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6 giugno 2012

Dossier DCI - Minori detenuti nelle carceri militari

A pochi giorni dalla trascorsa Giornata mondiale dell'Infanzia vale la pena soffermarsi su alcune cifre ed eventi che coinvolgono bambini e giovani palestinesi.

Si stima che solo negli ultimi 11 anni circa 7500 minori siano stati arrestati, interrogati - spesso anche torturati - e detenuti  dal sistema penale israeliano.

A renderlo pubblico è Defense for Children International (DCI), una Organizzazione non Governativa fondata nel 1979 che si occupa dei diritti dell'infanzia. Attualmente dispone di 45 sezioni nazionali, tra cui quella palestinese (DCI-Palestine); conta inoltre membri associati in tutto il mondo, una segreteria internazionale a Ginevra e lo status consultivo presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, l'UNICEF, l'UNESCO e il Consiglio d'Europa.

Nell'aprile di quest'anno ha pubblicato un report sulla situazione dei minori palestinesi della Cisgiordania perseguiti dal sistema penale israeliano e detenuti nelle carceri di Megiddo (in Israele) e Ofer (in Cisgiordania), quest'ultima teatro di massicci scioperi della fame contro la detenzione amministrativa (che non risparmia neanche i minori) e principale fulcro di iniziative in ricordo della Nakba.

L'analisi abbraccia un periodo di quattro anni e descrive attraverso le testimonianze di centinaia di minori, il trattamento che questi subiscono da parte dell'esercito israeliano (IDF), portando alla luce con dati e confronti la drammatica situazione dei minori in Cisgiordania (illuminanti le tabelle che confrontano i diritti dei minori palestinesi con quelli dei minori israeliani e la differenza delle pene per lo stesso reato).

Come da canovaccio i minori vengono prelevati nel cuore della notte dalla casa della loro famiglia, subito legati e bendati e portati verso centri di detenzione temporanea (situati sia in Israele che in Cisgiordania) dove subiscono interrogatori a volte anche per parecchie ore. Successivamente vengono portati in altri centri o in carcere in attesa del processo; nel frattempo, al contrario dei minori Israeliani non possono avere contatti né con le loro famiglie né con un avvocato. La presunta colpa è quella (nella stragrande maggioranza dei casi) di aver lanciato pietre contro camionette dell'esercito o auto dei coloni.

A partire dall'arresto fino alla detenzione, l'esercito applica metodi restrittivi e coercitivi che inducono i minori arrestati a confessare: oltre alle percosse, i minori vengono minacciati e umiliati, vengono negati loro cibo, acqua e l'utilizzo dei servizi igienici anche per parecchie ore, e sono sovente sottoposti a stripsearching. Spesso sono costretti a periodi di isolamento in cella e in alcuni casi viene anche utilizzato l'elettroshock.

Le conseguenze di questi maltrattamenti per i giovani sono devastanti: il trauma subito cambia radicalmente non solo il giovane in sé, ma anche i suoi rapporti con la famiglia e con la comunità, e le conseguenze risultano disastrose non solo per il singolo ma anche per le dinamiche sociali in cui questo è inserito.

DCI-Palestine si avvale del supporto di psicologi (Psychoactive-Mental Health Professionals for Human Rights) che lavorano per aiutare i minori a reinserirsi nella loro comunità, a proseguire gli studi o a iniziare un percorso lavorativo. Supportano inoltre la famiglia che deve rapportarsi non più al figlio che conosceva, ma ad un giovane che è stato violentemente buttato nel mondo degli adulti, con botte e torture che lo hanno profondamente cambiato.

Suona quasi ironica, se non fosse drammaticamente tragica, l’affermazione di  Mark Regev, portavoce del Primo Ministro Israeliano Benyamin Netanyahu, riportata su The Guardian, 22 January 2012, “The test of a democracy is how you treat people incarcerated, people in jail, and especially so with minors.” - “La prova di una democrazia è il modo in cui vengono trattate le persone incarcerate, le persone in prigione, specialmente i minori”.