http://www.eilmensile.it Gaza black out La Striscia di Gaza è senza elettricità. La centrale elettrica non ha più carburante per garantire il funzionamento delle turbine per l’erogazione continua di energia a 1.5 milioni di cittadini, che abitano in un fazzoletto di terra di 360 chilometri quadrati stretto tra Israele e il mare. Da martedì, l’erogazione è stata regimentata, e durante le 24 ore la centrale riesce a coprire solo un terzo della giornata. Le riserve di carburante sono esaurite, nessun nuovo rifornimento è arrivato dall’Egitto, e le forniture elettriche, sia dall’Egitto che da Israele, sono carenti. Il Cairo ha promesso di garantire un flusso a 17-25 MegaWatt, ma, a centrale operativa, sarebbero necessari più di 100 MegaWatt. A impianto totalmente spento ne servirebbero 180. L’impianto necessita per il suo funzionamento di 600mila litri di carburante al giorno. Da venerdì della scorsa settimana a martedì scorso, solo 340mila litri sono arrivati dall’Egitto attraverso i tunnel sotterranei di Rafah. Israele copre il 35 percento del fabbisogno energetico, ma ha chiuso gli oleodotti verso la Striscia nel gennaio 2011. Le conseguenze del black-out parziale riguardano tutti i settori della società della Striscia: da quello sanitarie (pazienti cronici, neonati a rischi, dializzati, infartuati, emergenze) a quello domestico (impossibilità di ricevere acqua potabile, di lavarsi, di purificare l’acqua per uso alimentare), a quello igienico (relativo agli impianti di trattamento delle acque reflue). Man mano che il blocco prosegue, l’impatto sulle condizioni igienico-sanitarie della popolazione, già stremata dall’assedio, si aggrava. Un briefing pubblicato ieri dall’Unicef riporta un drastico calo nel funzionamento delle strutture di desalinizzazione (60 percento in meno), intermittenze nelle forniture domestiche di acqua p0tabile (50 percento in meno), riduzione dell’operatività delle stazioni di pompaggio delle acque reflue (riduzione a 12 ore al giorno), limitazione dell’efficienza degli impianti di trattamento con conseguente sversamento in mare di liquidi inquinanti (da 90 a 140 milioni di litri al giorno, a fronte di una soglia ‘consentita’ di 60). “Una delle conseguenze pratiche sulla vita quotidiana riferisce a E online Rosa Schiano dell’International Solidarity Movement è l’impossibilità per i pescatori di rifornirsi di benzina. I pescherecci non possono salpare. Ieri sono andata al porto e la maggior parte dei pescatori sono usciti con barche a remi. Anche l’attività della nostra barca, l’Oliva, che monitora le violazioni da parte delle motovedette israeliane, è rimasta ferma”. Gli unici a beneficiare di una erogazione più o meno regolare di corrente elettrica sono quelli che vivono nella estremità meridionale o in quella settentrionale, che sono collegati alle reti di Israele o dell’Egitto. Nei campi profughi l’agenzia per i rifugiati Unrwa cerca di far fronte alle necessità della popolazione con combustibile importato da Israele. “Sto attraversando il nord della Striscia racconta Adriana Zega, cooperante italiana e lo scenario è preoccupante: tutte le stazioni di benzina sono affollate di auto in coda con le taniche da riempire. Non solo i trasporti vengono colpiti, ma anche la gente a casa. A differenza di prima, quando si sapevano gli orari in cui sarebbe andata via la luce, questa volta le interruzioni sono arbitrarie. Ieri Gaza City era completamente al buio. Solo le grosse strutture e gli ospedali hanno i generatori. Chi ha scorte di benzina le vende a 3,50 shekel (0,70 euro) anziché 2,50 (0,50). Quella israeliana costa 7-8 shekel (1,4-1,5 euro)”. “Gli egiziani hanno tagliato i rifornimenti perché il governo della Striscia ha messo una tassa sul carburante spiega un’altra cooperante che chiede di rimanere anonima -. L’Egitto riforniva a uno shekel, il governo ha imposto un euro e cinquanta di tassa. Gli egiziani donavano la benzina a Gaza per aiutare la popolazione dopo la chiusura dei rifornimenti da Israele nel 2011. All’Egitto non è piaciuto il comportamento di Hamas, e hanno chiuso i rubinetti”.
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