The Electronic Intifada
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6 amggio 2013

I beduini attendono il piano di ricollocazione forzata israeliano
di Jillian Kestler-D’Amours


Decine di tende di metallo e legno si appoggiano su una collina rocciosa, poco fuori Gerusalemme, lungo la strada che porta al Mar Morto, mentre gli inconfondibili tetti rossi delle colonie israeliane spuntano fuori dalla collina opposta. Per il 49nne Eid Hamis Jahalin, questo posto tranquillo rappresenta il centro potenziale della pace nella regione ed una cosa è chiara: la sua famiglia deve essere autorizzata a restare nella comunità.

“I beduini stanno combattendo per esistere dal 1967. Israele prova da tempo a trasferirci”, dice Jahalin, sorseggiando tè all’ombra della tenda di famiglia nel villaggio di Khan Al-Ahmar. I beduini sono il popolo indigeno della Palestina. “Il mondo interno parla di due Stati e due governi. Se cacciano i beduini Jahalin da qui, i confini di Gerusalemme saranno il Mar Morto e la Valle del Giordano. Dopo questo, come si potrà parlare di due Stati?”. Il Ministero della Difesa israeliano a breve presenterà il nuovo piano di ricollocazione per oltre venti comunità beduine che vivono alla periferia di Gerusalemme, tra cui Khan Al-Ahmar.
 

“Densità troppo alta”

La proposta prevede il trasferimento forzato di circa 3mila beduini Jahalin nell’area di Nweimah vicino la città di Gerico, nella Valle del Giordano, sotto il controllo dell’Autorità Palestinese. “Li metteranno tutti insieme in palazzi da 800 appartamenti, che naturalmente non si addicono ai bisogni di queste comunità. Sono appartamenti molto piccoli e la densità sarebbe altissima. Non avranno spazio per il pascolo”, dice Alon Cohen-Lifshitz, architetto del gruppo israeliano Bimkom.

Il nuovo piano inoltre collocherà i Jahalin tra una zona militare israeliane, checkpoint, colonie e l’area di addestramento delle forze di sicurezza dell’ANP. Il governo israeliano, tuttavia, dice che lo spostamento dei beduini dalle loro attuali comunità migliorerà di molto la qualità e il livello dei servizi che riceveranno.

“Ora vivono illegalmente e stiamo cercando una serie di opzioni – ha spiegato il portavoce dell’Amministrazione Civile israeliana, Guy Inbar, a The Media Line, aggiungendo che il piano non è stato ancora finalizzato – Vogliamo che i beduini vivano in un’area dove ci siano le infrastrutture necessarie, come acqua e elettricità, invece di vivere in tende che potrebbero essere demolite”.

L’Amministrazione Civile israeliana è un corpo militare che governa l’Area C, il 60% dell’intera Cisgiordania. L’Area C è sotto il totale controllo israeliano e l’Amministrazione Civile regola tutte le questioni legate alle costruzioni palestinesi. Le numerose restrizioni israeliane fanno sì che ai palestinesi in Area C sia permesso costruire solo sull’1% del territorio.
 

“Trasferimento silenzioso”

“Stanno cercando di creare una forte pressione attraverso gli ordini di demolizione, insieme alle altre restrizioni, e realizzare il cosiddetto trasferimento silenzioso. Se i palestinesi capiscono che non possono vivere liberamente in Area C, allora si muoveranno in Area A e Area B, dove possono costruire senza problemi”, spiega Eid Hamis Jahalin.

La tribù beduina Jahalin era stata scacciata dalle sue terre vicino Tel Arad, nel Sud del deserto del Negev all’inizio degli anni ’50. Da allora, la comunità ha vissuto nelle colline di Gerusalemme e ora è circondata da un ammasso di colonie israeliane, compresa l’imponente Ma’ale Adumim, dove vivono 40mila coloni.
 

No acqua corrente

I residenti di Khan Al-Ahmar non hanno accesso alla rete dell’acqua corrente né all’elettricità e ogni struttura del villaggio, compresa la scuola, è sotto minaccia di demolizione. L’espansione delle colonie israeliane – inclusa la costruzione del corridoio E1 proprio vicino Khan Al-Ahmar – continua a minacciare il villaggio. Tale allargamento separerà Gerusalemme dal resto della Cisgiordania.

Alla fine degli anni ’90, in un precedente tentative di espandere Ma’ale Adumim, Israele ha trasferito 200 famiglie beduine che vivevano vicino Gerusalemme in una nuova cittadina nel Comune di Abu Dis, vicino ad una discarica, che ha messo in serio pericolo la salute dei residenti.

“Le famiglie trasferite riportano di conseguenze negative, comprese malattie, perdita dello stile di vita tradizionale, deterioramento delle condizioni di vita, perdita della coesione tribale – ha scritto l’OCHA, agenzia Onu per gli Affari Umanitari”. L’ultimo round di espulsioni è stato rivelato nell’ottobre 2011, quando l’Amministrazione Civile ha alluso all’espulsione di circa 27mila beduine delle loro case nella Valle del Giordano entro tre-sei anni.

La prima fase del piano – che è stata accolta da critiche locali e internazionali – prevedeva l’espulsione dei Jahalin vicino Ma’ale Adumim. All’epoca, l’UNRWA – agenzia Onu per i rifugiati palestinesi – disse che i tentativi di spostare i Jahalin “vanno considerati trasferimenti forzati di massa e individuali e espulsioni forzate contrarie al diritto internazionale e ai diritti umani”.

Secondo Eid Hamis Jahalin a Khan Al-Ahmar il governo israeliano deve abbandonare il nuovo piano di ricollocazione della comunità. Lo Stato ha solo due opzioni, dice: lasciare i Jahalin vivere in pace dove si trovano ora o lasciarli tornare nelle loro terre d’origine in Negev.

“Voglio vivere in un villaggio beduino – dice Jahalin – È come essere una sardina in un barattolo, uno dietro l’altro. Prendi questo piano di ricollocamento e mostralo agli israeliani e vedi se vorrebbero vivere lì. Nessuno vorrebbe vivere lì”.
 

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