http://blog.corriere.it Le dittature usano l'arma del visto per ricattare i giornalisti Un problema di cui si parla troppo poco. Noi giornalisti ci troviamo spesso a dover chiedere il visto a regimi che metodicamente lo rilasciano in preferenza solo a quelli considerano "amici". Capitava nell'Iraq di Saddam Hussein. Avviene oggi per esempio con Siria e Iran, solo per citarne alcuni di particolare attualità. Il gioco non è poi troppo sottile: " Vuoi venire nel nostro Paese? Se lo vuoi davvero allora devi essere il meno critico possibile. Non parlare di diritti umani, comprendi e spiega le nostre ragioni, evita di addentrarti nelle questioni della libertà di stampa nel nostro Paese. Riporta la nostra propaganda e non quella dei nostri nemici". Il ricatto vale in particolare con i giornalisti che devono affermarsi. Ma in generale diventa uno spauracchio per tutti noi. Così capita che prevalga l'auto censura pur di garantirsi la presenza in quel Paese in un momento di particolare importanza: elezioni, scontri, tensioni locali e internazionali. La conseguenza è che si cade nel gioco perverso di quel ricatto. Pur di ottenere il visto ci si autocensura, il viaggio diventa fine a se stesso. Che senso è fare di tutto per ottenere il permesso di entrata, se poi una volta sul posto si abdica al mestiere di giornalista per quieto vivere con le autorità? Un'altra delle conseguenze è che si crea un circolo perverso tra reporter e autorità. Ci sono gruppetti di giornalisti considerati "amici" di quel particolare regime, di quella particolare ambasciata, che possono assicurare comunque alle proprie testate una presenza certa quando necessario. Chi invece cerca di fare il proprio mestiere con libertà viene escluso, censurato, penalizzato.
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