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Primavera o Autunno? Qualche giorno fa sono riuscito finalmente a parlare con il mio amico Hamed a Damasco. Ero molto preoccupato per lui. É sempre stato una testa dura. Si è fatto arrestare più di una volta e più di una volta ha conosciuto la tortura, le umiliazioni, le minacce, i ricatti e ogni forma di violenza di cui è capace il regime degli Assad. All'inizio delle sommosse in Siria mi ha mandato un messaggio su Facebook dicendomi: “Sta partendo anche qui. Speriamo sia la buona.” Poi è scomparso. Non risponde più alle mail e ai messaggi su Facebook da più di 2 mesi. Su Skype anche ci ho provato. Niente. Dopo una lunga esitazione ho mandato un SMS sul suo telefonino. Ogni sua linea telefonica è sempre stata sotto controllo, da quando lo conosco. Mi ricordo che una volta che mi aveva fatto arrivare un messaggio tramite un suo amico, io gli chiesi: “Ma perché non mi hai chiamato?” E lui, ridendo, ha risposto: “il telefono lo uso solo se voglio far sapere qualcosa a 'Amn addawla' (i servizi segreti ndr)”. Il mio messaggio era breve e chiaro: “ tamin-ni alik!”. (rassicurami su di te!). Ma non ci fu nessuna risposta. Sono state settimane di dubbi e paure, prima che trovi il modo di comunicare con lui tramite amici comuni. Da casa dell'amico che l'ha ritrovato, mi ha detto poche cose. Mi ha solo rassicurato sul suo stato. Mi ha detto che è stato arrestato anche lui come molti attivisti, ma che è stato liberato velocemente. La sicurezza dello Stato ha altri pensieri per la testa che la persecuzione degli oppositori di sempre. Alla fine della discussione, mi ha lasciato una frase enigmatica: “Questa volta forse ce la facciamo. Abbiamo paura solo che la Nato ci venga ad aiutare”. Poi ha chiuso salutando velocemente. Le poche frasi che abbiamo scambiato sulla politica erano già troppe. Pur essendo un po' “particolare” non era detto che il canale che avevamo usato per comunicare non fosse sotto ascolto. La prudenza non è mai troppa in questi casi. Dopo la comunicazione con Hamed, ci ho riflettuto per un po' su quella frase. “Abbiamo paura solo che la Nato ci venga ad aiutare”... Se stai combattendo da sempre un regime assurdo, corrotto e corruttore, violento, bugiardo e pervertito, la prospettiva di un “ aiutino” per abbatterlo dovrebbe essere piuttosto allettante. Invece Hamed, pur combattendo con i suoi fratelli, ha più paura dell'aiuto dell'Alleanza Atlantica che della violenza stessa del regime siriano. Hamed non è uno che si è scoperto oppositore dopo aver visto le sommosse di Tunisi su Al Jazira. Da sempre fa politica. Ci è cascato dentro da piccolo. Da sempre è nell'opposizione. Ha militato nel partito comunista siriano, Poi l'ha lasciato, Ha partecipato alla fondazione della corrente Qasiun che nel 2005 aveva provocato una breve primavera politica a Damasco1. Ha sempre studiato e riflettuto molto sulla storia dell'umanità, sulle relazioni internazionali, sugli eventi recenti che hanno sconvolto tutta la zona mediorientale. Ricordo le nostre lunghe discussioni notturne intorno ad un tavolo pieno di “mezzé” e di qualche bottiglia di Araq, buonissimo, o di “Al Shark”, la birra nazionale siriana,terribile, quasi imbevibile. Ero stato di recente a Baghdad e confrontavamo le nostre visioni sulla situazione della regione. Hamed diceva sempre che Saddam non era una grande perdita, anzi, ma il modo in cui è caduto non è per forza un bene, alla lunga. Lui è di quelli che credono fermamente che la libertà non si regala. Questi giorni guardando quello che succede nella regione mediorientale ma anche in Nord Africa, spesso mi ritorna in mente la frase di Hamed: “Abbiamo paura solo che la Nato ci venga ad aiutare.” In effetti basta vedere la Libia per capire le paure di Hamed. La Nato è