Alternative Information Center Bambini palestinesi incarcerati: violazione del diritto internazionale A settembre 2009, Israele ha istituito la Corte Minorile Militare. Due anni dopo, Israele ha adempiuto agli obblighi previsti dal diritto internazionale e ha innalzato la maggiore età nelle corti militari da 16 a 18 anni. Il cambiamento non ha portato a miglioramenti nella pratica e gli abusi contro i bambini palestinesi detenuti dalle autorità israeliane continuan Fin dall’inizio della Seconda Intifada nel settembre 2000, Israele ha iniziato ad utilizzare gli ordini di detenzione amministrativa contro i bambini. Secondo la legge internazionale, la detenzione amministrativa è permessa solo su scala molto limitata, specialmente nei confronti di minori. In Israele, tuttavia, da allora i bambini palestinesi sono sistematicamente detenuti. Ogni anno sono circa 700 i bambini palestinesi arrestati dall’esercito israeliano e perseguiti in tribunale. Attualmente, 164 bambini palestinesi sono prigionieri in Israele, la maggior parte di loro per aver tirato delle pietre. Sebbene sia proibito dalla legge israeliana detenere qualsiasi essere umano sotto i 14 anni, 35 dei bambini prigionieri hanno tra i 12 e i 13 anni. È allarmante che minori vengano arrestati sia in violazione della legge israeliana che quella internazionale. E quello che è ancora più preoccupante è il modo in cui i bambini vengono trattati durante l’arresto, l’interrogatorio e la detenzione. Numerose Ong che monitorano il trattamento dei minori nelle carceri israeliane pubblicano report sugli abusi mentali e fisici. In molti casi, i minori vengono arrestati nelle loro case durante la notte e portati via dai soldati senza poter essere accompagnati dai genitori. Allo stesso modo, gli interrogatori hanno luogo senza la famiglia né l’avvocato. Spesso trascorrono ore e giorni prima che i minori vengano interrogati. Mentre aspettano l’interrogatorio, ai bambini sono negati i bisogni fondamentali come dormire, mangiare, bere o andare in bagno. Durante tutte le fasi dell’arresto, la violenza è comune: pugni, calci, schiaffi, tirate di capelli e strangolamenti. A ciò si aggiungono anche violenze sessuali. Un altro serio problema è dato dal fatto che non c’è alternativa alla custodia cautelare fino al termine delle procedure, secondo la legge militare applicata ai minori palestinesi detenuti. Di conseguenza, molti bambini confessano il crimine di cui sono accusati solo per evitare tempi più lunghi di detenzione. Le confessioni, che i minori sono costretti a firmare, sono spesso redatte in ebraico, una lingua che la maggior parte dei palestinesi non sa leggere. Circa il 93% dei minori coinvolti nel lancio di pietre tra il 2005 e il 2010 è stato condannato alla prigione, elemento che dimostra che difficilmente vengono applicate punizioni alternative al carcere. La durata della detenzione varia, passando da pochi giorni fino ad oltre venti mesi. Una simile esperienza nuoce seriamente alla crescita di questi bambini: una volta rilasciati, la maggioranza degli ex prigionieri soffre di svariati problemi, sociali, finanziari ed emozionali. Il maltrattamento dei bambini palestinesi nelle corti e nelle prigioni israeliane è costantemente ignorato. Manca anche la mera attenzione alle condizioni dei minori durante la prigionia, anche nell’attualità più ovvia: quando, ad ottobre di quest’anno, Gilad Shalit è stato liberato in cambio di 1.027 prigionieri palestinesi, nessuno ha parlato dei minori detenuti; né le autorità israeliane, né la comunità internazionale, né Hamas.
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