http://testelibere.it Dal fronte greco, una guerra non dichiarata Arrivo ad Atene all’indomani della partenza del terzetto, che lascia sul campo nuove vittime: altri 15.000 licenziamenti fra i dipendenti statali, che si aggiungono al milione e mezzo di persone già rimaste per strada. La ricetta del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Centrale Europea e della Commissione ha l’amaro sapore dell’austerity: per ogni 5 persone che vanno in pensione (con stipendi medi attorno ai 1000 euro), è possibile assumere solo una persona con una retribuzione di 580 euro al mese. Guardo Atene alla luce delle incredibili parole del consigliere della Cancelliera tedesca, Angel a Merkel, secondo la quale ci sono ancora molti ricchi nei paesi del Sud Europa, che hanno addirittura case di proprietà, mentre la gran parte degli operai tedeschi sono in affitto. Così mentre il New York Times descrive l’allarmante situazione ellenica, parla dell’aumento dei disoccupati e dei senza tetto, delle mense che nascono per arginare in qualche modo il problema della denutrizione nelle scuole, la copertina dello Spiegel arriva come un pugno allo stomaco: “la menzogna della povertà” e giù a scrivere che i greci sono in media due volte più ricchi dei tedeschi. Roba da non crederci…eppure nel corridoio dell’albergo dove soggiorno trovo un bigliettino da visita di un giornalista che lavora per lo Spiegel. Quindi…quali indicazioni ha ricevuto dalla redazione o dalla proprietà? E’ venuto in Grecia con l’articolo pronto o ha percorso i circuiti turistici che mascherano e occultano la faccia della povertà che si manifesta già poche decine di metri dopo il Partenone? Ci sarebbe molto da parlare della propaganda mediatica (oltre a Der Spiegel anche la rivista Focus riserva il medesimo trattamento ai ‘ricconi’ Greci, rispetto ai ‘poveri’ tedeschi) e di come il giornalismo sia caduto in basso, con pennivendoli al lavoro per compiacere un mittente o con scribacchini che si autocensurano per non disturbare i manovratori. Chissà se i giornalisti stranieri che sono arrivati in Grecia si sono informati sulle ‘linee guida’ che i colleghi ellenici devono rispettare: è bene non ritrarre o riprendere immagini di estrema povertà, deve essere spinta la linea di sostegno dei propri aguzzini europei e internazionali (dimostrando che invece sono i salvatori del paese) e non si possono divulgare filmati di contestazione di chi sta al governo. Non vi sembra possibile? Basta leggere le dichiarazioni dell’ex ambasciatore greco in Canada, rilasciate a dicembre scorso al giornale online The Millstone: un giornalista è stato licenziato in tronco per aver mostrato un filmato in cui il Primo Ministro greco veniva fischiato. Per tornare a quello che considero un vero e proprio insulto alla dignità del popolo greco, lo Spiegel e Focus puntano il dito contro i ricconi (che ci sono lì come in Italia e altrove, dato che le ricchezze con la crisi si sono ulteriormente concentrate), fingendo di non vedere i senza tetto allo sbando nella città, gli studenti che svengono a scuola, gli ospedali che chiudono e che non hanno più medicinali, la marea di uffici, negozi e attività chiuse, le ragazzine che si prostituiscono, le decine di migliaia di ateniesi costretti a recarsi nelle strutture messe in piedi da volontari per avere un minimo di assistenza sanitaria. Guarda caso, a livello internazionale ci si dimentica di riportare la battaglia avviata da Panos Kammenos, dei Greci Indipendenti, che mette al centro una legittima richiesta greca che rischia di mettere in seria difficoltà la Germania. Nello specifico, nel 1941, i Tedeschi presero in prestito, con accordi regolarmente firmati, le riserve auree elleniche. In seguito all’unificazione tedesca, di questo ‘prestito’ di guerra non si disse più nulla. Il deputato greco oggi avanza la richiesta di poter iscrivere nel bilancio nazionale l’ammontare del prestito fatto alla Germania (anche senza calcolare gli interessi maturati nei tanti decenni), ma riceve solo una risposta velenosa dal ministro tedesco delle Finanze Schaeuble, evidentemente in panico per la richiesta ellenica. La colonia dunque si rivolta contro l’occupante. Sì, perché con buona pace di chi difende governo e multinazionali tedesche, bisogna dire come stanno le cose. A partire dall’aeroporto di Atene, gestito da una società tedesca, che non paga le tasse in Grecia poiché la sede legale è in Germania; ma