Questa mappa mostra il percorso della Tav e il suo impatto ambientale. (Marianna Pino e Riccardo Pravettoni / Cartografare il presente, 2011) |
Libération, Francia La vera posta in gioco in Val di Susa I militanti No Tav sostengono che ormai la loro protesta non riguarda più solo l’alta velocità. In discussione c’è un intero modello economico e sociale. Hanno portato con loro un po’ di viveri per passare la notte sulla montagna di Chiomonte. È quasi buio. In questa parte della Val di Susa, ai piedi del colle del Monginevro e della frontiera francese, da qualche giorno la temperatura è più mite. Poco più in basso si distinguono a malapena le ombre di una decina di carabinieri che si proteggono dietro pesanti barriere metalliche, accanto a un vecchio edificio che costeggia il fiume Dora Riparia. Ma i circa sessanta attivisti No Tav non sembrano neanche farci caso. Per loro l’importante è mantenere alta la pressione moltiplicando le iniziative di protesta, comprese quelle dal grande valore simbolico. Questa sera hanno organizzato una maratona oratoria di ventiquattr’ore per ribadire davanti alla recinzione del cantiere le “150 ragioni per dire no alla Tav”: troppo pericolosa per l’uomo e la natura, troppo costosa, troppo imponente, e con un rischio troppo alto che l’opera possa incoraggiare la corruzione. Nonostante il microfono e l’amplificatore, le loro voci si perdono nell’immensità e nell’isolamento del posto. Ma non importa, già domani “le donne del movimento andranno a protestare a Torino”, dice Eleonora, una professoressa di lettere in pensione. Poi tutti a Roma, il 9 marzo, per manifestare a fianco della Fiom, l’agguerrito sindacato dei metalmeccanici. “Il nostro movimento è diventato un punto di riferimento per tutta l’Italia”, sottolinea Luigi Casel, considerato uno dei leader della battaglia contro l’alta velocità in Val di Susa. Una battaglia che si è radicalizzata nel corso delle ultime settimane. Confermando l’impegno di tutti i suoi predecessori, il presidente del consiglio Mario Monti ha deciso di accelerare i lavori d’inizio di un progetto che risale a più di vent’anni fa e che, attraverso un tunnel di 57 chilometri tra Susa e Saint-Jean de Maurienne (di cui 12,5 in territorio italiano), dovrebbe collegare Lione e Torino in meno di due ore rispetto alle quattro attuali. Sostenuto dall’Unione europea, “l’alta velocità Lione-Torino è utile e strategica per il futuro dell’Italia”, ha detto a inizio marzo Corrado Passera, il ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture. Passera ha anche assicurato che la linea ferroviaria, il cui tracciato è stato rivisto negli ultimi anni e che non interessa più il solo trasporto passeggeri, “permetterà di ridurre nella valle un trasporto su gomma molto inquinante”. Opinione pubblica divisa Secondo i piani degli amministratori, il traffico merci su rotaia dovrebbe raddoppiare. “Aumenterà solo del 2-3 per cento”, rispondono i No Tav. Allo scopo di scavare un cunicolo esplorativo a Chiomonte, il piccolo comune di mille abitanti a nord di Susa, il governo ha deciso di dichiarare parte del territorio “sito di interesse strategico”, come se si trattasse di una base militare, e di mandarci un gran numero di carabinieri per proteggere il cantiere. Nella valle queste dichiarazioni e l’ostinazione del governo sono state interpretate come delle provocazioni. Il 25 febbraio decine di migliaia di persone hanno manifestato, e la protesta si è allargata dopo che il 27 febbraio Luca Abbà, una delle figure di spicco del movimento No Tav, è caduto da un traliccio dell’alta tensione mentre cercava di appendere uno striscione per avvertire i manifestanti che le forze dell’ordine stavano arrivando per avviare le procedure di esproprio dei terreni. Dopo essere rimasto per alcuni giorni in coma artificiale, adesso Abbà non è più in pericolo di vita. Ma questo non ha calmato i manifestanti No Tav che, sostenuti dai centri sociali, hanno moltiplicato le loro azioni, bloccando gli svincoli autostradali e le linee ferroviarie in varie zone d’Italia, e in alcuni casi scontrandosi con la polizia. Nel frattempo l’opinione pubblica italiana si interroga, si divide e si radicalizza. A Bussoleno, un comune di circa seimila abitanti nel centro della valle, in un bar vicino alla sala comunale dove si tengono quasi quotidianamente le assemblee popolari No Tav in cui si decidono democraticamente le iniziative da prendere, c’è Claudio Giorno. Ex geometra di un’impresa autostradale, Giorno si impegna a smontare uno dopo l’altro tutti gli argomenti a favore della costruzione della linea ad alta velocità tra Torino e Lione. “Claudio faceva parte del piccolo gruppo che si è opposto al progetto fin da subito. All’inizio non erano molto numerosi”, mi dice un ragazzo del posto, prima di spiegarmi che non ha molta voglia di parlare con i giornalisti: “Con quale diritto posso parlare con voi quando sedici dei nostri compagni sono ancora in prigione o agli arresti domiciliari?”