Scritto per Lettera43 Tian'anmen, tra pista uigura e destabilizzazione Integralismo islamico a bassa intensità o "strategia della tensione" secondo caratteristiche cinesi? Due giorni dopo l'"incidente" nella piazza simbolo del potere cinese, l'autoimmolazione di militanti provenienti dallo Xinjiang resta la spiegazione più accreditata, ma non si esclude l'idea che ci sia lo zampino di forze contrarie alle grandi riforme che saranno decise tra il 9 e il 12 novembre, al Terzo Plenum del Comitato Centrale. Non è stato un “incidente”. Questa è la prima certezza. Il Suv che lunedì a mezzogiorno ha seminato morte e panico in piazza Tian'anmen, a Pechino (5 vittime e 38 feriti), “ha abbattuto le barricate e ha cominciato a investire i pedoni. I tre uomini a bordo non avevano nessuna intenzione di fuggire dalla scena”, una fonte anonima ha raccontato a Reuters. Nella sua corsa di 400 metri lungo il percorso pedonale che costeggia il lato nord della piazza - quello che dà accesso alla Città Proibita - la Jeep bianca ha evitato alberi, lampioni e almeno un checkpoint della sicurezza. Inoltre, la scelta di colpire all'ora di pranzo, quando i controlli sono allentati, fa propendere molti osservatori per l'intenzionalità del gesto. I testimoni citati dai media cinesi hanno tuttavia riferito che l'uomo al volante ha ripetutamente suonato il clacson mentre lanciava il Suv lungo il marciapiede, il che lascia intendere che non si cercasse la strage. Le foto che mostrano le fiamme e un denso fumo nero che avvolgono il veicolo dopo lo schianto, lasciano pensare a qualche materiale infiammabile a bordo, anche se i testimoni sono concordi nell'escludere di avere sentito esplosioni (come sarebbe successo nel caso di un'autobomba) o colpi d'armi da fuoco (come nel caso di un attacco in piena regola). Il Global Times giornale governativo imparentato con il Quotidiano del Popolo riporta nella sua edizione in inglese (non in quella cinese) che i tre a bordo hanno effettivamente acceso del materiale infiammabile. Più un'autoimmolazione che un attentato. Forse. La seconda certezza è che la polizia di Pechino sta percorrendo la pista uigura, anche se non sono da escludere altri filoni d'inchiesta. È stata costituita una squadra speciale per indagare sul caso e si dà la caccia ad almeno otto persone che si ritiene siano collegate all'apparente suicidio/attentato. Tutti gli hotel della capitale sono stati invitati a dare informazioni sui sospetti, che sono un 21enne del Sichuan di nome Liu Ke, nome che farebbe pensare a un cinese di etnia Han (quella maggioritaria) e sette uiguri, tra cui un certo Yusupu Wumaierniyazi. Il primo risulterebbe residente in un compound di proprietà della polizia a Changji, nello Xinjiang, mentre il secondo sarebbe originario di una città, sempre dello Xinjiang, in cui 24 tra poliziotti e civili e 13 militanti sono stati uccisi in scontri etnici il 26 giugno scorso. Fonti ufficiali parlano anche di cinque targhe di veicoli, tra cui quella di una moto, tutte dello Xinjiang e di interesse per la polizia. Bocche cucite su tutto il resto. La portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, parla di “incidente” che è sotto indagine, aggiungendo che lo Xinjiang “gode di un solido sviluppo economico e sociale”, anche se a volte sperimenta episodi di violenza e “terrorismo”. “Contrastiamo e reprimiamo duramente tali incidenti per garantire la sicurezza della società, la vita e le proprietà delle persone”, ha aggiunto Hua. Gli uiguri sono la minoranza etnica originaria dello Xinjiang e di religione musulmana. Estranei alla cultura maggioritaria han, discendono da tribù nomadi divenute sedentarie nel corso dei millenni, lungo l'antica Via della Seta. In Xinjiang, quest'anno, decine di persone sono state uccise in scontri tra le forze di sicurezza e i militanti uiguri che, secondo il governo, sono fondamentalisti collegati alla Jihad globale e hanno anche preso parte alla guerra civile in Siria, al fianco dei combattenti di al-Qaeda. Pechino non ha fornito molte prove a sostegno di tali affermazioni, tuttavia è opinione comune tra gli analisti che ci sia un collegamento tra alcune frange estreme dell'indipendentismo uiguro e i gruppi combattenti dell'Asia centrale. Lo Xinjiang confina con l'Afghanistan e con gli altri stati dell'area; si ritiene che militanti uiguri trovino riparo nelle aree tribali nord-occidentali del Pakistan. Ilham Tohti, studioso uiguro di Pechino, ha dichiarato al sito Uighurbiz.net che bisogna essere molto cauti prima di assegnare colpe senza prove adeguate, aggiungendo però che l'uso di metodi estremi da parte degli uiguri non può essere escluso: “L'uso di mezzi violenti avviene perché tutte le altre forme d'espressione sono sparite”, ha detto a Reuters. Alim Seytoff, portavoce del World Uyghur Congress un'organizzazione indipendentista con sede in Occidente e in parte finanziata dagli Usa - ha dichiarato di temere una reazione contro gli uiguri. “Ogni volta che qualche evento violento avviene nel Turkestan Orientale [nome dello Xinjiang per gli indipendentisti, ndr] o in altre parti della Cina, i media cinesi sono pronti a puntare il dito contro gli uiguri. Ma, come per molti altri episodi di violenza, è altamente improbabile che si scopra che cosa è veramente successo”. Da mesi, le autorità cinesi avvertivano che gli estremisti stavano progettando attacchi fuori dallo Xinjiang. Una soffocante attività repressiva e di sicurezza avrebbe reso difficile l'organizzazione dei militanti, negato loro rifugi sicuri e limitato il loro accesso ad armi da fuoco ed esplosivi. Tuttavia, sempre che la pista uigura si riveli corretta, il gesto di lunedì ha avuto un enorme impatto simbolico. Poco più a ovest del luogo dell'”incidente” si trova la Grande Sala del Popolo, sede del parlamento cinese, mentre molti dei principali leader cinesi vivono e lavorano a Zhongnanhai, in un luogo strettamente sorvegliato a poche centinaia di metri. L'alta rappresentatività del luogo e la falla rivelatasi nell'apparato di sicurezza lasciano spazio a un'altra interpretazione. Secondo alcuni analisti e qualche vox populi, l'evento di lunedì sarebbe in realtà una picconata all'autorevolezza della nuova leadership, in procinto di varare le grandi riforme che plasmeranno la Cina del futuro durante il Terzo Plenum del Comitato Centrale, che si terrà dal 9 al 12 novembre. Il conflitto tra le varie anime e i diversi interessi presenti nel Partito comunista non è risolto, le probabili riforme di mercato che limiteranno il ruolo delle imprese di Stato e i relativi interessi costituiti possono avere suscitato un tentativo di destabilizzazione da parte di chi non vuole perdere potere. Ma qui, siamo alla dietrologia più spinta. Almeno per ora.
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