http://www.alternativenews.org La Palestina e il ruolo della solidarietà internazionale Il conflitto Palestina-Israele è determinato da fattori storici ma soprattutto dal sostegno incondizionato del mondo occidentale a Israele, dal 1948 fino ad oggi. Questo sostegno internazionale è molto legato ad interessi politici e economici, a discapito dei diritti umani dei palestinesi e ha come diretta conseguenza la marginalizzazione sociale ed economica dei Palestinesi. A ciò si aggiunge concretamente la distruzione delle infrastrutture, la confisca delle terre, l’uccisione di tanti Palestinesi e l’imposizione di frontiere interne alla Palestina, che separano di fatto le città palestinesi disconnesse le une dalle altre. Di fronte a queste violenze disumane, il mondo guarda e ascolta in silenzio, senza reagire. Questa situazione prolungata ha portato il popolo palestinese a sentirsi isolato, poiché l’aumento di queste politiche violente da parte dello Stato israeliano è possibile proprio a causa del silenzio del mondo. Mentre le rappresentaze ufficiali degli Stati occidentali rimangono in silenzio, è nato e cresciuto un movimento popolare mondiale che crede nei diritti umani aldilà di ogni confine e che crede nella questione palestinese e nel diritto di questo popolo di essere libero, farsi giustizia e godere degli stessi diritti degli altri cittadini del mondo. Il crescere di questo movimento è il risultato della Seconda Intifada iniziata il 27 settembre 2000, che è stata l’occasione - grazie ai media internazionali - di mostrare al mondo in diretta le azioni violente di Israele contro il popolo palestinese e ha saputo risvegliare una sorta di rimorso condiviso verso questo popolo oppresso. Questa cesura ha rispinto la questione palestinese al centro della solidarietà mondiale al livello della società civile. Da allora, i sostenitori della causa palestinese sono aumentati e l’evoluzione del movimento di solidarietà con il popolo palestinese dall’estero ma soprattutto dall’interno della Palestina stessa ha destato l’attenzione delle autorità israeliane. Subito pronte ad aumentare gli sforzi per soffocarlo. Malgrado le ripetute violenze, siano la detenzione, la deportazione o addirittura l’uccisione di attivisti (ricordiamo Rachel Corrie, Tom Hurndall e Vittorio Arrigoni) nel tentativo di fermare questa campagna di solidarieta internazionale, il movimento ha mostrato una tendenza direttamente proporzionale: con l’aumento della violenza israeliana, è cresciuto il movimento di solidarietà del movimento, tanto che Israele non é riuscito nell’intento di soffocarlo. La presenza di attivisti internationali ha funzionato da altoparlante verso il mondo, raccontando dei suprusi perpetrati verso i Palestinesi, rendendo più chiaro il significato dell’assedio israeliano dei Territori Palestinesi Occupati. Ciò ha saputo squotere l’istinto di (parte) della societá civile mondiale a reagire e condividere con i palestinesi la loro lotta, soprattutto nei Paesi europei, sudamericani ma anche negli Stati Uniti d’America. Negli ultimi anni, anche il numero di attivisti israeliani che si sono uniti a questo movimento in solidarietà con il popolo palestinese è aumentato. La società civile internazionale ha preso maggiore coscienza dell’attuale situazione in Palestina e, malgrado resti costante la pressione dei media internazionali per falsificare la realtà di quello che succede, spesso rappresentando i Palestinesi come terroristi, la coscienza e la solidarietà dei sostenitori della causa palestinese contro le discriminazioni israeliane e il Muro di Separazione è in costante crescita. In questi giorni il movimento di solidarietà con il popolo palestinese ha assunto nuove forme, come dimostra l’iniziativa “Benvenuti in Palestina” del 15 aprile 2012. In risposta a questa crescente mobilitazione internazionale, Israele ha aumentato il suo controllo con tutti i mezzi. 42 gli attivisti tra cui cui 27 francesi rimpatriati dall’aeroporto di Ben Gurion, e centinaiagli attivisti bloccati direttamente negli aeroporti europei di imbarco grazie alla pressione esercitata dallo Stato di Isralele sulle compagnie aeree internazionali. Ciò che salta agli occhi sono i metodi repressivi messi in atto da Israele per fermare gli attivisti, accompagnati dalla dichiarazione del ministro degli Interno Aeli Eshai, che ha descritto questi attivisti come nemici di Israele e ha ordinato di fermarli con il pugno di ferro. Queste dichiarazioni di forza per reprimere gli attivisti in Palestina sono un chiaro segnale che lo Stato israeliano sta perdendo il controllo di queste iniziative e che teme l’immagine negativa di Israele che si sta piano piano diffondendo a livello internazionale. Il presidente del consiglio israeliano Natanyahu ha abilmente cercato di dirottare l’attenzione su altre realtà capaci di infiammare gli animi della comunità internazionale, consigliando agli attivisti di andare a difendere i diritti umani in Siria oppure in Iran per fermare la lapidazione delle donne oppure ancora a Gaza, dove “i terroristi” userebbero civili come scudi umani, e di protestare contro Israele, “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Queste dichiarazioni non sono nuove ma indicano che Israele inizia a trovarsi in un vero e proprio dilemma a livello internazionale, che é destinato ad aumentare e prenderà maggior vigore con le altre azioni di solidarietà, dopo che la Palestina ha fatto il rpimo tentativo per essere riconosciuta come membro delle Nazioni Unite. La società civile internazionale è capace di influenzare la politica dei rispettivi governi stranieri e il supporto di diversi Stati all’iniziativa palestinese all’ONU dello scorso anno ne è stato il primo esempio positivo. Al crescere del movimento di solidarietà, saremo testimoni di politiche sempre più aggressive verso gli attivisti e starà ai i loro governi e alle istituzioni internazionali proteggerli dalle violenze israeliane.
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