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THURSDAY, 15 MARCH 2012 07:12

Riconciliazione: da strategia necessaria a mossa tattica
di Ika Dano e Nassar Ibrahim
Tradotto in italiano da Marta Fortunato

Anche se è una necessità strategica nella lotta palestinese per la libertà, la riconciliazione palestinese è diventata una mossa tattica utilizzata sia da Hamas che da Fatah. Nassar Ibrahim spiega il perché.

Il primo tentativo concreto per porre fine alla divisione politica palestinese tra Fatah e Hamas, tra Ramallah e Gaza, è avvenuto esattamente un anno dopo la divisione tra i due movimenti: nel febbraio 2007, sotto la protezione della leadership saudita, Hamas e Fatah hanno firmato l'accordo della Mecca, accolto da applausi da parte di migliaia di palestinesi in tutto i territori palestinesi occupati. Questo primo accordo mirava a creare un governo di unità nazionale dopo le elezioni nazionali palestinesi del gennaio 2006 in cui Hamas aveva vinto ma era stato successivamente boicottato dalla comunità internazionale.

A seguito all'accordo della Mecca, non è stato fatto nessun passo concreto verso la riconciliazione politica e questo fallimento ha portato ad una vera spaccatura geografica   tra le autorità governative palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Anni dopo, sono cominciati nuovamente i tentativi per una riconciliazione palestinese: il 4 maggio 2011 al Cairo, il leader di Fatah Mahmoud Abbas e il leader di Hamas Khaled Meshaal hanno firmato un nuovo accordo, finalizzato alla creazione di un governo nazionale palestinese al posto dei due governi attualmente esistenti guidati rispettivamente da Salam Fayyad (Cisgiordania) e Ismail Haniya (Striscia di Gaza). L'accordo prevedeva lo svolgimento delle elezioni generali per il parlamento e la presidenza, l'unificazione degli apparati palestinesi di sicurezza e il rilascio dei prigionieri politici. Dato che anche l'accordo di riconciliazione del Cairo non è stato attuato, l'emiro del Qatar ha preso l'iniziativa di invitare ancora una volta le due parti al tavolo delle trattative.

Il 6 febbraio 2012 è stato firmato l'accordo di Doha con l'intenzione di raggiungere la formazione di un governo palestinese di unità nazionale guidato da Mahmoud Abbas - una nuova condizione che Hamas ha improvvisamente accettato dopo anni di fermo rifiuto. Dopo diversi giorni di euforia, è emerso il dissenso interno ad Hamas. Personalità di rilievo a Gaza hanno condannato l'accordo di Doha accusando Khaled Meshaal di dare troppo potere al presidente dell'Autorità Palestinese Abbas. Quindi, questo cambiamento potenzialmente strategico da parte di Hamas ha perso rilevanza a causa del dissenso interno, evidenziando le contraddizioni politiche insite in una tale mossa.

Le domande che sorgono ora sono: perché una serie di condizioni sulle quali ci si  era precedentemente accordati, sono state in seguito relativizzate ed hanno così perso il loro impatto concreto, e perché il centro dei negoziati palestinesi si è spostato dall'Egitto al Qatar in questo preciso momento storico.

Dal suo concepimento, la questione della riconciliazione palestinese è stata caratterizzata da fattori contraddittori. Inizialmente, per garantire l'unità nazionale, mirava, almeno formalmente, a rimuovere il più grande ostacolo in previsione della richiesta di riconoscimento di uno stato palestinese all'ONU a settembre 2011. Si trattava soprattutto di una concessione alla pressioni provenienti dalle piazze palestinesi, dove l'unità nazionale è il cuore stesso della coscienza politica.

