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18 gennaio 2011

Israele, Democrazia a Meta’
di Giorgia Grifoni

Israele è al centro di un processo antidemocratico che colpisce tutti: dai palestinesi agli israeliani, dagli etiopi agli immigrati africani. Ancora limitate le reazioni nel paese

Roma, 18 gennaio 2011, Nena-News. Sta succedendo qualcosa, in Israele, che allarma attivisti per i diritti umani e una parte dell’opinione pubblica. Una serie di episodi verificatisi ultimamente lasciano trasparire una chiusura in salsa antidemocratica verso tutto ciò che caratterizzava uno Stato che, almeno nei confronti di una parte dei suoi cittadini,  quella ebraica, si presentava come modello di libertà di espressione e di coesione sociale. Notizie di arresti massicci di attivisti si susseguono a casi di legislazione antidemocratica, volta a conservare a tutti i costi il consenso generale e il carattere ebraico dello Stato di Israele.

A Tel Aviv, com’è noto, si teme “l’avanzata non ebraica” che potrebbe minacciare la maggioranza del paese. I primi a pagare sono ovviamente i palestinesi: sia quelli rimasti entro i confini dello stato ebraico del ‘48, chiamati dalle autorità “arabi israeliani”, sia quelli che vivono nei Territori Occupati, di fatto sottoposti alla giurisdizione di Tel Aviv. E sono proprio loro le vittime dello spauracchio immigratorio israeliano: è di una settimana fa la decisione della Corte Suprema di negare la cittadinanza e la residenza a quei palestinesi sotto occupazione sposati con arabi israeliani. Una decisione che viola tutte le norme del ricongiungimento familiare. Diversa, ma altrettanto grave in termini di diritti umani, la nuova legislazione varata all’inizio dell’anno dalla Knesset nei confronti dei rifugiati provenienti dall’Africa: chi tenterà di entrare o verrà trovato illegalemente in territorio israeliano, rischia dai 3 anni di carcere a una reclusione a tempo indeterminato. Il tutto senza processo. Il tutto senza fare distinzione tra richiedenti asilo e semplici immigrati in cerca di lavoro.

La legge, però, non guarda più in faccia nessuno. Se ai palestinesi viene negato il ricongiungimento familiare, casi del genere cominciano a toccare anche gli israeliani. Una settimana fa un giudice ha negato a Yifar Zohat, 42 anni, il ricongiungimento con suo marito, il nigeriano Goodluck Ayemo. La scusa: nella domanda all’Ufficio immigrazione, Yifar non ha fornito sufficienti prove dell’amore genuino che la lega al marito. Si è concentrata invece sul suo desiderio di diventare mamma in tarda età e di formare una famiglia. Risultato: ad Ayemo, considerato un mero “donatore di sperma”, è stato negato l’ingresso nel Paese. E ancora: una donna nigeriana è stata deportata assieme al suo bambino nato in Israele dopo che le era stato rifiutato più volte il diritto d’asilo. La spiegazione: il suo profilo non rispettava alcuni dei criteri determinanti per restare. Non è andata meglio a Koji Yamarisho, dottorando giapponese -e vincitore di una borsa di studio presidenziale- in Pensiero ebraico all’Università Ebraica di Gerusalemme: una settimana fa gli è stato notificato un ordine di espulsione immediato. L’Ufficio immagrazione ha dichiarato di temere che Yamashiro, in Israele per motivi di studio da otto anni, voglia risiedere nel paese al termine dei suoi studi. Circa 300 tra professori e studenti hanno firmato una lettera indirizzata, tra gli altri, al presidente Shimon Peres perchè fermi la deportazione del ragazzo.

Se un non-ebreo che vuole risiedere in Israele non proprio è il benvenuto, non se la passano bene neanche molti dei cittadini di fede ebraica, specie se appartenenti ai gruppi etnici o sociali più marginalizzati. Come la comunità etiope, che non smette di protestare da mesi perchè i propri diritti vengano equiparati a quelli degli Ashkenazi, gli ebrei provenienti dall’Europa.  Perchè se sulla carta gli israeliani sarebbero tutti uguali, non è proprio così nella realtà. Una settimana fa, il ministro dell’Integrazione Sofa Landver – del partito ultranazionalista Israel Beitenu- ha dichiarato che “gli immigrati Etiopi dovrebbero essere grati per quello che hanno ricevuto da Israele”. Una dichiarazione arrivata dopo le proteste della comunità etiope per atteggiamenti razzisti nei loro confronti. A questo proposito, centinaia di persone di sono riunite a Kiryat Malakhi per protestare contro la deriva razzista dei proprietari delle case che si sono rifiutati di affittare appartamenti ai membri della comunità etiope. E il caso è finito in mano alla polizia, che ha aperto un fasciolo per sospetta incitazione al razzismo. Storie di bambini etiopi che si ritrovano con la scuola del quartiere chiusa e non trovano nessuno che li voglia in classe sono poi all’ordine del giorno.

Va male anche per i senzatetto, che si sono visti sgomberare il campo di Hatikva, l’ultimo rimasto in piedi tra quelli istituiti dagli “indignati” quest’estate in vari punti del paese. Venticinque attivisti sono stati trattenuti dalle forze dell’ordine deue settimane fa, quando sono andati a manifestare nel quartiere contro lo smantellamento del campo. Rilasciati, avevano ricevuto l’ordine di non avvicinarsi alla zona fino all’evacuazione della tendopoli. L’altro ieri, a smantellamento iniziato, alcuni attivisti tra cui Stav Shaffir – una delle leader del movimento J14- sono stati arrestati per aver violato il divieto. Altri 15 sono stati arrestati durante una manifestazione pacifica davanti al Comune di tel Aviv. E alcuni attivisti giurano che ultimamente sempre più persone vengono sfrattate dalle proprie case. Insomma, tempi duri per la democrazia in Israele. Nena News.

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