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21 maggio 2012

Usa, Iran, Israele: partita a scacchi
di Christian Elia

”L’intervento armato in Iran è un’opzione pienamente praticabile. Sarebbe preferibile risolvere la questione sul piano diplomatico e con il ricorso a strumenti di pressione, piuttosto che usare la forza militare, ma questo non significa che tale opzione non sia praticabile, anzi, è già pronta”.

Dan Shapiro, ambasciatore Usa in Israele, il 17 maggio, ha così ‘tranquillizzato’ il mondo in un’intervista alla Radio Militare israeliana. “La necessaria pianificazione e’ già stata effettuata, proprio allo scopo di garantire che ogni cosa sia predisposta”, ha aggiunto. Non è una novità, lo stesso Shapiro, a gennaio, aveva annunciato che Washington ha predisposto i piani di attacco all’Iran, ma fa un certo effetto sentirlo confermare.

Bisogna vedere quale effetto Shapiro e l’amministrazione Obama voleva ottenere. Di sicuro quello di tranquillizzare l’opinione pubblica israeliana, sempre più bombardata mediaticamente dall’ossessione del programma nucleare iraniano. Meno certo è che Shapiro parlasse anche agli elettori Usa, chiamati a rinnovare il mandato di Barak Obama a novembre, tra i quali la lobby filo israeliana è quasi determinante.

L’ultimo sondaggio della Cbs non è affatto buono per Obama: il suo sfidante repubblicano, Mitt Romney, nelle proiezioni del 15 maggio, è avanti di tre punti percentuali. Ecco che i voti della lobby filo israeliana tornano dannatamente buoni, considerato che gli indicatori dell’economia non potranno iniziare a migliorare in pochi mesi. Il limite, però, tra promesse elettorali e azioni militari non è sottile. Un conto è tranquillizzare, un altro lanciarsi in un’avventura della quale non si possono prevedere tutte le conseguenze.

Il 23 maggio un altro round di colloqui tra l’Iran e il gruppo dei 5+1 ( Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e la Germania), previsto a Baghdad, dovrebbe fornire ulteriori risposte. Un antipasto si avrà a Teheran lunedì 21 maggio, a Teheran, quando il segretario generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), Yukiya Amano, sbarcherà in Iran assieme al capo degli ispettori dell’agenzia, Herman Nackaerts, per incontrare il capo dei negoziatori iraniani sul dossier nucleare, Said Jalili.

Il governo israeliano, guidato dal premier Benjamin Netanyahu, ha già detto che ritiene di nessuna utilità queste riunioni, ma questo si sapeva già. Quello che non si sa è se e come Washington resisterà o darà il via libera alle intenzioni bellicose israeliane. Netanyahu, politicamente, si è rafforzato sul fronte interno con la nuova coalizione di governo. Il Pentagono, il 17 maggio, ha inserito nel decreto da sottoporre al Congresso Usa nei prossimi giorni un’ulteriore finanziamento di 70 milioni di dollari per le forze armate israeliane.

Tutti elementi di duplice lettura: Shapiro e i generali Usa vogliono solo rassicurare Israele, o preparano la guerra? Saranno i sondaggi a spingere Obama a seguire i piani di Netanyahu? Oppure Washington punta solo ad alzare la voce in vista delle elezioni, ma è pronta a fermare al momento decisivo Israele? Per ora nessuna risposta.

Di sicuro, tutto questo, alla vigilia di un negoziato diplomatico sul nucleare, non è un bel viatico. Come tentare di far pace con qualcuno oliando il kalashnikov. L’Iran, però, almeno dall’elezioni di Mahmud Ahmadinejad alla presidenza nel 2004 è abituato a questa pressione. La fusione tra Arabia Saudita e Bahrein, sfumata all’ultimo, ma che ha lasciato il passo a una alleanza militare, è l’ennesimo atto ostile delle monarchie del Golfo contro Teheran. La risposta, al solito, non è mancata.

L’incaricato di affari del Bahrain a Teheran, riferisce l’agenzia iraniana Mehr, è stato convocato il 17 maggio dal ministero degli Esteri iraniano per ascoltare le preoccupazioni dell’Iran circa gli sviluppi politici nel regno. Dopo aver respinto le accuse di ingerenze nella politica interna del Bahrein, è stato chiesto a Manama ”approccio appropriato”, dando risposte ”alle legittime domande del popolo, represso brutalmente dopo la sollevazione pro-democrazia nel Paese ispirata dalla primavera araba”. In dichiarazioni riportate da un’altra agenzia iraniana, la Fars, il Capo della magistratura dell’Iran, l’ayatollah Sadeq Amoli Larijani, ha definito ”un gioco pericoloso” il rafforzamento del legame tra Manama e l’Arabia Saudita.

Parole, moniti, mosse di scacchi. Teheran ci tiene a ricordare a tutti che anche gli ayatollah sanno giocare con le minacce e che nessuno deve pensare di attaccare impunemente l’Iran. Che ribatte colpo su colpo, processando pubblicamente Majid Jamali Fashi. L’uomo, reo confesso, almeno secondo i canoni della giustizia iraniana, ha ammesso di essere un agente del Mossad, intelligence israeliana, comprato per 120mila dollari. In cambio dei quali, nel gennaio 2010, ha assassinato lo scienziato iraniano Massoud Ali Mohammadi, leader delle ricerche nucleari iraniane.

Fashi è stato impiccato nella prigione di Evin, a Teheran, rilanciando la tesi che la strage di scienziati in Iran sia un complotto statunitense e israeliano. Una partita a scacchi, dove ciascuno sta studiando la sua strategia, tentando di non passare per quello che ha fatto la prima mossa.

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