Questo articolo è uscito anche nel Periodico de Catalunya il 19 luglio 2013. Il saccheggio silenzioso Le immagini della disperazione in cui l’Europa politica e finanziaria ha scaraventato senza pietà la gente di Atene e di Salonicco le abbiamo potute vedere tutti. Ci si abitua alla guerra e ci si abitua anche alla fame: non c’è notizia. Poco o nulla sappiamo invece del saccheggio delle coste, dei laghi, dei boschi, delle sorgenti. Dei beni comuni per antonomasia, insomma. Vengono serviti su un piatto d’argento, e a prezzi di saldo, a investitori privati che mostrano tanto buon gusto quanto insaziabile voglia di accumulare nuovi capitali. La Grecia, ricorda Gustavo Duch dal suo osservatorio iberico, è un laboratorio di politiche di «salvataggio» che riguarda almeno tutto il Mediterraneo. E gli alberi di una piccola piazza di Instambul hanno mostrato al mondo che la brace dell’indignazione si accende d’improvviso e ovunque. I media ci tengono informati su gran parte di quello che accade in Grecia, è essenziale se teniamo conto che questo paese funziona da laboratorio di politiche di salvataggio finanziario più che preoccupanti. Sappiamo che, dall’inizio della crisi, ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice greca hanno perso in media il 40 per cento del loro salario, mentre l’aumento del prezzo dei prodotti di base, come il latte, e quello delle tasse portano a un bilancio familiare insostenibile e insopportabile. Come nel nostro paese (la Spagna), cresce il tasso di disoccupazione, spariscono i sussidi, si tagliano i servizi di base, come la sanità, e si definiscono politiche del lavoro che ci trasformano in paesi «low cost». Ma vi è un’altra realtà meno conosciuta, o meglio nascosta, di questi esperimenti di salvataggio che dobbiamo conoscere e analizzare, perchè i risultati di simili esperimenti in Spagna stanno diventando progressivamente sempre più visibili. Mi riferisco ad un’altra delle imposizioni della troika per ridurre il debito greco: mettere in vendita tutte le risorse naturali o sfruttarle senza limiti. In Grecia i meccanismi utilizzati comportano la modifica di disposizioni di legge che, come dice Roxanne Mitralias, militante ambientalista, «bene o male chiudevano la strada al supersfruttamento delle risorse naturali». Con le nuove normative, si arriva a mettere in discussione la Costituzione, che impediva lo sfruttamento privato della costa e delle foreste, spiega Roxanne. Per esempio alla fine di gennaio 2013, il lago di Casiopea, nell’isola di Corfù, è stato venduto a NCH Capital e, dalla primavera del 2012, le spiagge si possono dare in concessione per 50 anni, il che presumibilmente scatenerà un’ondata di privatizzazioni che sfocerà nella costruzione di villaggi turistici (assai poco rispettosi della natura) ed esclusivi per la clientela più danarosa. D’altronde, lo sfruttamento delle risorse minerarie sta rendendo la mappa della Grecia caratterizzata da molti luoghi di conflitto. Si parla di sacche di petrolio in mare, che, se saranno rinvenute, non porteranno benefici a nessuno tranne che alle imprese straniere che sfruttano i giacimenti. Nel nord del paese, nella regione di Skouires, da oltre un anno è in corso una grande mobilitazione sociale, repressa costantemente dai corpi speciali della polizia, per difendere i boschi da un progetto (di due imprese, una greca e un’altra canadese) per l’estrazione di oro da una miniera. Una lunga lista, fin troppo simile, la troviamo anche in Spagna, dove vengono ripetute le stesse chimere: petrolio nelle Canarie, miniere a cielo aperto per estrarre oro in Galizia, uranio in Catalogna, fracking in molti punti del nord della penisola. Come in Grecia, bisogna denunciare le due norme che il governo centrale utilizza per servire il territorio su un piatto d’argento e totalmente sventrato a chi vuole approfittarne, per permettere il saccheggio dei nostri beni comuni. Da un lato abbiamo la legge di protezione e uso sostenibile della costa, che sostituisce la legge sulle coste del 1988 e che viola fondamentali principi costituzionali. Ai sensi di questa legge, beni pubblici potrebbero passare nelle mani di investitori privati, resterebbero prive di tutela zone di alto valore come terreni paludosi o paludi marine, e potrebbero essere prosciugate le spiagge per essere inserite in progetti di urbanizzazione. Dall’altro lato, la legge sulla razionalizzazione e la sostenibilità dell’amministrazione locale, la legge Montoro, che, millantando attenzione al raggiungimento di una supposta efficienza, punta a smantellare i sistemi di governo dei piccoli municipi e dei distretti per poter mettere in vendita le montagne e i suoli pubblici che questi comuni o i consigli dei residenti hanno gestito collettivamente nel corso di centinaia di anni. Di nuovo, una legge che dimentica che parliamo di beni di proprietà pubblica, proprietà che, secondo la Costituzione, sono inalienabili, imprescrittibili e insequestrabili. Possiamo consentire la vendita della natura per pagare salvataggi bancari o favorire i guadagni di una manciata di speculatori? Se pensiamo al pianeta come ad un sistema di cui siamo parte, un sistema con boschi e suoli come polmoni e montagne e fiumi come arterie, un sistema in cui conviviamo con una fantastica diversità di esseri viventi e che è l’unica garanzia per la vita dei nostri discendenti, porre l’interesse privato al di sopra di quello pubblico è un fatto di una miopia e una mediocrità tremende. Si profila un’aggressione che forse ai nostri governanti potrà sembrare di scarsa importanza. Con quello che sta accadendo, a nessuno interesserà che vendiamo o bruciamo svariati boschi o arenili, staranno certamente pensando coloro che sono alla testa di questo saccheggio silenzioso. E invece, anche in questo caso, la loro visione delle cose è vecchia e superata. La società ha preso coscienza dell’importanza del più umile degli alberi, come abbiamo visto ad Instambul, a piazza Taksim, o in mille altri posti.
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