Dopo 62 anni di conflitto, il popolo palestinese non ha dimenticato l'imperativo universalmente valido di unità per una lotta di successo. L'esperienza storica particolare, il lottare per anni contro l'occupazione israeliana, ha reso ancora più chiaro che l'unità è un presupposto per l'attuazione dei diritti nazionali ed umani dei palestinesi. Fin dall'inizio, la posizione del popolo palestinese, sia all'interno della Palestina storica  che all'esterno - è stata estremamente sensibile a tutti gli sviluppi politici che avrebbero potuto danneggiare l'unità nazionale. Quando, nel 2007, si è materializzata la divisione politica, la coscienza politica del popolo palestinese è stata scossa, e dopo un periodo di stallo, essi hanno, a gran voce, fatto sentire il proprio disappunto, chiedendo sia a Fatah che ad Hamas di superare i loro interessi particolari, rispettivamente il controllo della Cisgiordania e quello della Striscia di Gaza. A livello discorsivo, sia Hamas che Fatah hanno manifestato il proprio malessere per le strade, incolpandosi a vicenda, ed hanno continuato ad annunciare la propria intenzione di raggiungere la riconciliazione.

I negoziati del Cairo per la riconciliazione palestinese sono iniziati durante gli ultimi giorni del regime di Mubarak e sono terminati a maggio 2011 attraverso la mediazione del  governo egiziano ad interim, che era alla ricerca di una parte moderata, e quindi  ha messo Hamas sotto pressione. Il centro dei negoziati per la riconciliazione si è ora spostato nei paesi del Golfo, e ciò non è una coincidenza. Nel contesto della "primavera araba", che è in continua e rapida evoluzione, il Qatar, assieme all'Arabia Saudita, ha guadagnato un ruolo di leader nell'asse USA-paesi del Golfo e nella Lega Araba, ed è alla ricerca di un'alleanza più forte con i paesi occidentali nella lotta contro il regime siriano, contro quello iraniano e contro Cina e Russia.  In questo contesto, il legame storico dell'Emiro del Qatar con i Fratelli Musulmani, che ora sono alla guida di Tunisia ed Egitto, ha svolto un fattore chiave nel ruolo di mediatore tra Hamas e Fatah. Nello stesso tempo questo rappresenta un'ottima opportunità per il movimento islamista di Gaza per inviare un chiaro messaggio al mondo arabo: spostandosi da Damasco a Doha, la leadership di Hamas sembra voltare le spalle all'alleato storico e appare pronto ad allearsi con i paesi del Golfo e con i Fratelli musulmani, che si sono avvicinati all'Occidente.

Nonostante la volontà di mettersi d'accordo, nessuno degli obiettivi delineati negli accordi di riconciliazione è stato messo in pratica. L'accordo del Cairo è fallito a causa di disaccordi tra Hamas e Fatah e della pressione degli Stati Uniti e Israele, i quali hanno cercato di mantenere la divisione politica con lo scopo di mettere  i palestinesi uno contro l'altro. Ciò che dovrebbe essere il presupposto per una nuova strategia politica si è trasformato in una mera mossa tattica, utilizzata da entrambe le parti per riaggiustare la propria posizione. Quattro sono gli elementi principali che spiegano ciò.  

In primo luogo, le performance politiche di Fatah e Hamas sono direttamente legate all'interesse di mantenere i loro privilegi particolari che derivano dal governare in modo separato invece di condividere il potere politico.

I negoziati palestinesi per la riconciliazione sono stati così utilizzati da Hamas e Fatah come uno strumento per proteggere le loro rispettive posizioni di forza. Trovare un accordo su un governo di unità nazionale implica la rinuncia dei privilegi derivanti dal controllo autonomo della Cisgiordania e di Gaza. Dalla vittoria elettorale di Hamas nelle elezioni del 2006, che Fatah ha riconosciuto solo ufficialmente ma non de facto , è iniziata la lotta per guadagnare influenza e risorse. Fino ad ora, c'è stata una chiara mancanza di volontà di condividere il potere politico, di unificare le istituzioni governative e quindi di rinunciare parzialmente all'apparato che nutre e rappresenta l'Autorità Palestinese, a Ramallah, così come nella Striscia di Gaza.

In secondo luogo, alcuni fattori politici creano una pressione oggettiva sulla riconciliazione. Le differenze strategiche tra Fatah, che ritiene che i negoziati diretti con Israele siano l'unica via futura legittima, ed Hamas, che rappresenta ideologicamente la strategia della resistenza, non possono essere superate da un semplice accordo, che non affronta il problema di quale dovrebbe essere la strategia futura comune portata avanti da un governo di unità nazionale palestinese. Mentre Meshaal, con la firma dell'accordo di Doha, ha mostrato un segnale di apertura verso la strategia dei negoziati appoggiata da Fatah, non c'è consenso all'interno del suo partito, come dimostrano le aspre critiche da parte di figure rilevanti all'interno del movimento come il co-fondatore di Hamas Mahmoud Zahar, che ha definito la dichiarazione di Doha "un errore" e l'accettazione di Abbas come futuro primo ministro "qualcosa di strategicamente inaccettabile".

