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25 gennaio 2012

Un Anno di “Primavera Araba”, Donne e Islamismo.
di Ika Dano

Quote rosa revocate, poca rappresentanza politica. La vittoria dei partiti islamisti all'esame dei movimenti che si battono per i diritti delle donne.

Roma, 25 gennaio 2012, Nena News – La vittoria elettorale di partiti islamisti in Tunisia, poi Marocco e ora Egitto ha fatto rizzare le orecchie alle organizzazioni progressiste impegnate nella difesa dei diritti delle donne in loco. Solo in Libia la foga di molti media  occidentali nel presentare i ribelli come paladini della liberta’ ha lasciato in ombra l’influenza di correnti islamiste e jihadiste sul Consiglio Nazionale Transitorio (appuntato in attesa di elezioni). Una quota rosa del 10% era stata proposta per l’elezione della futura assemblea costituente, incaricata di stilare la Costituzione della nuova Libia del dopo-Gheddafi. Secondo voci diplomatiche riportate dal quotidiano libanese Al Akhbar, la quota rosa sarebbe stata ritratta perche’ la maggioranza della popolazione chiamata ad esprimersi via internet era contraria. Dunque, niente 20 seggi assicurati per le donne. E una sola ministra donna nel nuovo cabinetto marocchino con a testa il partito islamista Giustizia e Sviluppo (PJD). Regresso per le donne nel nuovo panorama colorato di verde?

Che la “Primavera Araba” abbia fatto posto a leaders venuti dallo spettro dell’Islam politico non ha rallegrato Stati Uniti ed Europa. Primo fra tutti, il timore che i movimenti islamisti mettano in discussione i buoni rapporti con l”Occidente, ed in particolare la politica economica e la cooperazione in materia di sicurezza. Poi, che cambino atteggiamento verso Israele, e nel caso dell’Egitto, non rispettino il Trattato di Pace del 1979. E in ultimo, che mirino davvero all’istituzione di repubbliche islamiche, cambiando profondamente il volto di societa’ sinora impregnate di valori tradizionali e religiosi ma anche laici. Autorevoli voci di studiosi del mondo arabo quali Benny Morris hanno messo in guardia dal movimento dei Fratelli Mussulmani -  a cui fanno capo direttamente o indirettamente i partiti islamisti saliti al potere -  che sin dalla loro creazione in Egitto nel 1928 non mirerebbero ad altro se non alla “purificazione della societa” e al mantenimento del potere.

Pronta la reazione dei nuovi leaders arabi per rassicurare i partners occidentali. I rapporti – soprattutto economici – rimarranno invariati, sigillati da trattati e contratti bilaterali tra governi e aziende, e non ci saranno stravolgimenti neppure a livello di radicalizzazione religiosa della societa’. ‘La Tunisia sara’ una nazione libera, indipendente e prospera che rispetta i diritti di tutti i cittadini, indipendentemente dal loro sesso o religione – ha annunciato sul quotidiano egiziano Al Ahram il primo ministro tunisino Rashid Gannouchi, a capo del partito islamista Ennahda (Rinascita), assicurando che non lui non diventera’ un ‘altro Khomeini” (capo della rivoluzione islamica iraniana, ndr) e che le donne non saranno obbligate a mettere il velo. Gli fa eco il partito islamista vincitore delle elezioni marocchine (PJD): l’alcool non sara’ proibito, ne’ il velo obbligatorio.

Intanto pero’ l’attenzione alla partecipazione femminile si spreca. Per l’assemblea costituente libica non sara’ garantita alcuna quota rosa, e l’esercito egiziano ha gia’ provveduto prima delle elezioni lo scorso novembre ad abolire la quota che sotto Mubarak assicurava 64 seggi in Parlamento a donne. In Marocco, nonostante l”uguaglianza formale garantita dalla Costituzione, la rappresentanza politica fa i conti con la realta’ tradizionalista: nel governo di Abdelillah Benkirane di ministro donna ce n’e’ solo una su 30 portafogli, nonostante il numero di deputate elette sia raddoppiato rispetto all”ultima legislatura. Un passo indietro notevole per uno dei Paesi arabi con la legislazione piu’ progressista in materia di pari opportunita’, come hanno dimostrato le proteste di un gruppo di parlamentari marocchine lo scorso giovedi. Con lo striscione “1 donna, 30 uomini, eguale suddivisione?” hanno chiesto al PJD la revisione della formazione di governo.

Voci di protesta dal cuore delle rispettive societa’ se ne registrano diverse. In Libia,  la Piattaforma delle Donne Libiche per la Pace, in coalizione con altri gruppi della societa’ civile, ha organizzato iniziative non solo contro la revoca della quota rosa, ma per l”istituzione di una quota del 40% “e in ogni caso non inferiore al 30%” nelle nuove istituzioni parlamentari. In Marocco, l’attivista berbera Meryem Demnati non si stupisce ma dissente: “l’assenza di ministri donna e’ semplicemente il risultato della coalizione tra due partiti conservatori, il PJD e il Partito d’Indipendenza – dichiara Meryem al quotidiano Al Akhbar -  Che pero’ va a minare tutti i progressi fatti dalle donne in politica negli ultimi anni, grazie ad una forte pressione locale ed internazionale”.

Anche di fronte alla promessa del segretario generale dell’Ennahda tunisina, che annuncia invece la meta’ dei seggi nell’assemblea costituente riservata a donne, “velate o meno”, i movimenti progressisti e di sinistra nel mondo arabo temono una virata verso il conservatorismo, che difficilmente – verrebbe da pensare – aiutera’ l’emancipazione femminile. Cosa affatto scontata per la ministra marocchina Bassima Hakkaoui del PJD, che si definisce “islamista e femminista”. Nena News.

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