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02 ottobre 2011

Anniversario Durban: Non Menzionata la Palestina
di Davide Tundo

Il documento finale non fa riferimento ai palestinesi sotto occupazione. Eppure non vi è altro caso di dominazione militare di un popolo su di un altro con le stesse caratteristiche di ingiustizia che dura da decenni.

Roma, 02 ottobre 2011, Nena News – Il 22 settembre, in seno alla 66ma sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, un high-level meeting di leader politici e dirigenti ONU ha commemorato il  10° anniversario dell’adozione della Dichiarazione di Durban.[1]

Tale documento, che insieme al relativo Programma d’Azione venne elaborato al termine della Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite contro il Razzismo, la Discriminazione Razziale, la Xenofobia e le Intolleranze, tenutasi a Durban (Sud Africa) nel settembre del 2001, è il manifesto delle Nazioni Unite nella lotta contro ogni forma di razzismo e discriminazione razziale.

La Conferenza (anche detta Durban I)[2] era stata significativamente indetta in Sud Africa dove, come è noto, un regime politico aveva istituzionalizzato, sotto molteplici aspetti, la supremazia razziale di una parte della popolazione su di un’altra. La caduta di quel sistema di apartheid costituiva una speranza che in futuro le società non avrebbero più conosciuto alcun tipo di discriminazione e razzismo.

La Conferenza analizzò origini, cause e forme contemporanee di razzismo,di discriminazione razziale e di altre discriminazioni connesse e si concentrò sulle possibili misure di prevenzione, educazione e protezione per le vittime, le cui storie furono ascoltate. Si studiarono possibili strategie, su scala nazionale, regionale ed internazionale, per arrivare a una società veramente inclusiva, fondata su un’uguaglianza formale e sostanziale.

Non mancavano, d’altronde, importanti riferimenti normativi cui tendere nell’arrivare a un mondo privo di diseguaglianze e violenze etniche e razziali. Nell’alveo delle Nazioni Unite erano stati prodotti significativi testi giuridici quali la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio (1948), la Convenzione Internazionale sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale (1965), la Convenzione Internazionale sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid (1973). Il principio di non-discriminazione è poi contenuto in una serie di importanti trattati in materia di diritti umani.[3]

Si tratta di convenzioni che sono state ratificate dalla gran maggioranza degli stati. Molte delle norme in esse contenute hanno poi acquisito dignità di diritto consuetudinario internazionale, come la proibizione del genocidio e dell’apartheid, a tutela di valori il cui rispetto è imperativo per tutti. Apartheid, genocidio e persecuzione sono inoltre crimini internazionali, secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, cui è demandata la giurisdizione sui medesimi.[4]

La Dichiarazione di Durban si ispirava, come enunciato nel Preambolo, ai valori dell’eguaglianza, della giustizia, alle regole del diritto e ai diritti umani, richiamando, tra le altre, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Concessione dell’Indipendenza ai Paesi e ai Popoli Coloniali del 1960.

Appariva infatti chiaro il legame tra dominazione straniera, persecuzione e razzismo: la sottomissione che un popolo (o uno stato) fa di un altro, specialmente se protratta nel tempo, riveste i connotati della persecuzione e fomenta la discriminazione; la negazione della libertà si traduce in schiavitù e assenza di giustizia.

Non mancavano esempi in tal senso: la Dichiarazione (paragrafo 63) riconosceva specificamente le sofferenze del popolo palestinese sotto occupazione e l’inalienabile diritto all’autodeterminazione e alla formazione di uno stato indipendente in capo al popolo palestinese, in un contesto di sicurezza per tutti i popoli della regione.

Allora come oggi, non è cambiato nulla per il popolo palestinese. Il mondo, dopo Durban I, ha celebrato nel 2009 un’altra conferenza al fine di valutare lo stato della lotta al razzismo e alle differenti forme di discriminazione, indetta stavolta a Ginevra (Svizzera), e ribattezzata Durban II.[5]

A New York, poco più di una settimana fa, si è deciso di parlare ancora una volta, ma solo per un giorno, di discriminazioni e razzismo nel mondo, come se non vi fosse necessità di più tempo. Il tema scelto è stato: “Vittime del razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranze: riconoscimento, giustizia e sviluppo”.[6]

Il documento finale[7], stavolta, non menziona neppure la Palestina, il popolo palestinese sotto occupazione, le quotidiane discriminazioni patite. Eppure, senza dimenticare il popolo Saharawi del Sahara Occidentale nella sua legittima richiesta di autodeterminazione nei confronti del Marocco, non vi è altro caso di dominazione militare di un popolo su di un altro con le stesse caratteristiche di ingiustizia e persecuzione come quello israelo-palestinese, che si protrae da oltre 60 anni.

Troppo grande, forse, il ricordo delle pressioni politiche e delle polemiche che accompagnarono Durban I e II, allorché Israele, seguito di immediato dai suoi alleati, Stati Uniti in primis, si ritirò dai lavori delle conferenze in protesta per un preteso profilo anti-israeliano che si andava delineando.