In terzo luogo, in questo contesto va sottolineato che Fatah, come leader dell'Autorità Nazionale Palestinese, è soggetta alla strategia del bastone e della carota imposta dalle potenze occidentali. La dipendenza finanziaria dell'Anp dagli aiuti internazionali, che ha avuto inizio con gli accordi di Oslo, ora fa sì che qualsiasi tentativo di iniziativa politica indipendente venga collegato a concrete perdite finanziarie. Di conseguenza, ora esiste una contraddizione tra il controllo politico attraverso i fondi stranieri e il fatto che la pressione economica è utilizzata dagli Stati Uniti ed Unione Europea per favorire i successi di Israele attraverso il "processo di pace". Come prova, è sufficiente analizzare come il governo Fayyad sia stato ricattato e finanziariamente punito dai donatori occidentali, a seguito dell'iniziativa settembre, e soprattutto dopo che l'UNESCO ha riconosciuto la Palestina. Questo ricatto è stato così grave che la richiesta di riconoscimento della Palestina da parte delle altre agenzie delle Nazioni Unite è stata ritirata per permettere ai capitali stranieri di fluire nelle casse dell'Anp di Ramallah.

In quarto luogo, la dimensione regionale sta plasmando il campo d'azione e le strategie di Fatah e di Hamas. I cambiamenti di regime nel mondo arabo e l'ascesa dei Fratelli Musulmani in numerosi paesi sono alla base delle scelte a cui abbiamo assistito con gli accordi del Cairo e di Doha. Sia Fatah e Hamas stanno valutando i risultati di questi cambiamenti, cercando alleanze convenienti nel nuovo scenario.

Alla luce di questo, la decisione di Fatah di muoversi verso la riconciliazione nazionale non è altro che un gioco tattico. La leadership di Ramallah non ha fatto un'analisi critica dei risultati del processo di Oslo, né ha ristabilito una strategia nazionale palestinese che fosse conforme alle priorità nazionali. L'approccio strategico di Fatah rimane la via dei negoziati diretti con piccole dosi di "resistenza popolare", come Abbas ha chiarito nel suo discorso di settembre alle Nazioni Unite.

L'approccio della leadership di Hamas nei confronti della riconciliazione palestinese, d'altra parte, può essere intesa come un tentativo di attenuare il proprio paradigma ideologico, segnalando un possibile spostamento verso una linea politica più morbida per soddisfare la nuova strategia dei Fratelli Musulmani al potere negli altri paesi arabi. Se Hamas procederà ad una vera e propria revisione della sua posizione per quanto riguarda la "resistenza", che continua a rivendicare come un importante strumento strategico, tutto dipenderà dalla forza del dissenso interno al movimento. La critica di alcune figure rilevanti, in particolare all'interno dell'ala militare, è un motivo per ritenere che la strategia futura del movimento non potrà essere determinata dall'affiliazione ai paesi arabi governati dai Fratelli Musulmani, ma dalla loro capacità a non rinunciare ai diritti nazionali palestinesi.

Il fallimento dell'accordo di Doha deve essere analizzato, come nel caso dell'iniziativa palestinese di settembre, alla luce della mancanza di un approccio politico globale verso una nuova strategia nazionale, per la quale la riconciliazione politica costituirebbe una condizione preliminare. Inoltre, la questione della riconciliazione non può essere ridotta solo ai negoziati tra Fatah e Hamas, ma deve necessariamente includere altre forze dello spettro politico - soprattutto i partiti di sinistra - e le organizzazioni della società civile.

Infine, fino a quando non verrà fatta una valutazione interna sulla performance politica palestinese dopo gli accordi di Oslo ed una ricostruzione dei corpi politici palestinesi (tra cui l'Organizzazione per la liberazione della Palestina e l'Autorità nazionale palestinese), non sarà possibile nessuna strategia di unità nazionale basata prima di tutto sulla liberazione nazionale.