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08 gennaio 2011

Il Cile Riconosce la Palestina, Sangue nei Territori Occupati

Gerusalemme, 08 gennaio 2011, Nena News – Il presidente cileno Sebastian Pinera ha deciso di unirsi al riconoscimento formale della Palestina quale «Stato libero, indipendente e sovrano» già concesso in queste ultime settimane dai leader di Brasile, Argentina, Ecuador, Bolivia e Uruguay. Lo riferisce oggi con preoccupazione il sito del quotidiano più diffuso di Israele, Yediot Ahronot, precisando che ad intervenire sulle autorità di Santiago è stato lo stesso presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen.

Il Cile è un paese che ospita una significativa minoranza palestinese, in maggioranza di fede cristiana originaria del distretto di Betlemme (Cisgiordania). Il passo compiuto da Pinera  - moderato e filo-Usa – potrebbe imprimere una svolta in grado di trascinare anche altri paesi moderati della regione, come ad esempio il Messico, e dar vita a un precedente  importante in seno alla comunità internazionale.

Malgrado l’atteggiamento di ostentata minimizzazione dell’accaduto, il governo di Benyamin Netanyahu è preoccupato. La mossa di Pinera, ha detto un portavoce del ministero degli esteri israeliano, «è inutile e priva di senso» poichè, ha aggiunto, solo il negoziato bilaterale con Israele potrà condurre a un eventuale accordo di pace. Eppure a Tel Aviv regna una certa inquietudine. Il timore di Netanyahu, lascia intendere Yediot Ahronot, è quello di «un effetto domino di riconoscimenti anticipati» dello Stato indipendente palestinese che potrebbe fare pressione diplomatica su Israele dopo lo stallo dei colloqui diretti con l’Anp promossi nei mesi scorsi dall’Amministrazione Obama.

Nel frattempo la tensione continua a salire nei Territori palestinesi occupati militarmente da Israele. Un palestinese di 24 anni, Khaldun Samudi, è stato ucciso oggi dai soldati israeliani ad un posto di blocco vicino Nablus, in Cisgiordania. Secondo il portavoce militare il giovane palestinese sarebbe sceso da un taxi e si sarebbe messo a correre verso i soldati gridando «Dio è grande», brandendo una bomba a mano artigianale. L’uomo è stato ferito mortalmente dai soldati. La versione israeliana dell’accaduto non è stata confermata dai palestinesi anche perché coincide con quanto sarebbe accaduto domenica scorsa quando un altro palestinese, il 20enne Mohammed Dragma, è stato ucciso «per errore» dai soldati allo stesso posto di blocco. Il giovane stava avanzando verso i soldati con un oggetto che era stato scambiato per un coltello ma in realtà si trattava soltanto di una bottiglia con una bibita. Senza dimenticare che una settimana fa a Bilin, una donna di 36 anni, Juwaher Abu Rahma, è morta soffocata dai gas lacrimogeni lanciati dai soldati per disperdere una marcia popolare contro il Muro (l’esercito invece afferma che il suo decesso è a cause mediche diverse).

Un altro «errore» è stato commesso ieri dagli uomini dal grilletto facile di una unità speciale israeliana a Hebron (Cisgiordania). Omar Qawasmeh, 66 anni, è stato ucciso nel proprio letto dai commando penetrati nella sua abitazione per arrestare un attivista di Hamas. Qawasmeh è stato crivellato da almeno 13 proiettili, alla testa e all’addome. Erano le 4 di mattina e sua moglie alla vista improvvisa dei militari dell’unità Dovdovan ha cercato di urlare ma le hanno chiuso la bocca. Poi sono saliti al piano superiore alla ricerca di Wael Bitar, di Hamas. I familiari non hanno udito alcun colpo. Ma quando hanno raggiunto la stanza da letto, l’anziano giaceva in un bagno di sangue. Bitar – che è stato arrestato – si trovava al piano sottostante. L’esercito di occupazione ha espresso «rammarico» e comunicato che «i soldati hanno sparato perchè si sono sentiti minacciati». Di cosa non è però chiaro visto che nella stanza c’era solo un uomo che dormiva nel suo letto. All’origine dell’episodio c’è la decisione dell’Anp di rilasciare sei detenuti di Hamas che da 40 giorni osservavano uno sciopero della fame proclamandosi innocenti dall’accusa di aver ucciso quattro coloni israeliani a fine agosto. L’esercito israeliano giovedì notte ne ha catturati cinque. L’accaduto ha sconvolto la popolazione di Hebron e alle esequie di al-Qawasmeh hanno partecipato uniti, spalla a spalla, i dirigenti locali di Fatah (il partito di Abu Mazen) e di Hamas.

A Gaza invece ieri sera un soldato è stato ucciso e altri quattro feriti da «fuoco amico» al confine tra la Striscia e Israele dopo il lancio di due razzi verso lo Stato ebraico e un raid aereo israeliano contro edifici del governo di Hamas. In un primo tempo i media israeliani avevano riferito c’era stato uno scontro a fuoco con militanti armati palestinesi. Successivamente si è appreso che i soldati avevano aperto il fuoco contro di loro, ma uno dei proiettili di mortaio sparati dagli israeliani è esploso tra i militari.

Intanto resta ignota l’identità e l’affiliazione politica dei due uomini uccisi due giorni fa dai soldati israeliani a ridosso di Gaza. Nena News