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24 gennaio 2012

Centrali nucleari, partita la fase di controllo degli stress test. Ma Greenpeace polemizza
di Alessio Pisanò

I risultati sono attesi per fine maggio, ma le prime critiche sono già arrivate. A puntare il dito sui criteri scelti dalla Commissione europea il gruppo ambientalista che li aveva giudicati a dir poco "annacquati". Inoltre le nazioni non sono obbligate a farsi esaminare perché la valutazione è su base volontaria

Parte la missione degli esperti incaricati della fase di controllo degli “stress test” sulle centrali nucleari europee lanciati dopo il disastro di Fukushima. I risultati sono attesi per fine maggio, ma le prime critiche sono già arrivate. A puntare il dito sui criteri scelti dalla Commissione europea è Greenpeace, che già in occasione della prima loro comunicazione lo scorso novembre, li aveva giudicati a dir poco “annacquati”.

Introdotti con grande clamore, soprattutto mediatico, in seguito al disastro di Fukushima, questi test dovrebbero valutare, secondo criteri sicuri e inappellabili, la sicurezza di tutti i reattori in funzione in Europa. All’inizio sulla tolleranza zero erano tutti d’accordo. Infatti sembrava proprio che questi controlli avrebbero fatto chiudere decine e decine di impianti, tant’è che a Bruxelles le lobbies del nucleare non dormivano più. Ma poi, passata la psicosi di massa, i criteri di controllo sono stati piano piano indeboliti, fino a diventare, almeno secondo Greenpeace, un’inutile procedura burocratica.

L’ultima delle assurdità denunciate dall’associazione ambientalista è “la mancata previsione di piani di evacuazione delle città e dei centri abitati a meno di 30 km da siti nucleari”. E in Europa ce ne sono ben 19. È il caso dell’incidente dello scorso settembre nel sito nucleare di Marcoule dans le Gard, nel sud della Francia, vicino Orange e Avignone. In quell’occasione, in seguito all’incendio in un sito di stoccaggio di rifiuti radioattivi, la paura era arrivata fino all’Italia, a oltre 200 chilometri di distanza.

Ma secondo Greenpeace questo non è l’unico punto debole degli stress test varati da Bruxelles. Già nei mesi scorsi, aveva fatto clamore la decisione della Commissione europea di scartare controlli specifici per eventuali attentati terroristici, come la collisione di un aereo dirottato, come se i reattori nucleari non costituissero un bersaglio appetibile per i kamikaze “nemici dell’Occidente”.

E poi ancora la volontarietà. L’accordo europeo prevede, infatti, che ai test si possa aderire solo in misura volontaria. Un criterio piuttosto discutibile e che rende l’adesione delle società gestrici delle centrali quasi retorica. Tant’è che la Gran Bretagna non si è fatta alcune remora ad annunciare il proseguimento del proprio programma nucleare noncurante delle indicazioni di Bruxelles. «Il rapporto mette in chiaro che il Regno Unito ha uno dei migliori regimi di sicurezza nucleare al mondo e che l’energia atomica può continuare ad alimentare case e aziende nonché posti di lavoro», ha detto recentemente il ministro inglese all’Energia Chris Huhne.

In questo clima parte la missione degli esperti nucleari dell’Ue arruolati dalle autorità nazionali per la sicurezza nucleare dei 27 Stati membri (Ensreg) e organizzati in nove squadre. La prossima fase del processo prevede il controllo dei rapporti nazionali di 14 paesi Ue, insieme a Svizzera e Ucraina, da parte di esperti di Paesi terzi. Sei team effettueranno una revisione più generale, verificando criteri, metodologie, completezza e possibilità di confronto fra i dati comunicati dalle autorità nazionali.

Ad oggi in Europa risultano attive 143 centrali nucleari in 14 Stati (Belgio, Bulgaria, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Repubblica ceca, Slovacchia, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito e Ungheria). Mentre non mancano i Paesi che stanno facendo dei passi indietro, come la Lituania, dove è in fase di smantellamento l’ultimo reattore attivo, o il Belgio, che ha annunciato di chiudere le sue 7 centrali a partire dal 2015 ed entro il 2025, alcuni reattori continuano ad operare in condizioni che fanno paura. Sempre Greenpeace denuncia la precarietà di vecchie strutture di design russo e particolarmente vulnerabili ad attentati terroristici (4 in Ungheria, 4 in Slovacchia, 4 in Repubblica Ceca), strutture sviluppate con una particolare tecnologia canadese addirittura proibite in alcuni Paesi europei (2 in Romania) e infine strutture vecchie più di trent’anni e quindi più soggette ad incidenti e intoppi. Queste ultime sono disseminate un po’ ovunque (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Olanda, Svezia, Svizzera, regno Unito e Spagna) e smantellarle, secondo gli esperti, avrebbe dei costi molto rilevanti.

“Nonostante il disastro di Fukushima abbia spaventato e spinto l’Europa a testare i propri impianti, adesso questi test contengano delle falle enormi”, ha detto Jan Haverkamp, esperto nucleare Greenpeace. “Il Giappone era completamente impreparato a gestire una crisi nucleare, l’Europa dovrebbe eseguire un serio controllo di tutti i suoi reattori”.

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