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21 marzo 2012

Onu-Israele: Una Lunga «Piombo Fuso» Legale
di Davide Tundo
Dottorando in Diritti Umani dell’Universitá di Valencia (Spagna) e collaboratore del Centro Palestinese per i Diritti Umani di Gaza.

Il Comitato Onu per la Eliminazione della Discriminazione Razziale (Cerd) rileva l'impossibilita' per le vittime palestinesi dell'offensiva contro Gaza del 2008-2009 di ottenere un risarcimento danni e giustizia.

Roma, 21 marzo 2012, Nena News – Il 9 marzo si è conclusa a Ginevra l’80ma sessione del Comitato ONU per la Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD), organo di esperti indipendenti incaricato di valutare i rapporti che gli stati membri dell’omonima Convenzione sono periodicamente tenuti a presentare e in essi lo stato dell’applicazione delle norme convenzionali nell’ambito della giurisdizione statale.

Tra gli stati in esame, il Comitato ha analizzato Israele, il cui rapporto è stato valutato alla luce di una serie di rapporti alternativi di ONG israeliane e palestinesi[1], e altresì in base a un contradditorio tra i membri del Comitato e una delegazione ufficiale israeliana.

A conclusione dei lavori il Comitato ha pubblicato le proprie osservazioni finali[2] tra cui spiccano talune questioni su cui il medesimo ritiene che Israele debba intervenire al fine di rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione. Il Comitato ha espresso perplessità su diverse politiche e pratiche messe in atto nell’ambito del territorio israeliano e altresì nei territori palestinesi e negli Alti siriani del Golan, sui quali Israele esercita la propria giurisdizione, con relativa assunzione di responsabilità giuridiche internazionali, in virtù dell’effettivo controllo derivante dall’occupazione militare.

In effetti, come potenza occupante, Israele é giuridicamente responsabile rispetto all’applicazione della Convenzione, e degli altri trattati di diritto internazionale dei diritti umani di cui è parte, nei territori anzidetti. Tale conclusione, pacificamente accettata dalla comunità internazionale, inclusi specifici organi e comitati ONU, è stata nuovamente ribadita dal Comitato a fronte dell’ennesimo tentativo di Israele di sottrarsi alle proprie responsabilità giuridiche nei confronti delle popolazioni che mantiene sotto occupazione. Difatti, il rapporto dello stato israeliano[3] ha omesso riferimento alcuno ai territori occupati nei quali Israele considera la Convenzione inapplicabile e ne declina ogni responsabilità. Si tratta di una posizione inaccettabile che non è, secondo il Comitato, “in accordance with the letter and spirit of the Convention, and international law, as also affirmed by the International Court of Justice and by other international bodies” (§ 10).

Tra le questioni relative ai territori palestinesi occupati con profili discriminatori di rilievo[4], il Comitato ha espresso “concern at the monetary and physical obstacles faced by Palestinians seeking compensation before Israeli tribunals for loss suffered, in particular as a consequence of the IDF Operation Cast Lead in the Gaza Strip (Articles 3, 5 and 6 of the Convention)”, (§ 27).

A tal riguardo occorre ricordare che, nell’ambito della devastante operazione militare israeliana “Piombo Fuso” di dicembre 2008/gennaio 2009 nella Striscia di Gaza, la missione ONU guidata dal giudice Goldstone[5] ha rinvenuto gravi violazioni da parte di Israele dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, inclusi possibili crimini di guerra come l’attacco intenzionale a beni e persone civili[6].

In effetti, l’ingente numero di vittime tra la popolazione civile, e gli enormi danni materiali a beni civili[7], unitamente alle modalità di attuazione delle forze armate israeliane, hanno giustificato il sospetto che queste abbiano intenzionalmente scelto i civili palestinesi, “protected persons” in base all’artt. 4-33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949, come specifico obiettivo militare in esecuzione di un “collective punishment”, anch’esso chiaramente proibito dalle medesima norme che, universalmente ratificate, sono considerate come diritto internazionale umanitario di carattere consuetudinario.

