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mercoledì 28 agosto 2013 12:52

Milosevic, Assad e la sinistra che ama i dittatori
di Francesco Peloso 



Il primo passo da fare è denunciare l'oppressione del regime in Siria. Non c'è soluzione politica e diplomatica fuori di questo. La falsa coscienza dei pacifisti.

Nel 1989 crollava, o meglio veniva smontato pezzo a pezzo, il Muro di Berlino, la rivoluzione era di velluto e finiva un'epoca. Da allora, è passato un quarto di secolo, non è sorto un nuovo ordine mondiale, le crisi si sono succedute una dopo l'altra, il tentativo promosso dalla destra americana neocon, capitanata dalla famiglia Bush, di mettere una sola potenza alla guida del mondo, è fallito. Il multipolarismo è per molti versi ancora solo una teoria - ma non dal punto di vista economico - resta però un problema di fondo: come governare le crisi umanitarie, politiche e sociali in particolare, in un mondo complesso.

In questi decenni i movimenti progressisti, le forze di sinistra, non hanno più trovato la bussola per orientarsi nella stagione cominciata dopo il crollo del comunismo sovietico. La fine di quegli equilibri, del resto, ha fatto emergere la verità concreta, quotidiana, su molti regimi prima tollerati all'interno di un mondo diviso in blocchi. Non solo: il nazionalismo, il tribalismo, l'etnismo sono apparsi quali veri elementi unificanti di diversi regimi totalitari. E' stato così per la Serbia di Milosevic, per la Libia di Gheddafi, e oggi per la Siria di Assad. La Russia, nel frattempo, grande sostenitrice delle dittature di ogni latitudine, è diventata il nuovo regno di un regime autocratico retto dal sempiterno Putin, nuovo zar, nuovo Breznev, in un Paese dove gli oppositori sono stati uccisi, avvelenati, messi in galera. Dove i servizi di sicurezza hanno combattuto il 'terrorismo', la rivolta cecena, a suon di stragi di civili; ma in questo caso, a differenza di Guantanamo, nessuna scomunica è stata pronunciata.

Da tempo insistiamo su un punto: se l'Ue non assume nella propria missione anche l'obiettivo dell'espansione dei diritti e della giustizia, se non si fa insomma promotrice sulla scena internazionale di un protagonismo politico che abbia come obiettivo l'affermazione della democrazia, essa non ha più senso. La cessione di sovranità agli organismi di Bruxelles ha un significato solo se in cambio cresce la qualità della rappresentanza.

La stessa comunità europea, l'idea di integrazione che è alla sua origine, nacque assecondando un disegno di fondo: scongiurare per le generazioni future che i popoli del vecchio continente si scontrassero fino al compimento dell'ultima strage. Questo il testimone che ci è stato consegnato da quella generazione, questi i valori che dobbiamo promuovere.

Una parte, anche autorevole della sinistra, per non parlare di ciò che resta del movimento pacifista, ha tuttavia applicato al mondo nuovo le categorie dell'antimperialismo anni '60, non facendo alcuna differenza di analisi e di ragionamento di fronte ai mutamenti di scenari e di crisi. Così Belgrado era come Saigon e lo stesso vale oggi per Damasco. Eppure Sebrenica è là, testimonianza muta dello scempio compiuto dalle milizie serbe contro l'umanità; leggere anche solo alcuni particolari delle atrocità compiute in quell'occasione è rivoltante. Dovevano allora i caschi blu che 'difendevano' la città combattere, aprire il fuoco, contro l'armata nazionalista? Sì, oggi tutti lo pensano, anche se quella battaglia non avrebbe risolto la crisi balcanica.

In Italia non si è discusso molto del materiale trovato negli archivi del bunker di Gheddafi. Centinaia di video nei quali erano state filmate (filmate!) le innumerevoli violenze sessuali e gli stupri commessi dal dittatore e dai suoi uomini su ragazze e ragazzi di tutto il Paese; una barbarie di cui naturalmente ci sono testimonianze dirette e che spiega, almeno in parte, lo scempio cui fu sottoposto il corpo di Gheddafi alla fine del conflitto. L'intervento franco-americano in quell'occasione fu certamente dovuto a interessi strategici, ma cosa sarebbe accaduto se l'assedio a Bengasi, ultima roccaforte ribelle che resisteva all'esercito del rais, non fosse stato tolto in ragione di quei bombardamenti? Che fine avrebbe fatto la Libia? Nei nostri ricordi resta la tenda di Gheddafi piantata nel cuore di Roma le 40 amazzoni (?!) del suo seguito, le risate di B. e il gran ricevimento offerto dal dittatore alla meglio società del nostro Paese. 

La Primavera araba è un processo lungo, complesso, pieno di passi indietro e di sangue. Nessuna rivoluzione, del resto, ha prodotto d'incanto la felicità sulla terra. La Siria vive da due anni e mezzo uno scenario da incubo nel quale, progressivamente, si sono introdotte anche forze fondamentaliste e islamiste. Il mancato aiuto politico, economico e anche militare all'insurrezione contro la dittatura di Assad ha fatto il resto.BB Non pensiamo davvero che un intervento militare aereo di qualche giorno risolva il problema, la situazione è degenerata oltre ogni limite, tanto più che la 'guerra lampo' si annuncia più che altro come un atto di presenza da parte di Usa e Gb dopo la diffusione delle notizie sull'uso delle armi chimiche (Il che costituisce, ricordiamolo, un crimine contro l'umanità). E tuttavia reputiamo uno scandalo morale mettere il carnefice e i suoi oppositori sullo stesso piano, crediamo che sia un atto di ignavia politica e civile non condannare in modo pieno e chiaro chi ha torturato, ucciso bambini e civili, bombardato il suo stesso popolo per non rinunciare al proprio potere spietato.

In questi anni, per la prima volta, le donne i giovani, un pezzo di società civile, hanno preso la parola nel mondo arabo e hanno rivendicato diritti e giustizia, il pane e le rose. Da questa parte del mondo non c'è stata quasi risposta e anzi si è preferito ridurre il tutto, con qualche implicita venatura razzista, allo schema classico: sciiti-sunniti; un dato che certo è ben presente ma non esaurisce quelle società. Del resto negli anni scorsi per due volte i giovani dell'Iran a decine di migliaia sono scesi i piazza contro il regime ma l'Occidente rimase muto. Svegliarsi oggi per dire no a un intervento internazionale dopo aver tollerato l'intollerabile è una forma di falsa coscienza, un automatismo burocratico e ideologico. Denunciare l'oppressione del popolo è il primo passo per proporre una soluzione politica e non militare della crisi siriana.

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