Fonte: La Jornada Camminando Certo una nomenklatura gerarchica depositaria di una presunta coscienza rivoluzionaria di classe esterna alla classe stessa non la rivendica più nessuno. Eppure, la questione dell’ipotetica necessità di una rappresentanza politica (partito o movimento politico) in grado di coordinare (leggi dirigere) e convogliare in un disegno progettuale complessivo (leggi unitario) le giuste (ma insufficienti) rivendicazioni dei movimenti sociali contemporanei non si è del tutto chiusa nel Novecento. Gustavo Esteva spiega perché alcuni dei movimenti latinoamericani, per esempio quelli contro l’estrattivismo, sembrano avviati su un cammino senza ritorno: la lotta deve assumere la forma del risultato che persegue. La formidabile capacità di penetrazione e la forza contundente di avversari come il «modelo extractivo» minacciano l’esistenza stessa della possibilità di resistenza. Non è più neanche pensabile, dunque, separare i mezzi dai fini. La sola resistenza possibile è la creazione, senza fasi intermedie, di una nuova società. I movimenti sociali, qui (in Messico, ndt) e altrove, hanno avuto un’alta visibilità nel corso della settimana. Ci sono state iniziative specifiche, alleanze, anniversari, mobilitazioni… A quelli che stanno in alto, o nelle analisi, essi appaiono come una molestia, una perturbazione. Si pensa che si inoltrano in un vicolo cieco, senza uscita. E’opportuno esplorare se non sia vero il contrario: che essi sono l’uscita dal vicolo cieco. Nel mondo intero, come si può constatare quotidianamente in Messico, cresce la disillusione verso i partiti e i governi. Compresi i casi in cui la mobilitazione popolare riesce a far cambiare funzionari e interi governi e a modificare il segno politico e ideologico dei subentrati, non si riesce a modificare le politiche che l’hanno provocata. In questo contesto, si intensificano le iniziative dei movimenti sociali. La gente convoglia col loro tramite inquietudini e rabbie che i partiti non possono o non vogliono affrontare. Però affrontano ogni volta di più una grande nube oscura. Vi sono governi che si aprono al dialogo e lo usano come meccanismo di disturbo, fino a che, grazie a concessioni secondarie, la mobilitazione si esaurisca. Altri reagiscono fin da subito con politiche di repressione, o le applicano allorché il dialogo, o la pretesa di ciò che vorrebbe apparir tale, non può continuare. A quanto appare, nel mondo intero i governi hanno imparato ad ignorare i cittadini. In queste condizioni, si sostiene spesso che i movimenti sociali sono incapaci di rappresentare un’autentica alternativa alla situazione attuale. Si riconosce la loro vitalità e legittimità. Si sa che nella loro grande maggioranza hanno solidi motivi per intraprendere le loro iniziative e che conducono lotte coraggiose, eroiche, costanti, come ha appena commentato su queste pagine Guillermo Almeyra (La Jornada del 12 maggio, ndt). Assieme all’elogio fa comparsa la denigrazione: non potranno andare molto lontano. Ottengono solo appoggi parziali e, pertanto, non riusciranno a liquidare il sistema e le strutture che stanno alla radice delle mobilitazioni. Sembra importante approfondire l’ipotesi secondo cui, sebbene molti movimenti sociali corrispondano ancora a abitudini e inerzie precedenti ed altri siano legati a rivendicazioni temporanee, vi sono ogni giorno di più iniziative nuove che stanno creando le opzioni per le trasformazioni che nessun partito ha il coraggio di assumere e che nessun governo può accettare, opzioni che stanno smantellando dal basso ciò che deve essere liquidato. In casi specifici le coalizioni di movimenti che stanno nascendo possono arrivare a costituire la massa critica di forza politica che obbliga i governi a soddisfare, magari solo in parte, le rivendicazioni che motivano le loro mobilitazioni. Queste coalizioni non solo sono importanti per questo obbiettivo. Sono anche parte di un processo di accumulazione di forze che risulta molto