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Cremaschi: si è arresa anche la Fiom, fine del sindacato? «Se in un contratto nazionale o aziendale si aumenta l’orario di lavoro, si abbassano le qualifiche, si toglie ai lavoratori il diritto ad ammalarsi, e se la maggioranza dei rappresentanti sindacali e dei lavoratori accetta, la minoranza non può più opporsi. Non può fare sciopero, non può andare in tribunale, non può neanche tutelare quei lavoratori che non ci stanno. Altrimenti è fuori». In puro “sindacalese” questo si chiama “esigibilità”: ed è esattamente la clausola-capestro che ora ha accettato anche la Cgil, con la sola opposizione della componente “Rete 28 aprile”, alla stipula del nuovo patto sulla rappresentanza. Risultato: insieme a Cisl e Uil, anche la Camusso firma con Confindustria. D’ora in avanti, lo stesso Landini può scordarsi una “resistenza” come quella ingaggiata a Pomigliano, quando la Fiom trascinò la Fiat di Marchionne in tribunale. Fine dell’ultimo brandello di radicalismo sindacale: per Giorgio Cremaschi, è una capitolazione storica. Addio sindacato. «Ovunque ci sia una lotta o una ribellione vera allo sfruttamento scrive Cremaschi sul sito di “Rete 28 aprile” il sindacato dev’essere preventivamente esigibile». Già oggi, invece, «le lotte sindacali più importanti e partecipate della Lombardia, Trenord e San Raffaele, vedono Cgil, Cisl Uil ostili ed estranee, come accade alla lotta dei lavoratori migranti della logistica e a tanti altri». Il problema degli accordi separati è superato, aggiunge l’ex leader della Fiom. «Tutti gli accordi sono preventivamente unitari perché non esiste più il diritto a non firmare ciò che non piace: si supera il problema del dissenso cancellando il diritto a dissentire, come la Fornero che ha superato la divisione tra chi è o non è tutelato dall’articolo 18, togliendo l’articolo 18 a tutti». Questo accordo, aggiunge Cremaschi, costituisce un esproprio di quella tanto auspicata legge sulla rappresentanza, che avrebbe dovuto finalmente garantire ai lavoratori il diritto alla democrazia sindacale, realizzando al contrario «una privatizzazione corporativa di questo loro diritto». Del resto, questo è ciò che le “parti sociali” ricercano su un piano ben più ampio: i gruppi dirigenti di Cgil, Cisl e Confindustria hanno visto travolti dalle elezioni i rispettivi progetti politici. E le presidenziali, con la catastrofe del Pd, hanno scatenato l’angoscia tra i quadri della Cgil, i cui più anziani hanno già vissuto la crisi del Pci e la distruzione del Psi. I grandi sindacati confederali, accusa Cremaschi, escono da vent’anni di concertazione, di moderatismo rivendicativo, di istituzionalizzazione. «Tutta la struttura è stata selezionata da queste basi. Come si fa a cambiare? Così ci si aggrappa ad una Confindustria anch’essa colpita da crisi di rappresentanza ed efficacia. E si rilancia il patto corporativo tra i produttori, che oggi più che mai è prima di tutto una patto di sopravvivenza tra grandi burocrazie in crisi». E ora, mentre tutti i riflettori sono concentrati sul “governissimo” di Napolitano, sindacati e Confindustria «stanno definendo il governissimo sindacale». La Cgil, continua Cremaschi, aderisce al patto sulla rappresentanza con il concorso determinante di Maurizio Landini: senza il suo apporto, la segreteria di Susanna Camusso non avrebbe avuto oggi la forza politica di andare avanti. Perché? Si sprecano le analisi sui retroscena, mettendo in secondo piano il vero problema: Landini ha dato speranza e coraggio al mondo del lavoro, acquisendo fama e prestigio, con il “no” a Pomigliano, non firmando un accordo accettato dalla maggioranza dei sindacati e dei lavoratori. «Ora quel “no” diventa un “sì”, attraverso l’accettazione della esigibilità». Landini, insiste Cremaschi, «ha il dovere di spiegare questo ribaltamento della sua posizione e di quella della Fiom, senza sotterfugi, senza inutili sprechi di retorica». In ogni caso, «contro questo accordo che normalizza e centralizza autoritariamente tutte le relazioni sindacali, bisognerà lottare: tutte le forze e le esperienze sindacali che non ci stanno dice Cremaschi debbono organizzare la disobbedienza, il contrasto, la crisi del patto corporativo sulla rappresentanza». Bisogna reagire subito, perché «un regime sindacale degli “esigibili”, quando su tutti pesano i danni e i ricatti della disoccupazione di massa, è un altro macigno che precipita sul mondo del lavoro».
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