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22 maggio 2011

Da Yarmouk Parte la “Terza Intifada Palestinese”?
di Cristina De Luca

Damasco, 22 maggio 2011, Nena News  – Il 15 maggio è il giorno della Naqbe, il giorno della «catastrofe» nazionale palestinese in cui, con la nascita di Israele, 750 mila palestinesi furono costretti all’esilio (oggi sono quasi 5 milioni).

Fino all’anno scorso – in tutti gli Stati dove sono presenti oltre che in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, Gerusalemme Est e nei territori israeliani – i rifugiati avevano celebrato questo giorno con manifestazioni, sit-in, proiezioni di film sull’argomento.

Ma quest’anno qualcosa è cambiato.

Incoraggiati dalle rivolte arabe che hanno infiammato il Medio Oriente negli ultimi mesi, quest’anno i rifugiati (soprattutto i giovani della terza e quarta generazione) hanno deciso di celebrare la Naqbe in modo più deciso, ed esprimere il loro «diritto al ritorno» ai villaggi e alla città nella terra d’origine, la Palestina.

Circa due mesi fa sul social network Facebook è comparsa la pagina «La terza intifada palestinese». Mano a mano è stata riempita con idee su come commemorare il 63° anno della catastrofe, fino a quando è stata presa la decisione di recarsi dall’Egitto, dalla Siria, dalla Giordania, dal Libano, dalla striscia di Gaza e dalla Cisgiordania, ai confini con Israele. Il punto focale della terza intifada perciò è stato il «ritorno», perche’ a distanza di 63 anni milioni di palestinesi vivono in campi profughi  negli Stati arabi dove sono nati o risiedono.

Sin dalla mattina del 15 maggio, ai confini di Libano, Striscia di Gaza e Cisgiordania, e sul Golan (territorio che appartiene alla Siria, ma che è occupato da Israele dal 1967) sono iniziati assemblamenti di giovani che hanno tentato pacificamente di oltrepassare i confini. I militari israeliani hanno risposto prima con il lancio di lacrimogeni per disperdere le folle, e successivamente con veri e propri colpi d’arma da fuoco. Il bilancio è stato di 10 morti in Libano, uno nella Striscia di Gaza e 4 in Siria, oltre che a diversi morti e feriti in Cisgiordania.

Il 16 maggio, nel campo palestinese “Yarmouk” di Damasco, si sono svolti i funerali di tre dei quattro giovani uccisi sul Golan il giorno precedente. Le manifestazioni sono cominciate al mattino. Al momento dell’arrivo delle salme, i partecipanti erano circa 70.000, riuniti intorno alle bare e lungo il percorso che le bare avrebbero fatto per raggiungere prima la moschea, e poi il cimitero. I morti per la patria sono considerati «martiri», e i sentimenti  erano di sgomento e frustrazione per l’uccisione di giovani che pacificamente avevano cercato di far sentire la loro voce, e per l’impotenza di fronte ad una situazione che al momento non vede una possibile fine.

Le donne piangevano per queste morti ingiuste, ma non vane, perché avvenute per quel sentimento nazionale che accomuna tutti gli esseri umani. Piangevano e gettavano riso, che nella cultura araba sta a significare la fierezza e la dignitá dei partecipanti. Dai balconi veniva gettata acqua per rinfrescare il corteo che da ore accompagnava le bare sotto il sole.

Ma ciò che colpisce di più è stato il sentimento di unitá condiviso da quell’enorme massa di persone, con in mano i vessilli dei diversi partiti politici, ma soprattutto recanti le bandiere dello Stato palestinese, uniti nelle tragedie che puntualmente colpiscono questo popolo.

Bambini, donne, uomini, anziani, hanno marciato insieme, portando il messaggio che nonostante il passare del tempo e le generazioni che si rinnovano, la causa palestinese è viva anche per coloro che vivono ormai da generazioni fuori dalla Palestina, che hanno dovuto costruirsi una vita lontano dalla loro terra, e per mostrare che, oggi come ieri, l’ingiusto sacrificio di vite umane non conosce soste. Nena News