. Si riferisce all’operazione della polizia che il 26 gennaio 2012 ha portato all’arresto di alcuni attivisti che avevano partecipato alle proteste No Tav dell’estate scorsa. Al suo fianco Marco Comisso, giovane falegname in un cantiere navale e apprendista liutaio, aggiunge: “All’inizio l’obiettivo era soprattutto difendere un territorio già saturo. In questa valle così stretta (in alcuni punti meno di un chilometro di larghezza) ci sono già una linea ferroviaria, due strade statali, un’autostrada e due linee elettriche ad alta tensione”. Soldi spesi male Vent’anni dopo la presentazione del progetto per l’alta velocità, Claudio Giorno continua instancabile la sua battaglia. Espone le sue argomentazioni con un tono leggermente apocalittico: “L’opera provocherà danni gravissimi all’ambiente e alla salute degli abitanti della valle. Nella montagna ci sono quantità importanti di amianto e uranio. Lo scavo delle gallerie inquinerà anche le riserve idriche. Sarà come togliere il tappo da una vasca da bagno”. Giorno non crede ai dati presentati dalle autorità e dagli esperti ufficiali, e attacca l’“insostenibilità economica” di questa linea ad alta velocità. Un progetto che inizialmente era destinato solo ai passeggeri, ma che nella sua versione attuale dovrebbe riguardare anche il trasporto delle merci. “Ma a questo scopo esiste già una linea ferroviaria che è sottoutilizzata. Mentre gli scambi commerciali tra la Francia e l’Italia non sono tali da giustificare un investimento del genere”. Il costo dell’opera è stimato in 8,5 miliardi di euro, di cui 2,8 miliardi a carico dell’Italia (quelli che si oppongono al progetto prevedono una spesa complessiva superiore a venti miliardi). Per il governo e i principali partiti italiani, che sostengono la Tav a livello sia nazionale sia regionale, si tratta di una scommessa sul futuro e di un investimento per la crescita, per l’occupazione e per lo sviluppo. “Ma per andare da Torino a Parigi continuerà a convenire prendere un volo low cost piuttosto che il treno”, sostiene Enzo Castelletto, che guida una piccola impresa di gelati ed è stato consigliere comunale per Forza Italia. Castelletto denuncia “lo spreco di denaro pubblico in un momento in cui non ci sono soldi per le scuole e per i servizi. È come se un padre di famiglia si comprasse una Ferrari pur sapendo che non ha abbastanza soldi per dare da mangiare ai figli”. Con la crisi economica e i sacrifici chiesti agli italiani, la battaglia No Tav ha assunto un’altra dimensione. “Vent’anni fa, se ci avessero detto che la linea ad alta velocità non sarebbe più passata per la Val di Susa ma un po’ più lontano, per esempio in Val d’Aosta, la mobilitazione sarebbe finita lì. Ma oggi non è più così”, spiega Luca Casel. “Contestiamo un modello economico e lo sperpero di denaro pubblico”. Tutto questo in un clima di sfiducia nei confronti dei partiti politici, sempre più spesso coinvolti in scandali di corruzione, e di sfiducia più in generale nei confronti delle istituzioni del paese. “Il denaro della Tav andrà a finire nelle tasche dei politici sotto forma di tangenti, e delle ditte di costruzioni legate alla mafia”, si sente spesso ripetere tra Susa e Bussoleno, dove la protesta No Tav è diventata ormai una sorta di malcontento generalizzato. “Se pensi alle pessime condizioni dei treni regionali, alle interminabili file d’attesa negli ospedali e al dilagare della corruzione, non stupisce che la Lione-Torino abbia fatto esplodere la rabbia dei cittadini”, dice Renzo Pinard, sindaco di Chiomonte. Pinard è uno dei pochi sindaci della valle favorevoli al progetto. La considera “un’opera di modernizzazione fondamentale nel collegamento tra due città gemelle”, ma non nasconde la sua preoccupazione per le ultime violenze. E conclude: “Mettere la zona del cantiere sotto controllo militare è una follia”.
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