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8 ottobre 2012

Al Tribunale Russell sulla Palestina a New York
di Danny Schechter  

Le necessità e le preoccupazioni del popolo palestinese non fanno molta notizia negli Stati Uniti anche se i temi sono in circolazione da decenni nella città che ospita le Nazioni Unite e dove ci sono state, negli anni, costanti risoluzioni basate su accuse di violazioni della legge internazionale e di abusi di tipo apartheid nei territori occupati da Israele. In questo stesso periodo ci sono stati molti studi dettagliati e articoli sui media che dimostrano che i nostri media raramente si occupano degli interessi palestinesi, o hanno presentato i punti di vista palestinesi nei programmi di dibattito e persino nei telegiornali a meno che non erompa la violenza.

Sono anche ignorate le critiche al comportamento di Israele avanzate da dirigenti stranieri a meno che siano formulate dal presidente iraniano nel contesto della sua disputa con Israele.

E allora molti canali mediatici sono più concentrati sulle chiassose accuse di antisemitismo contro di lui piuttosto che su qualsiasi approfondimento dei temi sottostanti che sono sempre trattati come materia di discussione, non come fatti.

I sostenitori dei diritti dei palestinesi e i critici delle violazioni della legge internazionale cercano, spesso senza grande successo, di richiamare l’attenzione sulle realtà sul campo e non solo sul dibattito ideologico. Voglio cambiare una politica statunitense che spesso marcia a ranghi serrati con Israele, in parte, a motivo del potere della lobby israeliana.

Una delle organizzazioni più in vista che cerca di colmare il vuoto è il Tribunale Russell sulla Palestina, un tribunale “internazionale dei popoli” modellato sull’iniziativa dello scomparso filosofo britannico, lord Bertrand Russell, uno stimato professore, scrittore e leader morale che creò per la prima volta l’idea del tribunale negli anni ’60 per presentare le denunce di intellettuali molto noti contro la guerra del Vietnam.

Ho seguito quell’evento quanto ha avuto luogo a Stoccolma con una giuria composta da persone quali Jean Paul Sartre, Simone du Beuvoir, il commediografo svedese Peter Weiss e l’attivista statunitense contro la guerra David Dellinger, tra gli altri. Attirò l’attenzione globale e censure da parte del governo degli Stati Uniti quando testimoni vietnamiti riferirono sulla defoliazione chimica del loro paese e le sistematiche violazioni dei diritti umani.

Ricordo il corrispondente televisivo statunitense Morley Safer dar spettacolo sul palco dopo una sessione, dopo che il pubblico se n’era andato, contestando le accuse di crimini di guerra e rigettando il Tribunale come propaganda comunista.

Trent’anni dopo, la sua stessa rivista, 60 Minutes, conteneva articoli che confermavano che c’erano effettivamente state atrocità brutali commesse in luoghi come MyLai, dove soldati statunitensi avevano massacrato civili innocenti, tra cui molti bambini. Se Safer non fosse stato così ansioso di screditare le esperienze dei vietnamiti, qualcosa avrebbe potuto essere fatto prima riguardo agli abusi.

Oggi il Tribunale Russell ritorna e si concentra sulla “complicità e responsabilità di vari atti nazionali, internazionali e industriali e sulla perpetuazione dell’impunità israeliana rispetto alla legge internazionale”. Cerca di offrire una piattaforma per “personalità internazionali che promuovono la fine dell’occupazione israeliana e della negazione dei diritti dei palestinesi.

Si sta riunendo questo fine settimana nella Sala Grande della Cooper Union, dove Abraham Lincoln si confrontò con il suo avversario politica nel 1860 proprio mentre la guerra civile stava per scatenarsi. L’evento gremito a New York ha seguito le precedenti sessioni a Barcellona (concentrate sulla complicità della UE), Londra (sulla complicità delle imprese) e Città del Capo che ha paragonato le politiche israeliane ai crimini dell’era dell’apartheid in Sudafrica.