A distanza di 10 anni da quando la Dichiarazione di Durban I ricordò la questione palestinese, la situazione non è cambiata nei Territori Palestinesi. L’occupazione militare israeliana, per se una violazione che ne genera costantemente di nuove e più specifiche, è ancora una dura realtà. Essa fomenta e si nutre della discriminazione razziale, di abusi e di ingiustizie.[8]

Ciò accade in palese violazione delle norme di diritto internazionale consuetudinario e di quello pattizio, contenute nelle convenzioni sopra citate che Israele ha ratificato e che, quale potenza occupante, è chiamata a rispettare nei Territori Palestinesi su cui esercita la propria giurisdizione.[9]

A Gerusalemme Est, parte della Cisgiordania occupata, i palestinesi, sebbene titolari di diritti, secondo la legislazione israeliana, in quanto residenti permanenti, sono invece quotidianamente discriminati nelle politiche familiari, sanitarie e abitative, nella concessione di permessi edilizi, nell’istruzione scolastica di ogni grado[10], come più volte documentato da agenzie ONU.[11] La finalità delle autorità israeliane, ormai chiara a tutti, è quella di spingere i palestinesi ad abbandonare Gerusalemme a compimento di un processo di giudaizzazione in atto da tempo.

La minoranza araba in Israele, circa 1,5 milione di persone (quasi il 20% della popolazione), è vittima di simili discriminazioni nonostante lo status di cittadini.[12] Essi sono figli e nipoti di coloro i quali abitavano da sempre le terre che vennero a far parte dello stato di Israele, all’indomani della sua creazione nel 1948.[13]

Nel resto dei Territori, Striscia di Gaza compresa, l’occupazione in atto nega tout court ogni progresso sociale ed economico. Israele, d’altronde, da tempo si dichiara non responsabile per l’applicazione nei Territori Palestinesi della Convenzione Internazionale ONU sull’Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Razziale, come di altre convenzioni di diritti umani,  nonostante l’opposto avviso del Comitato ONU che vigila su tale Convenzione.[14]

E’ proprio questo, infine, il lato debole dell’attuale sistema internazionale di protezione dei diritti umani.

Il fallimento dei tradizionali attori politici, Nazioni Unite e stati, nel far rispettare la legalità internazionale, anche attraverso meccanismi di giustizia internazionale, condanna i popoli alla privazione dei propri inalienabili diritti, sontuosamente proclamati.

*Dottorando in Diritti Umani dell’Universitá di Valencia (Spagna) e collaboratore del Centro Palestinese per i Diritti Umani di Gaza”

[1] Disponibile su http://www.un.org/en/ga/durbanmeeting2011/pdf/DDPA_full_text.pdf.

[2] Maggiori informazioni su Durban I si trovano su http://www.un.org/WCAR/.

[3] Per esempio si veda, in ambito ONU, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e quello sui Diritti Economici, Sociali e Culturali del 1966, e la Convenzione sui Diritti del Fanciullo del 1989.

[4] Lo Statuto della Corte è disponibile su http://www.icc-cpi.int/NR/rdonlyres/ADD16852-AEE9-4757-ABE7-9CDC7CF02886/283503/RomeStatutEng1.pdf.

[5] Per maggiori informazioni, si veda http://www.un.org/durbanreview2009/.

[6] Per maggiori informazioni, si veda http://www.un.org/en/ga/durbanmeeting2011/index.shtml.

[7] A/66/L.2 del 16 settembre 2011, disponibile su http://www.un.org/en/ga/durbanmeeting2011/index.shtml.

[8] Per un approfondimento, si veda Human Science Research Council, Democracy and Governance Programme, Middle East Project, Occupation, Colonialism, Apartheid? A re-assessment of Israel’s practices in the occupied Palestinian territory under international law, Maggio 2009, Cittá del Capo (Sud Africa), disponibile su http://www.setav.org/ups/dosya/24515.pdf.

[9] Sull’obbligo di Israele di applicare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani nei Territori Palestinesi si veda, tra gli altri, International Court of Justice, Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, Advisory Opinion, Luglio 2004, par. 111-112-113, disponibile su http://www.icj-cij.org/docket/files/131/1671.pdf. Si veda anche il Comitato ONU sui Diritti del Fanciullo in CRC/C/OPAC/ISR/CO/1 del 4 Marzo 2010, disponibile su http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/2CE67BFD6C6BDAFD852576E800601CB6.

[10] Si veda, per esempio, Palestinian Centre for Human Rights (PCHR-Gaza), Education Denied, Israel’s Systematic Violation of Palestinian Children’s Right to Education, Luglio 2011, su www.pchrgaza.org.

[11] Si veda, per esempio, UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA-oPt), East Jerusalem-Key Humanitarian Concerns, Special Focus, Marzo 2011, su www.ochaopt.org.

[12] Si veda UN Committee on the Elimination of Racial Discrimination, CERD/C/ISR/CO/13, del 14 Giugno 2007, disponibile su http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G07/424/79/PDF/G0742479.pdf?OpenElement.

[13] Per un approfondimento sulla minoranza Araba in Israele si veda Adalah, The Legal Center for Arab Minority Rights in Israel, su http://www.adalah.org/eng/about.php.

[14] Ibid., in CERD/C/ISR/CO/13, par.32.

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