Il Fatto Quotidiano
3 luglio 2013

F35, il timbro di Napolitano sull’operazione: “Il Parlamento non può porre veti”

Il consiglio supremo di Difesa presieduto dal presidente della Repubblica: "A fare le scelte in materia militare è solo il governo". A pesare sono i rapporti con gli Stati Uniti e la partecipazione essenziale dell'Italia nella costruzione degli apparecchi. Ma restano i dubbi sulla qualità dei caccia che saranno acquistati

Il timbro di Giorgio Napolitano sull’operazione F35. Il presidente della Repubblica riunisce il Consiglio supremo di Difesa al Quirinale e non le manda a dire ai partiti che – anche e soprattutto all’interno della maggioranza delle larghe intese – hanno discusso fino alla virgola di come far proseguire l’iter del progetto di acquisto dei cacciabombardieri: il Parlamento non può porre veti al governo in tema di ammodernamento dell’apparato militare, dice il consiglio. Chi decide, insomma, è l’esecutivo. Gli F35 non vengono mai nominati in modo esplicito ma il riferimento è chiaro e il timbro sembra arrivare direttamente dal capo dello Stato, profilando un singolare conflitto istituzionale su una materia così delicata. Napolitano, certo, in questo modo conferma di voler rendere ancora più solido il già ottimo rapporto con gli Stati Uniti d’America e il presidente Barack Obama e dall’altra parte di “percepire” le pressioni dei settori della difesa italiana che a più riprese hanno fatto sentire la propria voce contro i tagli degli ultimi anni.

La nota del Consiglio supremo di Difesa – pubblicata sul sito del Quirinale prima ancora di essere rilanciata dalle agenzie – sembra diretta a silurare, è il caso di dire, la mozione che con tanta fatica fu approvata a maggioranza dalla Camera il 26 giugno al grido (del ministro della Difesa Mario Mauro) di “armare la pace per amare la pace”. Tanta fatica che la differenza tra la mozione presentata dal Pd e quella poi votata da tutta la maggioranza fu di una parola sola: “ulteriore” accanto alla parola acquisto. Il provvedimento, infatti, prevede che gli aerei militari sui quali c’è già stato il sì all’acquisto si compreranno, mentre eventuali altre acquisizioni dovranno passare dal voto delle Camere. Quest’ultima prescrizione, però, secondo il Consiglio supremo di difesa, non è attuabile. “La facoltà di sindacato delle commissioni parlamentari – si legge nella nota – non può tradursi in un diritto di veto su decisioni operative e provvedimenti tecnici che, per loro natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”. Toccherà solo ed esclusivamente a Letta e ai suoi ministri, quindi, decidere se acquistare o meno nuovi F35.

Da una parte, dunque, la preoccupazione del Quirinale è che se l’Italia davvero si defilasse dal programma F35 ne risentirebbe l’intero accordo multilaterale tra i 9 Paesi partecipanti (Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Olanda, Turchia, Canada, Australia, Danimarca e Norvegia)e quindi le relazioni internazionali soprattutto con gli alleati occidentali. Ma c’è un altro vincolo: le ali del velivolo saranno infatti prodotte dalla Alenia tanto che per certi versi si è arrivati a definire l’F35 un aereo italoamericano. In Italia vengono realizzate le ali e tutta la parte della fusoliera, compresi disegno e progettazioni di 150 ingegneri di Alenia.

Su tutto pesa la presunta giustificazione (ribadita più volte dall’ex ministro Antonio Martino e dal ministro Giampaolo Di Paola durante il governo Monti) dell’eventuale pagamento di una penale in caso di ritiro dall’accordo. Secondo il “Memorandum of Understanding”, che sancisce l’accordo, firmato dall’Italia nel 2007 sotto il governo Prodi, qualsiasi Stato partecipante può ritirarsi dall’intesa. E’ sufficiente un preavviso di tre mesi da spedire agli altri Paesi. Ma niente multe. Resterà da pagare solo il sostegno finanziario e operativo fino alla data effettiva di ritiro. 

Restano poi i dubbi sull’effettiva qualità degli aerei. Il costruttore, la Lockheed Martin, lo ha esaltato come miglior caccia possibile. Ma un rapporto del Pentagono, svelato in primavera dallo Spiegel, definiva il jet ordinato dall’Aeronautica italiana come inferiore ai caccia delle generazioni precedenti. Gli F35, secondo il Pentagono, hanno una serie di difetti gravi e non eliminabili perché legati allo stesso progetto. L’operazione costerà all’Italia 12 miliardi. Cifra già ridotta di 4 dopo che la Difesa stessa ha proposto un ridimensionamento del programma, passando dagli iniziali 131 velivoli agli attuali 90: ogni aereo, infatti, ha un costo che varia tra i 99 e i 106,7 milioni. L’esigenza primaria italiana è quella di sostituire con gli F35 gli AV-8B Harrier della Marina e gli AMX e i Tornado dell’Aeronautica che dal 1991 hanno operato in tutte le missioni internazionali: si calcola che i 90 F35 alla fine rimpiazzeranno circa 250 vecchi velivoli. Sui cacciabombardieri, tra l’altro, l’Italia ha già investito 2 miliardi e mezzo e realizzato a Cameri, in provincia di Novara, uno stabilimento dove vengono costruite e assemblate parti dell’aereo (unico fuori dagli Usa): secondo l’ex ministro Di Paola il programma F35 garantirà circa 10mila posti di lavoro, tra diretti e indotto. 

Secondo i militari, l’F35 è un ottimo investimento. Si tratta di un aereo, si legge sul sito dell’Aeronautica, “con uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, stealth, cioè a bassa osservabilità radar e quindi ad elevata sopravvivenza, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento e capace di operare da piste semi-preparate o deteriorate, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari di quest’era successiva alla guerra fredda”.

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