were more people at Jeremy Hammond’s sentencing than his other court dates of the last 20 months, but I didn’t expect the West Point students. Three rows deep, the gray-uniformed cadets sat at attention. As far as field trips go, it had to be a memorable one; while Hammond’s role in hacking the private intelligence firm Stratfor had drawn considerable attention, this was Hammond’s first court appearance since Edward Snowden disclosed the NSA’s mass surveillance programs. The news of the past six months was inescapably in the air. It seemed appropriate to have one side of the courtroom (seated behind the prosecution) flanked with identically dressed people preparing to serve state power, and on the other (behind the defense) a diverse array of activists, journalists, and Hammond’s friends and family. This study in contrasts suggested a state overcompensating for its own hypocrisy. The show of force imposed in Hammond’s sentencing indicates just how troubled the surveillance state is by hacktivists like Hammond, and why the principles he lives by are more important than ever. Hammond was sentenced to the maximum of 10 years in prison for the Stratfor hacks, a maximum born of a plea agreement made this spring. The terms of his three-year probation following time served are notably harsh. During probation, all Hammond’s online activities are to be monitored. He is not allowed to disguise his identity online in any way, he will be forced to install and pay for monitoring software on his computer, and he will not be allowed to encrypt any of his online or offline data. In the intelligence-industrial complex, anonymity is merely a privilege for the powerful. Firms like Stratfor can monitor activists with no obligation of disclosure. The state, too, can act with anonymity, redacting FOIA-ed documents until they resemble Malevich paintings. Surveillance is driven by this asymmetrical power dynamic. In the eyes of the court, Jeremy Hammond no longer deserves anonymity because of his efforts to expose Stratfor and challenge that dynamic. While challenging it, Hammond also became an unwitting instrument serving state power. In his statement to the court, Hammond explained the role that the FBI had played in LulzSec hacks after Hector Monsegur (Sabu) had become an FBI informant. “We needed several servers of our own in order to transfer the [Stratfor] emails,” he said. “Sabu, who was involved with the operation at every step, offered a server, which was provided and monitored by the FBI. Over the next weeks, the emails were transferred, the credit cards were used for donations, and Stratfor’s systems were defaced and destroyed.” Although the court asked to have information about specific targets redacted, a pastebin of Hammond’s unredacted statement, confirmed as legitimate by security researcher Jacob Applebaum, suggests that throughout Sabu’s activities as an informant, Hammond and other hackers were used in a perverse twist on the public-private partnerships so common to the intelligence-industrial complex; as the hackers infiltrated the servers of other countries’ governments, U.S. agents gathered what they found for their own intelligence. The FBI’s apparent complicity with the hacks is indicative of the power structure beneath it, one described by Hammond as one that “does not respect its own system of checks and balances, never mind the rights of its own citizens or the international community.” Hammond himself strikes a dramatic contrast to that system of power, described repeatedly in the 265 letters of support written for his case as a committed and compassionate activist. The prosecution and Preska dismissed these characterizations of Hammond. Instead, both returned to one word, used by Hammond in chatlogs: “mayhem.” “I want to cause financial mayhem, maximum mayhem,” Hammond wrote, and the court repeated this word over and over. That single word as character assassination gave entirely new meaning to the term “scare quote” a cheap and obvious dismissal of Hammond’s politics. He sought to undermine the system that gives the court itself power power that it is all too comfortable abusing, as seen in Preska’s refusal to recuse herself despite a clear conflict of interest. And yet, Preska is the one with brute force to back her. (She was, however, not immediately able to neutralize a bizarre moment of victim-testimony-as-courtroom-trolling by @VinceintheBay an act viewed by some Hammond supporters as completely inappropriate and by others as much-needed lulz.) I keep thinking about the West Point students who were there to learn how the law works or, at least, who the law works for. Through the entirety of the proceedings, I didn’t see a single one of them taking notes. Perhaps they have extremely good memory retention. I would love to ask them what they saw happen in that courtroom, though I suspect I would be further demoralized by their interpretation. To despair at the sentence, however, is a betrayal of the principles that led Hammond to this point. He has consistently contextualized his actions and his imprisonment in a larger struggle against the prison system, against racism, against corporate hegemony and for a better world. If there is anything to be done in the aftermath of this case, it is to take Hammond’s final words of his courtroom statement to heart: “Stay strong and keep struggling” and, if you can, stay anonymous.
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