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24 gennaio 2012

Rasmussen: "La Nato non interverrà
sanzioni indeboliranno il regime iraniano"
intervista di Andrea Bonanni e Pietro Del Re

BRUXELLES - "No, non interverremo militarmente in Iran perché sono convinto che la migliore soluzione resti quella politica, quindi ben venga l'inasprimento delle sanzioni economiche da parte dell'Unione europea", dice il segretario generale della Nato ed ex premier danese, Anders Fogh Rasmussen. "Da quando, nel 1949, l'Alleanza fu creata per contenere eventuali mire espansionistiche del blocco sovietico, il suo ruolo è rimasto lo stesso: difendere i nostri Paesi e i nostri popoli. Ma oggi questa difesa comincia spesso ben al di là delle nostre frontiere. Per questo dobbiamo andare fino in Afghanistan per proteggerci dal terrorismo internazionale o in Libia per prevenire l'instabilità nel Nord Africa che potrebbe contagiare l'Europa. Dobbiamo andare perfino nel cyber-spazio per difenderci dagli attacchi cibernetici".

Segretario generale, non crede che con il suo programma nucleare l'Iran possa mettere a repentaglio la nostra sicurezza, oltre che quella di altri milioni di esseri umani? Cosa potrebbe fare l'Alleanza per scongiurare questi rischi? E non potrebbe essere chiamata a intervenire per mantenere aperto lo stretto di Ormuz?

"No, la Nato non ha nessuna intenzione di interferire con l'Iran. Penso che il modo migliore di agire sia quello di trovare soluzioni politiche e diplomatiche. E continuo a sostenere con convinzione gli sforzi internazionali affinché vengano operate tutte le pressioni possibili nei confronti del regime iraniano".

Eppure è da dieci anni che l'Occidente sta cercando di convincere l'Iran ad abbandonare il suo sogno nucleare. Lei continua a credere che le sanzioni siano il modo migliore per far cambiare idea agli ayatollah?

"Sì, sono convinto che il rafforzamento delle sanzioni economiche avrà un impatto significativo sull'economia iraniana e anche sulla leadership di Teheran. Tra le sanzioni e la soluzione militare io parteggio per le prime".

C'è anche un Paese dell'Alleanza che confina con l'Iran, la Turchia.

"Certo, ma la mia posizione non cambia".

E' quindi impensabile un vostro intervento in quella regione?

"Sì, da escludere totalmente".

Potrete però incrementare il sistema anti-missilistico che fu concepito proprio come difesa da eventuali attacchi iraniani?

"Abbiamo deciso di proteggerci contro ogni tipo di attacco missilistico, proveniente da qualsiasi Paese che avesse l'intenzione da attaccare Paesi della Nato. Non ci sono solo gli iraniani. Esiste già una trentina di Paesi nel mondo dotati di un sistema missilistico con cui attaccare territori dell'Alleanza".

Quando sarà operativo questo sistema?

"Spero di poter annunciare la fine della sua messa in opera al prossimo summit della Nato, in maggio a Chicago. Allora, per esempio, gli americani avranno collocato degli "intercettori" navali, quindi molto mobili e che potranno essere spostati là dove ci sarà bisogno. Alcuni Paesi quali la Turchia, la Romania e la Polonia hanno già annunciato che ospiteranno sul loro territorio parte di questo sistema anti-missilistico".

Le sembra possibile un raid israeliano per distruggere gli impianti iraniani potenzialmente più pericolosi? Con quali possibili ripercussioni?

"Al momento un raid israeliano in Iran è soltanto un'ipotesi. Per una questione di principio preferisco non rispondere a domande del genere".

Una delle più attendibili organizzazioni umanitarie del pianeta, la Human rights watch, sostiene che nella città siriana di Homs le forze governative stanno compiendo crimini contro l'umanità. Eppure un'azione della Nato in quel contesto sembra tutt'altro che probabile. Perché?

"Non interverremo in Siria perché pensiamo che il conflitto debba essere risolto da attori locali. Anche se l'operato della Lega araba non ha ancora portato i suoi frutti sono certo la soluzione al problema la troveranno i Paesi di quella regione".