promettente. Però vi sono molte altre coalizioni ed alleanze che includono un diverso contenuto. Di fronte alle minacce ogni volta più serie quale quella che si è verificata col cosiddetto estrattivismo, non solo si organizza l’unione di coloro che ne sono colpiti per offrirsi un mutuo appoggio e dare maggior forza alla resistenza. In esse si comincia ad esercitare una forma di sovranità popolare ed a prendere decisioni specifiche che contengono un embrione di futuro, ciò che rappresenta già il risultato ricercato dalla lotta stessa. Questo risultato non consiste più nel conquistare gli apparati dell’oppressione per cercare di porvi fine dall’alto, per mezzo di esercizi di ingegneria sociale; i movimenti sociali, nelle circostanze attuali, stanno imparando l’inutilità di questo impegno. Adesso tentano, dal basso, di smantellare la base stessa di questi apparati, la loro ragione di essere, il loro fondamento. Un modo per esprimere questa nuova forma di esistere è sottolineare che corrisponde alla convinzione che è necessario abbandonare la separazione fra mezzi e fini. Che la lotta deve assumere la forma del risultato che si persegue. Se il problema è creare una società che non sia segnata dalla violenza, la stessa lotta deve evitarla. Questo nuovo modo di comportarsi sembra ogni giorno più necessario di fronte all’orrore che ci investe. L’estrattivismo si estende e si approfondisce in tutte le sue forme, sia quelle che con evidenza si nutrono con le materie del sottosuolo sia quelle del sistema finanziario o urbano (vedi l’articolo di Raúl Zibechi L’estrattivismo nelle grandi città, su comune-info.net, ndt). Poiché anche la resistenza si va facendo generale, essa viene accompagnata da dispositivi controinsurgenti per continuare ad imporlo. Di fronte a questo duplice orrore, che causa nuovi pericoli, le strategie del passato non sono più adeguate. Non si tratta più della vecchia disputa del valore e del plusvalore o delle rivendicazioni tradizionali. Si tratta di una lotta per la sopravvivenza e per la vita, che può avere successo mediante una trasformazione radicale della stessa lotta, concentrandola sulla creazione della nuova società. E’ per questo che tali movimenti cominciano a rappresentare un’alternativa autentica.
Traduzione: Aldo Zanchetta Nota del traduttore: Ci sono testi densi di significato ma nei quali l’uso di un linguaggio semplice e piano, senza parole astruse per il lettore ‘normale’ e senza citazioni dotte di ‘maestri del pensiero’, possono apparire ad un lettore poco attento come banali. Esteva, in questo breve testo giornalistico, ripropone in maniera sintetica alcuni temi sviluppati in «Antistasis. L’insurrezione in corso» e in altri suoi lavori. Temi che in America latina, un laboratorio multiforme e drammatico per la costruzione di un «mondo in cui abbiano posto mondi diversi», vengono dibattuti con intensità, come centrali: Quale il ruolo dei movimenti sociali? Quali i rapporti di questi con i partiti politici e con i «governi amici»? E ancora: Che fare con lo Stato, ormai ovunque alleato coi poteri forti della finanza e dell’economia e detentore del potere di repressione? E quanto pesa ancora nella prassi di ogni giorno, anche da noi, la distinzione fra mezzi e fini? Domande banali, o cuore di un radicale cambiamento nel modo di fare politica, come sottolinea Esteva in chiusura? (A.Z.) Gustavo Esteva vive a Oaxaca, lo stato più meridionale del Messico. I suoi libri vengono pubblicati in diversi paesi del mondo. In Italia, sono stati tradotti: «Elogio dello zapatismo», Karma edizioni: «La Comune di Oaxaca», Carta; e, proprio in questi giorni, per l’editore Asterios gli ultimi tre: «Antistasis. L’insurrezione in corso»; «Torniamo alla Tavola» e «Senza Insegnanti». In Messico Esteva scrive regolarmente per il quotidiano La Jornada ma i suoi saggi vengono pubblicati anche in molti altri paesi. In Italia collabora con Comune-Info.
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