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Cosa vogliono cancellare cancellando l'Unità L’Unità proibita alla Fiat di Bologna e in altre fabbriche della multinazionale dell’auto rappresenta un’offesa, una ferita per tutti i metalmeccanici, operai, impiegati e tecnici e non solo per i “rossi” della Fiom. Perché questo giornale è stato al loro fianco da quando è nato, cercando di interpretarne obiettivi, inquietudini, aspirazioni, difficoltà, ancorandole proprio al titolo di questa testata: «Unità». Quando io ho cominciato a lavorare su queste pagine, dopo un periodo di apprendistato, ho ricevuto da Adriano Guerra, un caro compagno e collega scomparso, proprio questo incarico. Ero, nel servizio economico sindacale, a Milano, il redattore che doveva seguire la categoria considerata un po’ l’avanguardia, la “punta di diamante” si diceva allora, del movimento sindacale. Mi ero fatto le ossa a Brescia come corrispondente del giornale, dopo un’esperienza redazionale presso la Casa editrice «La Scuola». E il mio tempo era occupato, oltre che da incidenti stradali e omicidi, da scioperi e manifestazioni spesso organizzate dai metalmeccanici. Ho visto nascere così le prime esperienze unitarie. Ho ancora il ritaglio di una prima pagina, in un quadretto regalatomi da una collega con il titolo: «Sciopero all’Om Fiat, al grido di libertà» e la mia firma. Era il 6 aprile 1962. Quei metalmeccanici lottavano contro un licenziamento di rappresaglia adottato per colpire uno dei promotori di una vertenza intrapresa anche per modificare la natura di una specie di premio considerato «antisciopero». Non accettavano, in sostanza, il baratto tra un pugno di soldi e la libertà di agire come sindacato. Le radici del famoso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori risalgono a episodi come questo. C’era in quella cronaca, riportata da l’Unità, una componente straordinaria, ovverosia la presenza di dirigenti cattolici metalmeccanici. Ricordo tra gli altri i nomi di Michele Capra e Franco Castrezzati. Nasceva una Fim-Cisl rinnovata e combattiva. Fiom, Fim e Uilm cominciava- no a contaminarsi a vicenda. Ho nei miei cassetti una lettera firmata da Luigi Macario, segretario generale della Fim-Cisl, datata 14 giugno 1969. Ringrazia il giornale per l’informazione sul sesto congresso svoltosi a Sirmione con la convinzione che «l’informazione ampia e obiettiva anche sui fatti sindacali sia ele- mento essenziale per favorire la crescita democratica». Era accluso un assegno di 30 mila lire «per rimborso spese di viaggio». Un contributo a un giornale povero. Ho anche un’altra lettera firmata da Pio Galli (segretario Fiom) che sempre in quegli anni mi incarica di partecipare alla redazione di «Unità operaia», il primo giornale unitario dei metalmeccanici, con sede negli uffici della Uilm di Giorgio Benvenuto in piazza Sallustio a Roma. Seguire la storia dei metalmeccanici, nelle cronache de l’Unità, è come seguire la storia di un Paese che cerca di rinnovarsi, di modernizzarsi davvero. Non a caso la prima rivista Fiom di Bruno Trentin si chiamava «Sindacato moderno». Ed ecco la prima grande manifestazione a Roma (piazza del Popolo il 28 novem- bre del 1969). Un corteo immenso e disciplinato che risponde così ai timori di Giancarlo Pajetta, il “ragazzo rosso”, preoccupato che si potesse solo «spaventare la borghesia». I resoconti di Ugo Baduel e di Alessandro Cardulli descrivono «Un corteo lungo cinque chilometri». Mentre l’editoriale sottolinea come l’unità sindacale sia tornata «a trionfare in Italia di ogni ostacolo, di ogni incertezza, di ogni attentato». Sono gli anni di Luciano Lama, Bruno Trentin, Pierre Carniti, Piero Boni, Giorgio Benvenuto, Ottaviano del Turco e di migliaia e migliaia di militati sindacali. Sono quelli che organizzano la discussa manifestazione a Reggio Calabria, per rivendicare scelte concrete per il Mezzogiorno e non lasciare spazio ai «boia chi molla». È l’incontro cantato da Giovanna Marini: «I metalmeccanici di Torino e Milano / puntavano in avanti tenendosi per mano / le voci rompevano il silenzio / e nelle pause si sentiva il mare / e alla sera Reggio era trasformata / pareva una giornata di mercato / quanti abbracci e quanta commozione / il nord è arrivato nel meridione /...gli operai hanno dato una dimostrazione». Sono queste storie e molte altre che si vogliono cancellare, cancellando l’Unità. Anche quelle difficili che hanno contrassegnato gli anni Ottanta e Novanta, con gli stessi sindacati che contrattavano le ristrutturazioni e i tentativi di non seppellire del tutto la sorte di operai e tecnici e con loro del lavoro, fonte di ricchezza per il Paese. Sindacati che consentivano l’entrata in Europa e la vittoria contro lo spettro dell’inflazione moderando la spinta salariale. E oggi si invoca proprio l’Europa contro di loro e li si accusa di difendere solo vecchi tabù, di essere conservatori nonché difensori di ladri, fannulloni e sfigati. Sfoglio i miei ricordi e le pagine del mio vecchio giornale ora cosi facilmente accessibili sul sito on line e mi chiedo che epoca sia mai questa. Certo da quelle memorie da quei di- rigenti del passato nasce anche una lezione. Quella di non accontentarsi del proprio orgoglio di parte, di saper catturare il presente e il futuro, di saper calcolare il rapporto di forza e sapersi fermare, quando è necessario. Purché il compromesso raggiunto non chiuda la possibilità di riemergere. “La lotta continua” come diceva non solo un movimento di quegli anni lontani, ma altresì il titolo di un articolo di Bruno Tren- tin. Era un incitamento a stare dentro i processi, a non farsi ghettizzare. Il vergognoso diktat di Marchionne può risultare un boomerang. Ed è importante quel che è successo a Bologna. Con la Fim Cisl che ha deciso di riattaccare nella propria bacheca l’Unità. Un riconoscimento, crediamo, non solo al passato di un foglio glorioso.
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