intervenuta per, ufficialmente, impedire una carneficina. Poi si è messa a bombardare a tappeto, poi ha dato apertamente supporto tecnico, logistico e materiale ad una parte in conflitto. In nome di quale legittimità? Chi ha delegato alla Nato il diritto di decidere quale regime è buono per quale paese? Non si sa? Forse la sua potenza di fuoco. Da una parte è tutta la comunità internazionale che preme perché l'esercito egiziano e il governo di transizione tunisino siano garanti di un cambiamento gattopardesco (cambiare tutto perché nulla cambi), dall'altra hanno tanta premura di instaurare la democrazia in Libia che hanno reclutato persino i tanto odiati terroristi di Al Qaeda. Cosa pensare altrimenti dell'ingresso vittorioso di Abdelhakim Belhaj alla testa delle sue truppe di giovani berberi del Jebel Nefussa? Abdelhakim Belhaj è un vecchio oppositore, poi pentito, poi rientrato in opposizione. Non ci sarebbe niente di strano a vederlo entrare trionfante alla testa di una squadra di giovani ribelli. Tranne una cosa... Il nostro amico ha acquisito il suo saper fare militare in Afghanistan sotto il comando di Bin Laden e Aymen Al Zawahiri2. Fino a qualche anno fa era ufficialmente tra le persone più ricercate dai servizi statunitensi. Oggi, prima di partire alla conquista di Tripoli ha formato e addestrato delle squadre di giovani guerriglieri in compagnia di istruttori... dei servizi segreti statunitensi. Uno si chiede alla fine: Che democrazia si vuole costruire con i sanguinari di Al Qaeda? E poi: Ma questi, non erano nemici? O ci prendono in giro tutti quanti da 20 anni? In Egitto i giovani non mollano. Stanno in piazza e chiedono giustizia. Niente li ferma. Né la repressione, né la disinformazione, né la stanchezza. Ma intorno a loro, tutti fanno finta di credere che la rivoluzione egiziana sia arrivata a buon fine. Al potere sta un consiglio militare, formato da ufficiali che erano il pilastro portante del regime di Mubarak. Si passano davanti alla corte marziale tutti gli attivisti che osano parlare male dell'attuale situazione, con condanne immediate e pesanti. Mentre i processi ai gerarchi del vecchio regime si dilungano e assomigliano sempre più ad una sitcom egiziana che ad un vero processo. In Tunisia, anche lì, i cambiamenti veri tardano ad arrivare e il movimento comincia ad essere stanco. Anche se gli scontri sono quotidiani e la scena politica è più dinamica che mai. Altrove... Altrove la gente è divisa tra speranze e paure. Dopo l'euforia dell'inizio, quando si credeva bastasse scendere in piazza per un paio di settimane per far cadere un regime che ha controllato la tua vita da vari decenni, oggi la gente ha preso coscienza che la strada per il cambiamento è lunga e dolorosa. L'esempio libico, porta tanti a riflettere e anche molti regimi stanno sviluppando anticorpi contro l'onda attuale di ribellioni. Ma è anche vero che in questi mesi molti hanno fatto scuola di politica attiva e hanno imparato che opporsi all'oppressione è possibile. Questa è la vera rivoluzione che c'è stata nella regione. Una rivoluzione nelle mentalità delle persone. Molte volte in questi mesi ho raccontato questo cambiamento attraverso la storia di Fathi. Fathi è un giovane Cairota. Figlio di una famiglia di classe media discretamente agiata, abita nel quartiere Zamalek. E come quasi ogni ragazzo del quartiere tifa per la squadra del Zamalek. Il Cairo è appassionatamente diviso in due campi opposti, quelli di Zamalek e quelli di Al Ahli, la squadra dei quartieri poveri. Fathi è stato colto come molti giovani egiziani dalla febbre dei blog da un paio di anni. E nel suo blog, parlava di sé soprattutto, della sua passione per i vestiti di marca e della sua passione per la squadra del cuore e per la nazionale egiziana. L'ho conosciuto qualche mese