Alternative Information Center Palestina all’Onu: Abbas sfida il mondo, Netanyahu mente “Il popolo palestinese è l’unico popolo sotto occupazione autorizzata. Sessantatre anni di sofferenze. È abbastanza, abbastanza, abbastanza. È tempo per la Palestina di ottenere la propria primavera”. Un discorso storico di fronte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e di fronte gli occhi del mondo intero. Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen, che ieri si è presentato all’Onu come presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, è accolto con una standing ovation. Nei trenta minuti a disposizione Abu Mazen sfida gli Stati Uniti e tocca tutti i punti: le sistematiche e selvagge violazioni israeliane, la disponibilità a tornare ai negoziati e il riconoscimento dello Stato di Palestina. Abbas è fermo: “Il governo israeliano rifiuta di sedersi al tavolo secondo le condizioni della legge internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite e intensifica la costruzione delle colonie nel territorio dello Stato di Palestina. La colonizzazione è il cuore della politica coloniale di occupazione militare della terra del popolo di Palestina. Ed è la principale causa del fallimento del processo di pace”. Mahmoud Abbas parla di tutto: della confisca selvaggia di terre palestinesi per la costruzione delle colonie e del Muro di Separazione, dei prigionieri politici da anni nelle carceri israeliane, della divisione della Palestina in cantoni e della conseguente distruzione dei legami sociali e economici. Parla dell’apartheid a Gerusalemme Est, dove i palestinesi non possono più costruire e sono soffocati dalle colonie. Parla dei checkpoint che impediscono di entrare nella propria terra e nei siti sacri. Parla dell’assedio di Gaza, delle distruzioni di case, palazzi, scuole, ospedali e dell’uccisione di migliaia di palestinesi Parla di pulizia etnica: “Israele sta compiendo il trasferimento forzato di residenti palestinesi secondo una politica di pulizia etnica volta a cacciarci dalla nostra antica patria. La Nakba continua ancora oggi”. E fa la sua proposta. Primo, il riconoscimento dello Stato di Palestina in Cisgiordania e Striscia di Gaza, entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale: “Accettiamo di creare lo Stato di Palestina solo sul 22% del territorio della Palestina storica”. Secondo, la rinuncia e la condanna di ogni forma di terrorismo, in primis il terrorismo di Stato. Terzo, la disponibilità dell’OLP a tornare al tavolo dei negoziati con Israele sotto le condizioni dettate dal diritto internazionale: “Tendiamo la mano a Israele, Israele costruisca il dialogo invece dei muri”. Ma Abu Mazen non si ferma e annuncia il proseguimento della lotta: “Il nostro popolo continuerà nella sua resistenza popolare nonviolenta contro l’occupazione israeliana, le sue colonie, le sue politiche di apartheid e la costruzione di un Muro razzista di annessione. E riceviamo aiuto nella nostra resistenza, l’aiuto della legge umanitaria internazionale e quello degli attivisti israeliani e internazionali, che sono esempio della forza di un popolo disarmato, armato solo di sogni, coraggio e speranza di fronte alle pallottole, i carri armati, i lacrimogeni e i bulldozer”. E infine chiede il passo in più da parte del mondo: “Nessuno Stato con un minimo di coscienza può rigettare la richiesta di indipendenza della Palestina. Il mio popolo sta aspettando la risposta del mondo. Autorizzerà Israele a proseguire l’occupazione, l’unica occupazione al mondo? Autorizzerà Israele a rimanere uno Stato al di sopra della legalità? Autorizzerà Israele a continuare a rigettare le risoluzioni dell’Onu e della Corte Internazionale di Giustizia?”. Il discorso di Abbas si chiude tra gli applausi e con la consegna della domanda di riconoscimento della Palestina come membro pieno ed effettivo al segretario generale Ban ki-moon. Poco meno di un’ora dopo, entra il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Il suo discorso lascia perplessa anche l’Assemblea, che gli riserva ben pochi applausi. Netanyahu incentra il suo discorso sulla necessità di Israele di difendere la propria sicurezza, minacciata dalle armi atomiche iraniane e dal terrorismo di Hamas. Una serie di bugie, molto poco credibili: “Noi vogliamo la pace, io voglio la pace. Israele è stato ingiustamente condannato dalle risoluzioni Onu, ma sono i palestinesi a non volere la pace”. Attacca la decisione “unilaterale” dell’AP di presentarsi al Palazzo di Vetro, sostenendo che il dialogo si fonda sui negoziati e non sul riconoscimento dello Stato palestinese. Uno Stato che potrà essere creato, ma solo dopo la pace con Israele e il riconoscimento del suo carattere ebraico: “Noi non siamo lo Stato dell’apartheid. Lo Stato ebraico ha sempre rispettato tutte le minoranze, compreso il milione e mezzo di arabi israeliani. Vorrei poter dire lo stesso del futuro Stato di Palestina”. E si concentra su Gaza: “Ci siamo ritirati da Gaza, abbiamo smantellato le colonie e costretto centinaia di famiglie a lasciare le proprie case. Abbiamo consegnato la chiavi di Gaza all’AP e ci siamo ritirati da molti territori, sono stato il primo premier israeliano a bloccare la costruzione delle colonie per dieci mesi. Le colonie non sono la causa del conflitto, ne sono l’effetto”. “Dopo il ritiro da Gaza, abbiamo ricevuto solo missili e guerra. Siamo d’accordo con la creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania, ma non certo per avere un’altra Gaza. Un luogo dove il nostro soldato Shalit è ancora prigioniero di Hamas. Ecco, le Nazioni Unite dovrebbero emettere una risoluzione per Shalit”. Netanyahu chiude il suo discorso chiedendo ad Abu Mazen di iniziare subito, alle Nazioni Unite, i nuovi negoziati di pace. Poi si potrà parlare di Stato di Palestina. Dove, però, sottolinea Bibi, Israele dovrà poter mantenere la propria presenza, come accade tra Cipro e Turchia.
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