Il diritto alla riparazione del danno, una componente essenziale del diritto alla giustizia, spetta dunque alle centinaia di vittime di Gaza in base alle norme del diritto internazionale dei diritti umani, tra cui il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici del 1966, ratificato da Israele e applicabile ai territori palestinesi occupati[8], anche in virtù della sua “extraterritorialità”.[9]

La sussistenza della responsabilità civile in capo a Israele deriva peraltro da una norma del diritto internazionale umanitario consuetudinario per cui “a State responsible for violations of international humanitarian law is required to make full reparation for the loss or injury caused”.[10]

Malgrado ciò, il diritto alla giustizia in sede civile è per le vittime palestinesi di “Piombo Fuso”, come peraltro in sede penale, irrealizzabile nel sistema legale israeliano. Sebbene astrattamente legittimate ad agire in giudizio contro il Ministero della Difesa per il risarcimento dei danni, qualora la medesima richiesta formulata “out-of-court” non abbia trovato accoglimento o risposta alcuna, come peraltro finora sempre accaduto, le vittime civili di Gaza si scontrano con due gravi elementi discriminatori.

Da un lato, le restrizioni ai movimenti di persone e beni in entrata e uscita dalla Striscia di Gaza, elemento portante della chiusura della medesima in atto ormai da più di 4 anni su decisione di Israele, hanno impedito ai palestinesi di Gaza, siano essi ricorrenti in giudizio, testimoni o avvocati, di comparire dinanzi alle corti israeliane come da queste prescritto per la rituale celebrazione delle diverse fasi processuali, tra cui il confronto dei testi. La conseguenza sui processi e le domande risarcitorie è devastante: constatata l’assenza degli interessati, la corte israeliana aggiorna il caso ad infinitum o ne dichiara la chiusura e con essa la perdita del diritto.

Né possono legali israeliani, qualora assumano la rappresentanza in Israele di palestinesi di Gaza, ivi recarsi per incontrare i propri clienti ed assicurarne una adeguata difesa e assistenza legale.

Inoltre, in aggiunta a “court fees”, o costi fissi di giustizia da pagarsi per ogni procedimento civile, le corti israeliane hanno sistematicamente iniziato ad esigere a ciascun ricorrente di Gaza il versamento di proibitive “guarantees”, il cui importo è solitamente in linea con il valore della proprietà reale di cui si lamenta il danno, mentre per i casi di lesione o morte tale somma oscilla ormai tendenzialmente sui NIS 10,000 (USD 2,600) e 20,000 (USD 5,200), rispettivamente. Occorre notare, e in ciò risiede la discriminazione ai danni dei ricorrenti palestinesi di Gaza, che l’imposizione (e l’ammontare) di tali garanzie al fine di rivalersi dei costi processuali contro l’eventuale soccombente, non è un obbligo bensì una facoltà in capo ai giudici. Se non pagate entro i successivi 120 giorni, il giudizio si estingue. Non è superfluo ricordare che tali somme non sono in assoluto nelle disponibilità dei palestinesi di Gaza, la cui situazione è notoriamente ai limiti della mera sussistenza a causa delle operazioni militari israeliane e del diffuso impoverimento arrecato dal blocco israeliano sulla Striscia. Anche su quest’ultimo aspetto, peraltro, il Comitato ha esplicitamente manifestato la propria contrarietà e chiesto ad Israele di “fully respect the norms of humanitarian law in the Occupied Palestinian Territory,and rescind its blockade policy” (§ 26).

Le conseguenze di tale sistema di “guarantees” sul diritto alla giustizia delle vittime civili di Gaza, specificamente sulla riparazione dei danni ad essi provocati da “Piombo Fuso”, sono ben documentate dal Palestinian Centre for Human Rights di Gaza City[11], che ha gratuitamente assunto la rappresentanza legale di molte vittime e si adopera per il reperimento dei fondi necessari.

