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Scritto il 13/3/11

Terremoto, centrali indifese: diventano bombe atomiche

Il nucleare è indifeso di fronte al terremoto: ogni centrale potrebbe trasformarsi in una bomba devastante. E’ la drammatica lezione che arriva dal Giappone piegato dal sisma e dallo tsunami, 1600 morti accertati e 10.000 dispersi, mentre sale a 170.000 il numero delle persone sfollate dalla regione di Fukushima dove è a rischio di esplosione un secondo reattore atomico, con conseguenze purtroppo imprevedibili. Non ha retto il dispositivo di sicurezza: troppo forte l’intensità del movimento tellurico. Ma se le centrali nipponiche potevano resistere a scosse appena inferiori, quelle che vorrebbe costruire l’Italia sarebbero ancora più fragili e pericolose.

Lo afferma il geologo Mario Tozzi, conduttore televisivo di programmi come “Gaia, il pianeta che vive”, intervistato da “Il Fatto Quotidiano”: «Le centrali nucleari giapponesi sono state costruite per sopportare un terremoto di 8,5 gradi della scala Richter. Poi cos’è successo? E’ arrivato un sisma di 8,9 e le strutture non hanno retto». Le future centrali italiane sarebbero costruite per resistere a scosse di circa 7,1 gradi: «Chi ci assicura che un giorno non arriverà un sisma più potente?». Nessuno, perché i terremoti sono fenomeni che non si possono prevedere. Tozzi è furibondo nei confronti dei politici pro-nucleare: «Sono degli irresponsabili, parlassero di meno e studiassero di più».

Da Cicchito a Casini, molti si sono affrettati a minimizzare i rischi. «C’è da rimanere allibiti», protesta Tozzi: «Questi politici fanno finta di esser dei teorici di fisica nucleare. Non hanno nemmeno la decenza di usare la cautela che in situazioni come questa dovrebbe essere d’obbligo». Naufraga addirittura nel ridicolo l’editoriale del “Messaggero” firmato a caldo da Oscar Giannino, secondo cui l’incidente giapponese è «la prova del nove» della sicurezza dell’energia prodotta dall’atomo. Poche ore, e Giannino è stato clamorosamente smentito dalle notizie in arrivo da Fukushima: «Fugura miserrima, che però almeno è servita a smascherare l’abitudine italiana di salire in cattedra e di parlare di cose che non si conoscono».

Di fronte alla minaccia di un disastro nucleare, la parola d’ordine della lobby nucleare nostrana è minimizzare: «Anche l’incubo che sta vivendo il Giappone in queste ore con il danneggiamento di un reattore – continua Tozzi – in Italia viene declinato a mero strumento di propaganda politica e ideologica: difendono l’atomo solo perché non possono tornare indietro». Secondo il conduttore di “Gaia”, le bugie più macroscopiche della lobby pro-atomo sono due: la sicurezza e l’economicità di questa fonte di energia. Menzogne clamorose, che la tragedia nipponica sta drammaticamente mettendo a nudo nel modo più esplicito, tenendo anche conto del fatto che il Giappone è il paese tecnologicamente più avanzato del mondo.

A Tokio infatti è radicata una seria cultura del rischio che è frutto di una profonda conoscenza di questi fenomeni. «Con quale faccia di tolla i vari Cicchitto ci vengono a vendere l’idea che in Italia, in caso di terremoto, le cose possano andare meglio che in Giappone?». Un esempio: «Se si fosse verificato in Giappone, il terremoto dell’Aquila non avrebbe provocato neanche la caduta di un cornicione: da noi ha causato 300 morti. Chi può credere alle farneticazioni sulla sicurezza del nucleare italiano?», insiste il giornalista-geologo. E’ vero che l’incidente nucleare è più raro, ma è altrettanto vero che è mille volte più pericoloso. E il caso giapponese, secondo Tozzi, è da manuale: «Se a una centrale si rompe il sistema di raffreddamento, diventa esattamente come un’enorme bomba atomica. Forse è questa la “prova del nove” di cui parla Giannino».

E poi, continua “Il Fatto”, c’è la questione della presunta economicità dell’energia prodotta dall’atomo. «I vari politici e presunti esperti – argomenta Tozzi – si riempono la bocca dicendo che il kilowattora prodotto dall’atomo è più economico di quello prodotto dalle altre fonti, ma non è vero: noi sapremo quanto costa realmente solo quando avremo reso inattivo il primo chilogrammo di scorie radioattive prodotto dalle centrali. E cioè fra 30.000 anni». Secondo il giornalista, la lobby che vuole il ritorno del nucleare propaganda la sua convenienza economica senza tenere conto dell’esternalità, e cioè dei costi aggiuntivi che ne fanno lievitare il prezzo. Che vanno dallo smaltimento delle scorie (problema che nessun paese al mondo ha ancora risolto definitivamente) ai costi sociali ed economici di un eventuale incidente: «Sono soldi che i nuclearisti non conteggiano, perché ricadranno sui cittadini e sulle generazioni future».

Il 12 giugno è in programma un referendum che, fra le altre cose, chiede l’abrogazione del ritorno all’atomo dell’Italia. Il rimando a quanto successe a Chernobyl nel 1987, alle grandi mobilitazioni antinucleariste fino al referendum che sancì l’abbandono dell’energia nucleare è quasi d’obbligo, scrivono Lorenzo Galeazzi e Federico Mello sul “Fatto”. Ma a Mario Tozzi il paragone non convince: «Veniamo da 25 anni di addormentamento delle coscienze. Oggi abbiamo gente come Chicco Testa e Umberto Veronesi che fanno i finti esperti e spot ingannevoli che traviano l’opinione pubblica». Insomma, il legame fra l’incidente che scosse le coscienze e il voto popolare che funzionò nel 1987, oggi potrebbe fallire. Ma il 12 giugno non si voterà solo per dire no all’atomo. I cittadini saranno chiamati anche ad esprimersi contro la privatizzazione delle risorse idriche e contro la legge sul legittimo impedimento. Temi che, accanto al “no” all’atomo, potrebbero convincere i cittadini ad andare alle urne, consentendo alla tornata referendaria di raggiungere il quorum.

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