possiamo anche parlare della Deutsche Telekom che gestisce la rete telefonica fissa e la rete di telefonia mobile Cosmote. O della Siemens, che insieme alla grande compagnia di costruzioni francese Vinci, controlla la metropolitana di Atene, puntando ad acquisire anche la rete ferroviaria e il servizio idrico della capitale (dove vive metà della popolazione dell’intero paese). E in tempo di austerity, la svendita del patrimonio e degli assets pubblici è all’ordine del giorno. Basti pensare alla miniera di oro (s)venduta ai Canadesi al prezzo di 10 milioni di euro, pur sapendo bene(la notizia è di pubblico dominio) che il materiale facilmente estraibile ha un valore di almeno 110 milioni di euro. Anche le grandi catene di supermercati che resistono alla crisi sono straniere, mentre i negozi e le attività commerciali greche sono state ridotte in cenere. Anche la distribuzione è spesso estera o comunque condizionata da oltre confine; talvolta è piegata addirittura a logiche di quote europee, in base alle quali in Grecia come in Italia si mangiano pomodori olandesi, mentre i nostri vengono esportati negli altri stati. Sono le medesime linee che impongono ad esempio al produttore di arance un prezzo di 5 centesimi al chilo, mentre le stesse vengono vendute ad Atene minimo a 1 euro. Anche da questo punto di vista, gli agricoltori italiani possono ben comprendere che la Grecia è molto più vicina di quanto si possa immaginare. Lo è anche per il costo del gasolio da trazione, che insieme a quello da riscaldamento è aumentato del 400% in tre anni, mentre il costo dell’energia elettrica è raddoppiato dal 2010 a oggi. Ecco perché nell’inverno scorso ci sono state vittime per il freddo: molte persone non avevano di che riscaldarsi (e anche scuole e ospedali in alcune zone hanno dovuto fronteggiare lo stesso problema). Nella capitale, gli alberi dei parchi sono stati presi d’assalto, spogliati dei loro rami per ricavarne legna da ardere (mentre in alcuni casi si è addirittura arrivati al punto di bruciare mobili, pur di sottrarsi alla morsa del freddo). Cambiando versante, dal punto di vista della scuola, la situazione è precipitata a partire dal 2011, con ben 2000 scuole che hanno chiuso (e presto è atteso un nuovo giro di vite) e numerosi istituti che non hanno neppure il minimo per poter funzionare. I genitori sono quindi costretti a pagare per l’istruzione dei propri figli, ma ci sono moltissime famiglie con madre e padre disoccupati che non possono concedersi il ‘lusso’ di mandare a scuola i propri figli, dal momento che non riescono neppure a reperire il cibo per sfamarli. Questo è quanto accade anche dal punto di vista sanitario, poiché chi non lavora almeno 150 giorni all’anno non ha diritto alla copertura del servizio sanitario e deve pagare tutto: medicine, prestazioni sanitarie, pronto soccorso. Ma in una Grecia dove la disoccupazione e la povertà stanno sempre più dilagando, spesso non c’è neppure il minimo per sopravvivere e i centri organizzati da personale medico volontario raccolgono la disperazione dei tanti che cercano un’ancora, una ragione, una speranza per non essere sopraffatti dall’istinto di farla finita. Sono ex operai, pensionati, ma anche dipendenti pubblici, negozianti, piccoli imprenditori e pure liberi professionisti; il cosiddetto ceto medio ora ridotto in miseria. Fanno parte di quelle fasce che, intervistate poco più di anno fa, sostenevano di essere allora nel punto peggiore della crisi e che l’Euro e l’Europa li avrebbero salvati. Oggi giurano che non avrebbero mai ritenuto possibile arrivare a una situazione tanto tragica, convinti come erano che presto la crisi sarebbe finita e che come gli si imponeva di credere erano alla fine del tunnel. Dal tunnel al precipizio, la caduta è stata repentina e dolorosa; ha mietuto vittime, anche nel senso letterale del termine. In una nuova forma di guerra condotta da istituzioni europee antidemocratiche e distanti anni luce da quell’Europa dei popoli che vorremmo; una guerra sorda combattuta con le armi non convenzionali delle banche e della grande finanza internazionale, pronte a cannibalizzare i paesi più fragili. E’ una guerra silenziosa, strisciante. Alla faccia della miseria umana e mentale di chi sostiene che questa Europa è stata foriera di pace, giustizia ed equità, questa forma contemporanea di schiavitù è una barbarie vergognosa.
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