Su 1,046 richieste di risarcimento per altrettante vittime civili, 400 sono state in seguito abbandonate a causa delle iniziali “court fees”, mentre per le restanti, di cui invece si sono pagati tali costi di giustizia, la sopravvenuta imposizione delle “guarantees” rischia di frustrare ogni aspettativa di giustizia.

In ultimo, va ricordato che la Suprema Corte israeliana ha rigettato una serie di petizioni in cui si chiedeva la cancellazione o almeno la diminuzione dell’ammontare di tali “guarantees”.[12]

È di tutta evidenza, come ha sottolineato il Comitato ONU, che il diritto alla giustizia per le vittime palestinesi di Gaza non può realizzarsi, per i motivi anzidetti, nel sistema legale israeliano.

Tale diniego di giustizia, unitamente alle altre violazioni dei diritti umani commesse nel contesto dell’illegale chiusura israeliana della Striscia di Gaza, può integrare la fattispecie penale internazionale della persecuzione, un crimine contro l’umanità, come affermato dalla Missione ONU sulla Guerra di Gaza.[13]

Le discriminazioni in tema di azioni risarcitorie dei danni delle vittime palestinesi sono funzionali alla perpetuazione dell’illegalità delle azioni israeliane su Gaza, che sull’impunità dei suoi responsabili, anche internazionale, si reggono e si moltiplicano.

NOTE

[1] Si veda tra gli altri PCHR, Submission to the UN Committee on the Elimination of Racial Discrimination, febbraio 2012, disponibile su http://www.pchrgaza.org/files/2012/PCHR%20CERD%20Submission.pdf.

[2] CERD/C/ISR/CO/14-16, 9 marzo 2012, disponibile su http://www2.ohchr.org/english/bodies/cerd/docs/CERD.C.ISR.CO.14-16.pdf.

[3] CERD/C/ISR/14-16, 17 gennaio 2011, disponibile su http://www2.ohchr.org/english/bodies/cerd/docs/CERD.C.ISR.14-16_en.pdf.

[4] Tra cui gli insediamenti di coloni in Cisgiordania, la gestione delle risorse naturali, le demolizioni di strutture civili palestinesi, il dislocamento forzoso delle comunità beduine e la pratica della “administrative detention”.

[5] Si veda il rapporto della Fact-Finding Mission on the Gaza War, A/HRC/12/48 del 25 settembre 2009, disponibile su http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrcouncil/docs/12session/a-hrc-12-48.pdf.

[6] Art. 8 (b) (i) e (ii), Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.

[7] Tra gli altri, PCHR, Targeting Civilians, Report on the Israeli military offensive against the Gaza Strip (27 December 2008-18 January 2009), 21 ottobre 2009, disponibile su www.pchrgaza.org.

[8] Como dichiarato dalla Corte Internazionale di Giustizia, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, 9 luglio 2004, § 106-111.

[9] Human Rights Committee, “a State party must respect and ensure the rights laid down in the Covenant within the power or effective control of that State party, even if is not situated within the territory of the State party”,

General Comment n. 31 (2004), CCPR/C/21/Rev.1/Add.13, par.10, disponibile su www.unhchr.ch. Si veda anche

Lopez Burgos vs. Uruguay, Communication no. 052/1979, U.N. Doc. CCPR/C/OP/1 at 88 (1984), su www.un.org.

[10] Rule 150, International Committee of the Red Cross, Study on Customary International Humanitarian Law: Volume 1: Rules, 2005.

[11] Si veda al rispetto PCHR, Israeli Courts Insist on Decisions Depriving Palestinian Victims of Access to Justice and Judicial Remedy and Making It Impossible, Press-release section, 12 gennaio 2012, su www.pchrgaza.org.

[12] PCHR, Israeli Courts Insist on Decisions Depriving Palestinian Victims of Access to Justice and Judicial Remedy and Making It Impossible, op.cit.

[13] A/HRC/12/48, § 1936, op.cit.