La giuria questa volta comprende il ministro sudafricano dei servizi d’informazione e leader del movimento di liberazione, Ronnie Kasrils, l’avvocato sudafricano John Dugard, la scrittrice Alice Walker, l’attivista Angela Davis e l’ex parlamentare Cynthia McKinnie e luminari europei e anche il leader dei nativi americani Dennis Banks.

Questa giuria ha ascoltato testimonianze dello storico israeliano Ilan Pappe sulle origini del sionismo e sul suo impegno a espellere i palestinesi ancor prima che fosse nato lo stato d’Israele. Ci sono stati molti esperti legali sul ruolo dell’ONU nell’offrire aiuto ai profughi palestinesi, ma raramente nel difendere i diritti dei palestinesi. Un oratore dopo l’altro ha denunciato l’ONU per il suo impegno solo di facciata e per il suo subire le imposizioni di Israele e degli Stati Uniti.

Un oratore ha affermato che l’ONU è stato uno “scherzo crudele” nel corso dei decenni quando si è trattato di adempiere i suoi obblighi nei confronti dei palestinesi.

Il pubblico è stato ammonito a non applaudire e così l’intero evento ha teso a essere privo di passione, accademico e legalistico. Ci sono state lunghe lezioni sui precedenti legali che possono essere state apprezzate dai legali presenti in sala ma che hanno fatto addormentare il pubblico attorno a me.

Ironicamente nessun palestinese ha parlato nel primo dei due giorni di sessione sulla Palestina. Noam Chomsky era in lista per rivolgersi al tribunale domenica ma apparentemente gli è capitata una laringite e così mi è stato detto che probabilmente non sarebbe apparso.

Quel che è stato impressionante è stato il numero di giovani di gruppi attivisti e campus universitari e di ascendenza mediorientale che si sono effettivamente presentati. Sono sembrati apprezzare l’orientamento al dibattito degli oratori che hanno arricchito di fatti e contesti le loro presentazioni.

Personalmente mi sarebbe piaciuto di più uno stile più colorito ed energico per ispirarli a coinvolgersi di più sui temi. Maggiori interazioni tra giurati e pubblico sarebbero state d’aiuto nel contrastare quello che si è avvertito come un modello vecchio stile a senso unico.

C’erano molte telecamere di gruppi mediatici alternativi, non dei media convenzionali, anche se ho incontrato un giornalista arrogante del Wall Street Journal di Rupert Murdoch che era chiaramente lì per “denunciare” il tribunale.

Ho avuto con lui un breve scambio di battute. Ha criticato l’evento per avere un solo punto di vista, anche se gli oratori sono stati vari nei loro approcci. Si è presentato come un iraniano-statunitense dopo aver accusato con me l’Iran per le sue critiche a Israele.

“Classico antisemitismo”, ha detto con impertinenza.

“E’ così unilaterale”, ha ripetuto più volte. Era strano sentirlo da un membro della pagina delle opinioni del Journal, noto per essere prevalentemente di destra, che più unilaterale non si può.

Poi mi ha stuzzicato inaspettatamente, chiedendomi se pensassi che dietro l’11 settembre ci fosse stato Bin Laden. Io ho detto che probabilmente sì, ma che ritenevo che ci fosse molto che ancora non sapevamo.

A quel punto mi ha rivolto un sogghigno come se io fossi una qualche specie di negazionista dell’11 settembre e se n’è andato. Non sono riuscito a ricordargli che la settimana scorsa il presidente Obama aveva detto di essere dispiaciuto di non aver potuto processare Bin Laden.

Il mio sospetto è che sia stato ucciso, e non catturato, proprio per prevenire un simile processo. Immaginate cosa avrebbe rivelato.


L’analista di attualità Danny Schechter scrive sul blog NewsDissector.net. I suoi libri più recenti sono ‘Blogothon’ e ‘Occupy: Dissecting Occupy Wall Street’ . Conduce anche un programma sulla ProgressiveRadioNetwork (PRN.fm). Commenti a dissector@mediachannel.org


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: http://www.zcommunications.org/at-the-russell-tribunal-on-palestine-in-new-york-by-danny-schechter

traduzione di Giuseppe Volpe