fa, dopo gli ultimi mondiali di calcio. Non so come, ma sulla mia bacheca Facebook è finita una discussione tra lui e una mia giovane nipote. Aveva appena postato un suo testo sul suo blog in cui chiamava il popolo egiziano a preparasi per la vendetta contro l'Algeria. In effetti, prima dei mondiali, la nazionale algerina e quella egiziana erano arrivate alla finale nelle eliminatorie per la zona Africa. Tra i due paesi, con un chiaro incitamento da parte dei rispettivi regimi, si era scatenata una vera e propria guerra di strada3. Quando si svolgeva la discussione tra loro due, i mondiali erano già passati e una squadra del campionato algerino si preparava a recarsi Al Cairo per giocare una partita della Champions league africana contro Al Ahli. Fathi chiamava nel suo blog il popolo egiziano a calpestare gli algerini in vendetta per quello che era successo nei mesi precedenti. Avendo letto il suo post lo contattai con un messaggio e tentai di ragionare con lui sulla situazione dei due paesi, sulla natura dei loro regimi e su quanto fosse assurda una guerra tra poveri. Al veder nominare il presidente algerino e quello egiziano e le loro rispettive famiglie di predoni, il nostro amico si scusa subito con me, che non può andare avanti in quella discussione perché lui ha massimo rispetto per le autorità dei due paesi e non si permetterebbe mai di prendersela con loro. In quella di Fathi, mi sembrava riassunta tutta la mentalità diffusa nel mondo arabo. Sempre pronti a cercare un capro espiatorio, ma mai ad affrontare i loro problemi alla base. Qualche settimana fa, Fathi mi contattò su facebook condividendo con me un video in cui un giovane attivista e blogger svelava come Gamal, il figlio maggiore di Mubarak, aveva volutamente scatenato la “guerra”, citando nomi, luoghi e fatti verificabili. Dopo averlo ringraziato per la preziosa informazione, andai sul suo blog di nuovo e scoprii, che ormai non parlava più né di scarpe, né di camicie, né di calcio ma di politica. La rivoluzione, che c'è stata nella testa di Fathi e di milioni di giovani arabi, è di aver preso coscienza del fatto che la politica, quello che combinano i potenti è anche affare loro. Mica poco! I milioni di giovani e meno giovani che sono stati sulle piazze del mondo arabo sono per lo più persone come Fathi. Gente che ha sempre fatto gli affari propri e che poi d'un colpo si è svegliata e ha realizzato di essere stati zitti per molto tempo. Molti si sono impegnati nei primi mesi di rivolte poi si sono stancati e sono rientrati a casa, lasciando il lavoro incompiuto. Altri continuano a resistere e a lottare. Molti hanno creduto nel miracolo pubblicizzato dai canali satellitari. Altri non sono caduti nella trappola. Ma non so quanto tempo ci vorrà prima che tutti i fathi della regione smettano di credere che la rivoluzione sia una storia di pochi giorni di sit-in, che basta far scappare un dittatore per abbattere una dittatura, Che Al Jazira sta dalla parte dei rivoluzionari e vuole democratizzare il mondo arabo, che gli altri paesi del mondo, in particolare quelli occidentali, stanno dalla parte di chi vuole combattere l'oppressione... Quanto tempo ci vorrà prima che Fathi apra gli occhi come Hamed? Prima che anche lui capisca che la libertà non te la regala nessuno se non te la conquisti, e che bisogna continuare a lottare contro la dittatura e sperare che … la Nato non venga mai a darti una mano. 1(/>http://www.monde-diplomatique.it/LeMonde-archivio/Novembre-2002/pagina.php?cosa=0211lm15.01.html&titolo=Le%20delu-sioni%20della%20%ABprimavera%20di%20Damasco%BB) 2 (http://www.bbc.co.uk/news/world-africa-14786753 ). 3 http://karim-metref.over-blog.org/article-algeria-e-egitto-due-paesi-una-stessa-febbre-39181608.html)
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