E allora perché siete intervenuti in Libia?

"Perché in Libia abbiamo ricevuto un chiaro mandato da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu e un attivo sostegno da parte della regione. Niente di tutto questo esiste nel caso della Siria. Detto ciò, condanno con fermezza la feroce repressione delle forze di sicurezza siriane nei confronti dei manifestanti".

Veniamo all'Afghanistan, teatro dove la Nato è in questo momento maggiormente implicata, e dove, a dispetto dell'ottimismo ostentato da molti, la situazione è tutt'altro che pacificata. Non le sembra giunto il momento, dieci anni dopo l'inizio della guerra di intraprendere negoziati seri con i Taliban?

"Sì, anche lì dobbiamo cercare una soluzione politica. Tuttavia, per il raggiungimento del successo, è necessario che ci siano le condizioni adatte, ed è necessario che questo processo sia avviato dagli stessi afgani. Sono loro che dovranno avviarsi sulla strada della riconciliazione. Gli insorti dovranno poi rispettare le regole democratiche della Costituzione afgana, oltre che i diritti umani e i diritti delle donne. Dovranno anche abbandonare ogni forma di terrorismo. Detto questo sono altrettanto convinto che il modo migliore per facilitare questo processo sia di tenerli sotto scacco, o se preferite, di non lasciare loro alternative. I Taliban non saranno disposti a negoziare fino al momento in cui non avranno la certezza che non potranno vincere militarmente. In altre parole, c'è bisogno della forza militare per facilitare una soluzione politica".

E secondo lei i Taliban non hanno nessuna possibilità di vincere la guerra?

"No, non al momento. Nel 2011 abbiamo per la prima volta registrato una diminuzione di quasi il dieci per cento del numero di attacchi dei Taliban in Afghanistan. Nella provincia di Helmand questo numero è diminuito del trenta per cento. E i poliziotti e i soldati afgani sono in grado di garantire la sicurezza in metà del Paese".

Non crede che uno dei noccioli del problema sia la vicinanza con un altro Paese a rischio, il Pakistan, e con le forze deviate che vi operano?

"E' chiaro che il Pakistan deve implicarsi di più, se vogliamo che nella regione ci siano pace e stabilità a lungo termine. Da tempo chiediamo a Islamabad di combattere con maggior convincimento quei terroristi che operano alla frontiera tra i due Paesi. Credo che le autorità pachistane possono e devono fare di più nella lotta al terrorismo. Troppe volte c'è chi ha trovato rifugio in Pakistan per poi riattraversare la frontiera e attaccare le nostre postazioni o i quelle afgane".

Quanto sono costate le operazioni militari della Nato in Libia?

"Non sono in grado di fornire una sola cifra, perché ogni Paese che ha partecipato ha speso di tasca propria. Credo invece che sia stato un evento storico il fatto che il Consiglio di sicurezza ci abbia affidato l'incarico di proteggere la popolazione civile della Libia. E' stata la prima risoluzione del genera adottata dell'Onu. E il fatto di aver raggiunto lo scopo della nostra missione è un risultato che non ha prezzo".

E in termini di vite umane, può fornirci una stima delle perdite inflitte all'ex nemico?

"Al momento ancora non abbiamo la conferma di perdite umane causate in Libia dalla Nato. Ricordiamo invece la propaganda del regime di Gheddafi che sosteneva che i bombardamenti della Nato avevano provocato centinaia di morti civili. Una cosa è certa: la precisione dei nostri raid su obiettivi militari".

Che cosa vorrebbe chiedere la Nato al nuovo ministro Difesa italiano, Giampaolo Di Paola?

"L'ammiraglio Di Paola lo conosco molto bene il che facilita molto il nostro dialogo. Conosco anche il suo impegno per il bene dell'Alleanza atlantica. Non devo chiedergli nulla, perché è nel suo Dna il fatto di volere che l'Italia rimanga il forte alleato che è sempre stato da quando la Nato fu fondata, più di sessant'anni fa".

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